Impianti pubblicitari in zone ferroviarie
Giovedì 21 Aprile 2011 10:27
Alberto Ingrao
N. 58/2011 Reg. Prov. Coll.
N. 14 Reg. Ric.
ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna sezione staccata di Parma (Sezione Prima) ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 14 del 2006, proposto da V. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Giovanni De Angelis, Guido Alberto Inzaghi, Luca Arnaboldi e Giangiacomo Olivi, con domicilio eletto presso l'avv. Giovanni De Angelis in Parma, via Farini 37;
contro
Il Comune di Parma, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Nicola Creuso e Stefania Lago, con domicilio eletto presso l'avv. Salvatore Caroppo in Parma, Strada Repubblica 1-Avvocatura Municipale;
per l'annullamento,
previa sospensione
- del provvedimento 28/10/05 con il quale il Dirigente del Servizio Entrate del Comune di Parma esprime diniego alle istanze di autorizzazione prot.140190/05, 139317/05, 140184/05, 139417/05, 139334/05, 140165/05, 140211/05 e 140176/05;
- di ogni altro atto precedente, conseguente e comunque connesso ed in particolare dell'art. 39 comma 2 e dell'art. 13 comma 9 del Piano Generale degli Impianti (unitamente ad ogni altra disposizione dello stesso che contrasti con l'art. 51 commi 3 e 4 del Regolamento di attuazione del Codice della Strada), dell'art. 82 del Regolamento urbanistico ed edilizio del Comune di Parma, nonché dell'art. 35 comma 1 lett. g) della delibera del Consiglio Comunale n. 139/64 del 28/07/04;
nonché per il risarcimento dei danni tutti, patiti e patiendi, da quantificare in corso di giudizio.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Parma;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatrice nell'udienza pubblica del giorno 7 dicembre 2010 la dott.ssa Emanuela Loria e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso in epigrafe, notificato in data 23 dicembre 2005 e notificato in data 19 gennaio 2006, la società ricorrente impugna il diniego sulle otto istanze di autorizzazione da essa stessa presentate nell'anno 2005, al fine di installare n. 14 impianti pubblicitari da collocarsi su terreno appartenente al demanio ferroviario.
In data 30 settembre 2005 il Comune ha inviato alla società n. 8 comunicazioni con cui, ai sensi dell'art. 10 bis l. 241/1990, indicava i motivi ostativi all'accoglimento delle domande presentate dalla società. La ricorrente ha dato riscontro a tali note in data 8 ottobre 2005, invitando l'amministrazione a rivedere le proprie posizioni.
Quest'ultima, con provvedimento del 3 novembre 2005, confermava i precedenti pareri negativi, in quanto "le cause ostative prodotte dal Servizio Entrate non evidenziano solo un contrasto con la disciplina del Piano Generale degli impianti bensì palesi violazioni al Codice della Strada e al relativo regolamento di attuazione."
Precisa, inoltre, il provvedimento che la circostanza che la norma sia stata impugnata non ne configura l'illegittimità che eventualmente sarà in futuro accertata in sede giurisdizionale.
Con il ricorso presentato la ricorrente propone le seguenti censure:
1. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 14, comma 4 septies del D.L. n. 318/96, convertito nella legge n. 488/86 (motivo che riguarda tutte le istanze). Secondo la ricorrente sulle istanze è maturato il silenzio-assenso essendo state presentate in data 4 agosto 2005 all'Ufficio pubblicità del Comune mentre la comunicazione dei motivi ostativi è stata trasmessa dal Comune il 30 settembre 2005.
Poiché tutti gli impianti della ricorrente dovrebbero essere collocati sul demanio ferroviario, essi sono soggetti alle disposizioni del corpus normativo speciale di cui alla legge 132/59, all'art. 23, comma 5, del Codice della Strada, nonché all'art. 14, comma 4 septies della legge 488/86, in base al quale l'autorizzazione si intende rilasciata in assenza di contraria motivata comunicazione entro trenta giorni.
2. Violazione e /o falsa applicazione dell'art. 51, commi 3 e 4 del D.P.R. n. 495/92. Travisamento dei presupposti di fatto e di diritto. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e carenza di motivazione (istanze prot. 140190, 139334, 139317, 140176, 140184, 139417). Il Comune ritiene che alcuni degli impianti in questione violerebbero l'art. 51, commi 3 e 4 del Regolamento di attuazione del Codice della Strada sotto il profilo delle distanze. L'amministrazione non ha espressamente indicato precisi punti di riferimento per valutare tali violazioni né ha svolto una valida istruttoria che avrebbe consentito di rilevare il pieno rispetto della normativa regolamentare. Da qui il difetto di motivazione.
3. Violazione e/ o falsa applicazione dell'art. 51, commi 3 e 4, del D.P.R. n. 495/92, in relazione all'art. 3, comma 1, punto 20 del d.lgs. n. 285/2001. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e carenza di motivazione (istanze prot. 140190, 140211, 140165, 139417). La norma citata riguarda l'installazione dei cartelli stradali lungo le curve. Secondo la ricorrente alcuni dei tratti stradali interessati non possono essere considerati "curve", in quanto non derivano dall'intersezione di due tratti rettilinei. Inoltre, nessuno dei tratti stradali ove verrebbero installati i mezzi pubblicitari è tale da determinare problemi di scarsa visibilità, come richiesto dal Codice della Strada affinché una intersezione si definisca "curva". L'installazione è infatti stata richiesta per taluni tratti rettilinei in prossimità delle curve, sui quali l'installazione di mezzi pubblicitari è perfettamente consentita.
4. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 53, comma 3, del d.p.r. n. 495/92. Eccesso di potere per difetto di motivazione, travisamento dei fatti e carenza istruttoria (istanze prot. 140211 e 139417). La ricorrente rileva che l'amministrazione non ha contestato la violazione dell'articolo rubricato, ma ha soltanto "ricordato" la disposizione citata. In ogni caso, anche a voler ritenere che il Comune abbia inteso fare riferimento alla presunta violazione dell'articolo in questione, lo stesso non ha alcuna attinenza con il caso in esame, applicandosi esclusivamente ai mezzi pubblicitari collocati all'esterno dei centro abitati, come indicato nel comma 1, mentre nel caso di specie sono collocati esclusivamente nell'ambito del centro abitato.
5. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 14, comma 4 septies del D.L. n. 318/86, convertito nella l. n. 488/86, in relazione agli art. 13, comma 9, 18, commi 3 e 42, commi 1 e 38, comma 3, del Piano generale degli impianti pubblicitari (tutte le istanze). Le disposizioni dei Piani generali degli Impianti non hanno alcun rilievo rispetto ai manufatti collocati sul demanio ferroviario, quali sono quelli in questione, in quanto le disposizioni inerenti gli impianti pubblicitari in ambito ferroviario costituiscono un corpus normativo speciale, per cui essi sono sottoposti all'autorizzazione di R.F.I. e a un mero nulla-osta comunale.
6. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 39, comma 2, del Piano generale degli impianti. Eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto (istanze prot. 140211, 139417/05). L'interpretazione data dal Comune all'art. 39, comma 2 del Piano Generale degli Impianti - laddove ritiene che per ogni mezzo pubblicitario andrebbe presentata una singola richiesta di autorizzazione - è errata in quanto le istanze riguardano manufatti, che oltre a essere collocati sul medesimo tratto del demanio ferroviario, vengono accuratamente e singolarmente descritti dalla società ricorrente. In subordine, la società ricorrente ove la norma citata fosse ritenuta da interpretarsi come patrocinato dal Comune, intende farne oggetto di specifica impugnativa.
7. Eccesso di potere per travisamento dei presupposti di diritto, violazione dell'art. 3 comma 1 della legge n. 241/1990, carenza di motivazione (tutte le istanze). Secondo il Comune le istanze riguarderebbero impianti pubblicitari da installarsi in zona tutelata individuata ai sensi dell'art. 35, comma 1, lett. g) della delibera del Consiglio comunale n. 139/64 del 28 luglio 2004. Tuttavia la stessa deliberazione afferma che la disposizione ha carattere sperimentale ed è operante fino al 31.10.2005, pertanto nel caso de quo era già decaduta quando il provvedimento di diniego è stato notificato, ossia il 3 novembre 2005. Inoltre, trattandosi di una misura di vincolo essa può essere disposta solo in presenza di una specifica disposizione di legge che lo consenta e comunque motivata con forti ragioni di interesse pubblico, cosa che, nel caso di specie, non è avvenuto.
8. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 82 e 85 bis del regolamento urbanistico edilizio, adottato con decreto del P.R. della Regione Emilia - Romagna n. 722/73. Eccesso di potere per carenza di motivazione (tutte le istanze). Il richiamo operato dal Comune, nei provvedimenti di diniego, alle prescrizioni del Regolamento Urbanistico Edilizio è del tutto generico, quindi dovrebbe essere irrilevante. Tuttavia, ove il Comune intendesse riferirsi all'art. 82, che prevede l'inedificabilità assoluta nelle zone ferroviarie e nelle fasce di rispetto ferroviarie, la ricorrente eccepisce che tale divieto non riguarda gli impianti pubblicitari, poiché l'installazione degli stessi è espressamente prevista dal successivo art. 85 bis e perché simili manufatti sono di tipo leggero e non assimilabili agli edifici e alle altre opere soggette al preventivo rilascio di titoli edilizi.
9. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 13 comma 9 in relazione all'art. 18 comma 4 del Piano Generale degli Impianti (tutte le istanze). Secondo il Comune tutti gli impianti della ricorrente violerebbero l'art. 13, comma 9 del Piano Generale degli Impianti, il quale pone il divieto, all'interno dei centri abitati, di installare cartelli e altri mezzi pubblicitari sulle strutture di ponti, sottoponti e altri manufatti di attraversamento attinenti la circolazione pedonale, veicolare e ferroviaria nonché entro una distanza di 50 metri dagli stessi. Tale disposizione, oltre a essere del tutto generica, in quanto volta a disciplinare le installazioni pubblicitarie sul suolo comunale, è in aperto contrasto con quanto disposto dall'art. 18, comma 4, del regolamento in questione secondo cui è vietato il posizionamento di cartelli "su ponti e sottoponti non ferroviari" all'interno dei centri abitati. L'art. 13 comma 9 - norma di carattere generale - deve cedere il passo alla disposizione di carattere speciale, che permette, a contrariis, l'installazione di manufatti e sottoponti ferroviari. Pertanto il riferimento fatto dal Comune alla norma di carattere generale è del tutto in conferente, in quanto la norma citata è in contrasto con la più specifica normativa dell'art. 18 comma 3. In subordine, ove ritenuta applicabile al caso di specie, la ricorrente impugna anche la norma di cui all'art. 13, comma 9 del Piano generale degli Impianti.
Si è costituito in giudizio il Comune di Parma, chiedendo il respingimento del ricorso in quanto infondato.
Con ordinanza in data 21 febbraio 2006 la Sezione ha respinto l'istanza cautelare.
Il ricorso è stato trattato in pubblica udienza in data 07 dicembre 2010 e deciso nelle camera di consiglio dei giorni 7 dicembre 2010 e 26 gennaio 2011.
DIRITTO
Il ricorso è infondato.
1. In primo luogo, occorre rilevare che il provvedimento finale con cui sono stati confermati i precedenti pareri negativi espressi sulle varie istanze di autorizzazione non modifica le motivazioni per le quali era stato espresso il preavviso di diniego, anche con riferimento, quindi, alla contrarietà delle installazioni proposte al Piano Generale degli Impianti.
Ciò si evince chiaramente dalla lettura del provvedimento impugnato, che recita "la circostanza che la norma del P.G.I. sia stata impugnata, non ne configura l'illegittimità che eventualmente sarà accertata in futuro in sede giurisdizionale".
Le ulteriori motivazioni per il diniego - palesi violazioni al Codice della Strada e al relativo regolamento di attuazione - si aggiungono alla contrarietà al Piano Generale degli Impianti, ma non eliminano tale primaria contrarietà.
Per quanto concerne il primo motivo di ricorso la ricorrente sostiene la teoria del silenzio-assenso che si sarebbe formato sulle istanze da essa stessa presentate in data 4 agosto 2005 a seguito del decorso dei trenta giorni ai sensi dell'art. 14, comma 4 septies del D.L. n. 318/1986.
La tesi sostenuta da parte ricorrente è infondata in quanto la norma su cui fonda la teoria del silenzio-assenso è stata sostituita dall'entrata in vigore del d.lgs. n. 285/1992, che ha disciplinato la materia delle installazioni pubblicitarie lungo le sedi stradali, non prevedendo più l'istituto del silenzio-assenso.
Invero, il nuovo Regolamento del Codice della Strada (D.P.R. 495/92) prevede, all'art. 52, comma 5, un termine di sessanta giorni per l'assenso sulle autorizzazioni in discorso, senza che venga più previsto in alcun modo il meccanismo del silenzio-assenso.
La precedente normativa citata dalla ricorrente (art. 14 comma 4 septies del D.L. n. 318/1986) non può più trovare applicazione in quanto si tratta di una disposizione in materia di finanza locale, non avente carattere speciale rispetto al d.lgs. 30 aprile 1992 n. 285, che ha interamente rivisitato la materia in modo compiuto, con una particolare attenzione alla tutela della sicurezza stradale.
Il meccanismo del "silenzio-assenso" deve, pertanto ritenersi non più operativo in subiecta materia.
Per quanto concerne l'istituto del nulla-osta previsto dall'art. 23, comma 5, del d.lgs. n. 285/1992, esso fa riferimento al potere comunale in ordine alla materiale collocazione degli impianti pubblicitari, laddove la norma dell'articolo 14, comma 4 septies del D.L. n. 318/86 fa riferimento all' "attività pubblicitaria", ossia all'aspetto commerciale di questo tipo di attività (affissione del messaggio); pertanto, anche ove ritenuto applicabile l'istituto del silenzio-assenso alla fattispecie in discorso (il che non è per quanto sopra rilevato), non potrebbe comunque estendersi al potere comunale che si esprime con il nulla-osta alla collocazione dell'impianto sulle strade di proprietà dell'ente locale.
Il Comune ha legittimamente rilevato la non compatibilità tra l'installazione del mezzo pubblicitario nella sua materialità e le norme del Codice della Strada con particolare riferimento al profilo della sicurezza stradale.
2. Con il secondo e il terzo motivo si contesta la insufficiente istruttoria e la carenza di motivazione in quanto il Comune non avrebbe motivato in ordine alla violazione delle distanze da parte degli impianti da installare né avrebbe specificato il manato ricorso al potere di deroga ai sensi dell'art. 51 comma 4 del D.P.R. n. 495/1992. Inoltre, alcuni dei tratti stradali interessati dalle installazioni non potrebbero essere considerati "curve", in quanto non derivano dall'intersezione di due tratti rettilinei. nessuno dei tratti stradali ove verrebbero installati i mezzi pubblicitari è tale da determinare problemi di scarsa visibilità, come richiesto dal Codice della Strada affinché una intersezione si definisca "curva". L'installazione è infatti stata richiesta per taluni tratti rettilinei in prossimità delle curve, sui quali l'installazione di mezzi pubblicitari è perfettamente consentita.
I motivi sono destituiti di fondamento in quanto è evidente che l'Amministrazione non deve dare alcuna specifica motivazione in merito alla circostanza che non ritiene di fare uso del potere di deroga rispetto a l rispetto delle distanze contenute nel Codice della Strada e nel relativo regolamento; sarebbe semmai stata tenuta a una motivazione rafforzata ove avesse fatto uso del potere di deroga, e ciò secondo i canoni generali.
Riguardo alla circostanza che non ci si troverebbe in presenza di "curve" appare specioso e indimostrato l'assunto di parte ricorrente per il quale gli impianti interesserebbero solo tratti rettilinei in prossimità delle curve e non sarebbero da installarsi "lungo le curve".
Le doglianze di cui ai motivi 2 e 3 vanno, pertanto, respinte.
3. Con il quarto motivo la ricorrente rileva che l'art. 53, comma 3, del d.p.r. n. 495/92 si applicherebbe esclusivamente ai mezzi pubblicitari da installare all'esterno dei centri abitati. Da qui la ulteriore violazione da parte del provvedimento di diniego impugnato.
La tesi di parte ricorrente è destituita di fondamento in quanto il citato articolo del regolamento di attuazione del Codice della Strada è una norma che statuisce sulla competenza dei vari enti a autorizzare la collocazione di cartelli, di insegne di esercizio e di altri mezzi pubblicitari non solo fuori dai centri abitati, ma anche lungo le strade o in vista di esse.
In particolare, poi, nel comma 3 non si rinviene alcun indice che indica a ritenere che si tratti di una disposizione relativa alle sole installazioni esterne ai centri abitati, non sussistendo una ratio che possa differenziare l'aspetto dell'autorizzazione in relazione alla collocazione territoriale degli impianti.
4. Con il quinto motivo si sostiene l'estraneità della pubblicità ferroviaria rispetto alle prescrizioni del Piano Generale degli Impianti, giacchè le disposizioni inerenti gli impianti pubblicitari in ambito ferroviario costituirebbero un corpus normativo speciale, per cui essi sarebbero sottoposti all'autorizzazione di R.F.I. e a un mero nulla-osta comunale.
L'assunto è infondato: come rilevato dalla Corte Costituzionale nella sentenza del 17 luglio 2002 n. 355, il piano degli impianti che ciascun Comune deve adottare riguarda anche la pubblicità ferroviaria e ciò in quanto la pianificazione comunale assicura la "tutela degli svariati interessi pubblici sui quali questo tipo di attività potenzialmente incide, livello che costituisce il tratto caratterizzante della disciplina censurata. Essa, lungi dal contrastare con l'art. 41 della Costituzione, introduce nei confronti dell'iniziativa economica un limite non irragionevole, preordinato com'è alla salvaguardia di una pluralità di beni di rilievo costituzionale, quali l'ambiente, l'arte, il paesaggio, la sicurezza della viabilità".
Secondo il Giudice delle leggi la tutela di tali interessi è assicurata, nel decreto legislativo n. 507 del 1993, in un duplice livello di intervento: "l'uno, di carattere generale e pianificatorio, mirante ad escludere che le autorizzazioni possano essere rilasciate dalle amministrazioni comunali in maniera casuale, arbitraria e comunque senza una chiara visione dell'assetto del territorio e delle sue caratteristiche abitative, estetiche, ambientali e di viabilità; l'altro, a contenuto particolare e concreto, in sede di provvedimento autorizzatorio, con il quale le diverse istanze dei privati vengono ponderate alla luce delle previsioni di piano e solo se sono conformi a tali previsioni possono essere soddisfatte".
Alla luce di tali argomentazioni il Comune resistente ha legittimamente fatto applicazione delle disposizioni a tutela della Zona ZS1 (tutelata) dal proprio Piano Generale degli Impianti nonché delle distanze stradali e di sicurezza imposte dal Codice della Strada.
5. Con il sesto motivo la ricorrente assume che l'interpretazione data dal Comune all'art. 39, comma 2 del Piano Generale degli Impianti - laddove ritiene che per ogni mezzo pubblicitario andrebbe presentata una singola richiesta di autorizzazione - è errata in quanto le istanze riguardano manufatti, che oltre a essere collocati sul medesimo tratto del demanio ferroviario, vengono accuratamente e singolarmente descritti dalla società ricorrente. In subordine, la società ricorrente ove la norma citata fosse ritenuta da interpretarsi come patrocinato dal Comune, intende farne oggetto di specifica impugnativa.
La doglianza è priva di pregio, in quanto la norma del Piano Generale degli Impianti non appare contrastare con alcuna norma di rango superiore né la ricorrente ha indicato il parametro di tale difformità; la disposizione che impone che le richieste siano presentate in modo singolo per ciascuna installazione trova una sua giustificazione nel fatto che le caratteristiche tecniche, le distanze dagli impianti stradali etc... possono essere diversificate per ciascuno di essi.
Non sembra, inoltre, che le richieste della ricorrente, pur riguardando lo stesso tratto del demanio ferroviario, avessero identiche caratteristiche, per cui l'eventuale aggravamento lamentato non appare irrazionale al fine di comprendere esattamente quali siano le caratteristiche di ciascun manufatto che s'intende posizionare.
6. Con il settimo motivo la società ricorrente ritiene che la disposizione del Piano Generale degli Impianti su cui fonda il provvedimento di diniego aveva carattere sperimentale ed è operante fino al 31.10.2005, essendo quindi decaduta quando il provvedimento di diniego è stato notificato, ossia il 03.11.2005.
Il motivo è destituito di fondamento in quanto il provvedimento di diniego è stato emanato in data 28.10.2005, momento in cui era ancora pienamente vigente l'art. 35, comma 1, lett. g) del Piano, che, pertanto, unitamente agli altri motivi in esso espressi, è stato posto a fondamento del provvedimento di diniego.
Quanto alla impugnativa della disposizione del Piano, ci si rifà a quanto rilevato nel precedente n. 5, con riferimento agli interessi pubblici sottesi all'esercizio del potere pianificatorio comunale.
7. Con l'ottavo motivo di ricorso viene censurato il richiamo operato dal Comune, nei provvedimenti di diniego, alle prescrizioni del Regolamento Urbanistico Edilizio, in quanto lo stesso sarebbe del tutto generico e pertanto irrilevante.
Nell'ipotesi in cui il Comune intendesse riferirsi all'art. 82, che prevede l'inedificabilità assoluta nelle zone ferroviarie e nelle fasce di rispetto ferroviarie, la ricorrente eccepisce che tale divieto non riguarda gli impianti pubblicitari, poiché l'installazione degli stessi è espressamente prevista dal successivo art. 85 bis e perché simili manufatti sono di tipo leggero e non assimilabili agli edifici e alle altre opere soggette al preventivo rilascio di titoli edilizi.
Invero, l'interpretazione fornita da parte ricorrente non è condivisibile, in quanto l'articolo 82 del Regolamento Urbanistico e Edilizio del Comune sancisce l'inedificabilità assoluta nelle zone ferroviarie e nelle relative fasce di rispetto; l'art. 85 bis lettere a) e c) impone il divieto di allocazione della pubblicità ferroviaria nelle zone soggette a particolare tutela secondo le previsioni del Piano Generale degli Impianti e comunque richiede il rispetto delle disposizioni del Piano stesso che riguardano l'aspetto di tutela dell'estetica e del decoro urbano.
Alla luce di tali elementi e del fatto che la ricorrente non ha attivato il procedimento previsto dall'art. 85 bis lettera b) del Regolamento in questione (ossia la dichiarazione di inizio attività) il diniego alla richiesta di installare le insegne pubblicitarie appare legittimo anche sotto questo ulteriore profilo.
8. Con il nono motivo di ricorso la ricorrente si duole dell'illegittimità dell'articolo 13, comma 9 del Piano Generale degli Impianti, che vieta l'installazione di mezzi pubblicitari all'interno dei centri abitati, su ponti, sottoponti anche ferroviari e entro una distanza di 50 metri dagli stessi.
La norma si porrebbe in contrasto con quanto prescritto dall'art. 18 comma 4 del Piano oltre che in violazione dell'art. 51, commi 3 e 4 del D.P.R. n. 49571992.
Per quanto concerne il contrasto con l'art. 18 del Piano esso stesso prevede che "entro i centri abitati è vietata, entro la distanza di metri 50, l'installazione di cartelli e altri mezzi pubblicitari su ponti, sottoponti e latri manufatti di attraversamento attinenti alla circolazione, tra l'altro, anche ferroviaria. Non si rileva, sotto questo profilo, alcun contrasto.
Per quanto concerne il preteso contrasto con l'art. 51, commi 3 e 4, del D.P.R. n. 495/1992, occorre rilevare che ai sensi dell'art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 503/1992, vi è un potere comunale di stabilire limitazioni e divieti per particolari forme pubblicitarie in relazione ad esigenze di pubblico interesse, per cui l'Ente locale può disciplinare in modo più restrittivo le installazioni in discorso, in relazione a esigenze di sicurezza stradale, oltre che di decoro urbano, come sopra già rilevato.
L'art. 51 pone dei limiti, volti a garantire la tutela minima della sicurezza stradale, ma ciò non elimina la potestà comunale di disporre misure più restrittive in relazione alle specifiche situazioni della circolazione - anche ferroviaria - locale.
Conseguentemente, la più restrittiva disposizione del Piano Generale degli Impianti non appare contrastare con l'art. 51, commi 3 e 4, del D.P.R. n. 495/1992, avendo l'Ente locale, nel caso in discorso, esercitato proprio il proprio potere di dettare misure più limitative di quelle del regolamento del Codice della Strada.
Né la norma del Piano Generale degli Impianti asseritamente illegittima era assoggettata a obblighi motivazionali stringenti, in quanto essa ricade nella previsione dell'articolo 3, comma 2, della legge 241/1990 s.m.i., per cui la motivazione non è richiesta trattandosi di un atto di contenuto generale e pianificatorio.
9. Alla luce di tutte le suesposte argomentazioni il Collegio ritiene che il ricorso debba essere respinto come pure la domanda di risarcimento del danno.
10. Le spese di giudizio possono essere compensate sussistendone giusti motivi.
P. Q. M.
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Respinge la domanda risarcitoria.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso, in Parma, nelle camere di consiglio dei giorni 7 dicembre 2010 e 26 gennaio 2011 con l'intervento dei magistrati:
IL PRESIDENTE
Michele Perrelli
L'ESTENSORE
Emanuela Loria
IL CONSIGLIERE
Italo Caso
Depositata in Segreteria l'8 marzo 2011
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Martedì 19 Aprile 2011 16:24
Carmelo Anzalone
N. 573/2011 Reg. Prov. Coll.
N. 989 Reg. Ric.
ANNO 2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda) ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 989 del 2010, proposto da:
N. B., E. V., R. D., rappresentati e difesi dall'avv. Giuseppe Iacopino, con domicilio eletto presso S. S. in Venezia-Mestre, via ...omissis...;
contro
Comune di Belluno in Persona del Sindaco P.T., rappresentato e difeso dagli avv. Alberto Gaz, Enrico Gaz, con domicilio eletto presso Enrico Gaz in Venezia, Santa Croce, 269;
per l'annullamento
del decreto di esproprio datato 11 febbraio 2010, emesso dal Dirigente del Settore Interventi sul Territorio del Comune di Belluno, nonché di ogni atto pregresso, connesso e presupposto, e segnatamente della determinazione dirigenziale 27 ottobre 2009 n. 352.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Belluno in Persona del Sindaco P.T.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 gennaio 2011 il dott. Angelo De Zotti e uditi per le parti i difensori Iacopino per la ricorrente e A.Gaz per il Comune intimato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
I ricorrenti sig.ri N. B., E. V. e R. D. espongono:
che con deliberazione consiliare del 15.1.93 il Comune di Belluno ha sottoposto a vincolo alcuni terreni ed immobili di loro proprietà con le relative aree pertinenziali; che con deliberazione del 22 settembre 2005 ha approvato il progetto definitivo per la realizzazione dell'opera pubblica denominata strada interna ...omissis..., con annessa dichiarazione di pubblica utilità; che con decreti 26.6.2007 n. 36, 37 e 38 ha disposto l'occupazione della superficie da espropriare; che in data 19.7.2007 ha proceduto all'occupazione delle seguenti aree: nceu fg. 31 mapp. 853 (ex 532/2 e 18) mq. 386; nceu fg. 31 mapp. 856 (ex 650/3) mq. 82; nceu fg. 31 mapp. 863 (ex 650) mq. 249, che in seguito, con nota 20.4. 2009 ha notificato ai ricorrenti il decreto di occupazione delle aree aggiuntive e la contestuale determinazione delle indennità, con invito a comunicare l'accettazione dell'indennità di esproprio; che con dichiarazione 8.6.2009 i ricorrenti hanno accettato le somme offerte per l'esproprio come indicate nella comunicazione, specificando le modalità di pagamento; che con successiva nota 23.6.2009 i ricorrenti hanno trasmesso al Comune di Belluno la documentazione comprovante la piena e libera proprietà delle aree occupate onde ottenere la corresponsione dell'indennità di espropriazione ai sensi dell'art. 20 t.u. espropri; che il Comune di Belluno nulla ha tuttavia versato per acconto e a saldo dell'indennità di.espropriazione; che, con nota datata 2.12.2009 il Comune di Belluno ha notificato ai ricorrenti la determinazione. 352 del 27.10.2009 con la quale il dirigente ha "ritenuto" di erogare ai ricorrenti la somma di euro 26.671.73 a fronte di quella di euro 38.585,28 offerta ed accettata a titolo d'indennità di occupazione; che con atto notificato il 18-28.1.2010 i ricorrenti hanno intimato al Comune di Belluno di adempiere la convenzione intercorsa tra le parti e, conseguentemente, di pagare la somma proposta ed accettata; che con successiva nota 29 1.2010 il Comune di Belluno ha rifiutato "1'erogazione di ulteriori somme"; che, infine, con atto notificato rispettivamente il 2/3-12/4/2010 il Comune di Belluno ha disposto l'espropriazione dei seguenti immobili: nceu fg. 31 mapp. 853 (ex 53512 e 18) mq. 540; nceu fg. 31 mapp. 856 (ex 650/3) mq. 135; nceu fg. 31 mapp. 863 (ex 600) mq. 330 già oggetto del decreto di occupazione.
Il decreto di esproprio e la presupposta determinazione dirigenziale 27.10.09 n. 352 vengono impugnati con il ricorso in epigrafe e di essi si chiede l'annullamento per i seguenti motivi:
1) violazione e falsa applicazione degli artt. 20 e 45 dpr 8.6.2001 n. 327, eccesso di potere e danno grave.
Le norme violate stabiliscono che, divenuto efficace l'atto che dichiara la pubblica utilità dell'opera, il promotore dell'espropriazione entro i successivi trenta giorni compila l'elenco dei beni da espropriare ed indica le somme che offre per l'espropriazione; che l'atto che determina in via provvisoria la misura dell'indennità di espropriazione deve essere notificato al proprietario, il quale, nei trenta giorni successivi alla notificazione, può comunicare all'autorità espropriante che condivide la determinazione dell'indennità di espropriazione; che dall'accettazione, che la norma definisce irrevocabile, la legge fa derivare obbligazioni sia in capo all'espropriante che in capo al proprietario, il quale ultimo è tenuto: l) a consentire all'autorità espropriante che ne faccia richiesta l'immissione nel possesso; 2) a fornire all'autorità espropriante autocertificazione atte stante la piena e libera proprietà del bene; successivi all'accettazione la documentazione 3) a depositare nel termine di sessanta giorni l'atto comprovante la piena e libera proprietà del bene; che nel caso di specie, mentre i ricorrenti hanno esattamente e puntualmente adempiuto a quanto dalla legge impone al proprietario del bene, l'amministrazione comunale è rimasta assolutamente inadempiente; che a mente dell'art. 20 n. 9 dpr 327/2001 il Comune intimato avrebbe dovuto procedere alla stipula dell'atto di cessione del bene, avendo i proprietari assolto gli obblighi dalla legge posti a loro carico; che, in ogni caso, il mancato pagamento dell'indennità di espropriazione nella misura offerta ed accettata vieta all'espropriante l'adozione del decreto di esproprio; che l'atto di cessione volontaria, dunque, per la sua natura contrattuale è soggetto alla disciplina privatistica caratterizzata dall'incontro paritetico della volontà, che da tale natura discendono tutti gli effetti del contratto, non ultima la validità della cessione anche nel caso in cui l'acquirente non corrisponda l'indennità concordata nel termine stabilito e, soprattutto, la sussistenza della responsabilità di natura contrattuale da parte dell'acquirente, con il conseguente obbligo di risarcire il danno, stante la non restituibilità del bene, che ogni controversia di tale tipologia rientra nella giurisdizione dell' AGO, quale giudice dei diritti.
2) falsa ed erronea applicazione di legge; difetto di motivazione; illegittimità costituzionale.
nella determinazione n. 352 del 27/10/2009.
Il Comune di Belluno ha dato atto che in forza dell'accettazione, ai ricorrenti spetta la somma di euro 38.585,28 a titolo d'indennità di espropriazione ma aggiunge che "verificati ai sensi dell'art. 37 comma 7 t.u., gli importi denunciati ai fini ICI, le somme erogabili ammontano ad euro 26.671,73"; che il provvedimento impugnato è errato e nullo in quanto il Comune espropriante giustifica la riduzione dell'importo concordato a titolo di indennità di espropriazione con l'applicazione dell'art. 37 co 7 t.u. espropriazione; che la norma richiamata (art. 37 tue) non è applicabile al caso di specie giacchè trattandosi di espropriazione di area edificata trova applicazione il successivo art. 38 tue, che in ogni caso quel che rileva è soprattutto la considerazione che i criteri dettati dalla legge per la determinazione dell'indennità devono essere applicati dall'ente espropriante prima della comunicazione della determinazione stessa al proprietario, sicchè una volta avvenuta la notifica dell'indennità di espropriazione con invito al proprietario di comunicare se intende accettarla, l'indennità si cristallizza e diviene definitiva con la conseguenza che non può più essere modificata; che nel caso di specie il Comune per talune particelle ha annullato l'indennizzo con l'assunto immotivato che per ciascuna, i proprietari avrebbero dovuto effettuare singole ed autonome dichiarazioni di valore ai fini ICI; che l'assunto non trova riscontro nella determinazione 27.10.2009 n. 352.
L'amministrazione comunale di Belluno si è costituita in giudizio eccependo preliminarmente la tardività del ricorso nonché l'inammissibilità dello stesso, per difetto di giurisdizione, nella parte in cui l'azione investe la determinazione dell'indennità di esproprio e comunque la sua infondatezza chiedendone la reiezione con vittoria di spese.
Nella memoria conclusiva la stessa amministrazione ha contestato l'eccessività e la sconvenienza di alcune espressioni usate dal patrocinio avversario ed ha chiesto, ai sensi dell'art. 89 c.p.c., la cancellazione di tali espressioni, espressamente indicate, siccome inopportune ed offensive.
All'udienza pubblica del gennaio 2011, previa audizione dei difensori delle parti, il ricorso è stato posto in decisione.
DIRITTO
In via preliminare va esaminata l'eccezione di tardività del ricorso, opposta dall'amministrazione comunale intimata sul rilievo che oggetto dell'impugnazione è, in principalità, il decreto di esproprio n. 9 dell' 11.2.2010 e che tale provvedimento - ritualmente notificato agli odierni ricorrenti a mezzo del servizio postale ovvero avvalendosi dei messi comunali- è stato tardivamente impugnato, come risulta dalle attestazioni dimesse in giudizio.
Nello specifico: per il sig. R. D. la notifica si è perfezionata in data 2.3.2010 per la sig.ra N. B., l'1 marzo 2010 e per il sig. E. V. il 3.3.2010 (doc. 2, 3 e 4 depositati il 16 giugno 2010).
Il termine ultimo per la proposizione del gravame sarebbe stato dunque, rispettivamente, il 1^ maggio 2010, i1 30 aprile 2010 ed il 2.5.2010 laddove il ricorso è stato notificato solo il 24 maggio 2010: e dunque, come eccepito, tardivamente, con conseguente irricevibilità del gravame.
L'eccezione anzidetta è perciò fondata e, per sua natura, dirimente.
Non rileva, infatti, né potrebbe, come pretende parte ricorrente, la circostanza che lo stesso ricorso fosse stato già notificato il 30 aprile 2010, senza tuttavia essere, successivamente, depositato essendo in corso trattative con l'amministrazione, trattative di cui non risulta traccia in atti e che peraltro sarebbero comunque irrilevanti ai fini della dedotta tardività del ricorso.
Parimenti tardiva, ma in questo caso prima ancora inammissibile per difetto di giurisdizione è la domanda di annullamento della determinazione dirigenziale n. 352 del 27.10.2009 (doc. 5), ricevuta dai ricorrenti in data il dicembre 2009 e da questi ultimi non impugnata nei termini, in quanto ritenuta atto interno al procedimento.
In realtà poiché è con tale provvedimento che l'amministrazione ha stabilito in complessivi euro 26.671,73 la somma da riconoscersi ai ricorrenti quale indennità di espropriazione: somma che i ricorrenti contestano assumendo di avere diritto all'indennizzo nella maggior misura di euro 38.585,28, appare evidente, come si evince dallo stesso ricorso, che la causa petendi è costituita proprio dalla rivendicata differenza tra il quid minus stabilito nella nota impugnata e la somma offerta ai ricorrenti e da costoro irrevocabilmente accettato, con i decreti n. 36, 37 e 38 del 26 giugno 2007.
Ne consegue che la controversia, come anche gli stessi ricorrenti ammettono, rientra, ex art. 53 co. 3^ del T.U. 327/2001, nella giurisdizione dell'AGO.
Appartengono, infatti, alla giurisdizione del G.O. le domande proposte dal cedente per conseguire non solo il pagamento dell'indennità di esproprio ma anche l'integrazione o la riliquidazione dell'indennizzo, poiché anche tali controversie, al pari di quelle concernenti il quantum dell'indennità espropriativi definitiva, si ricollegano al diritto soggettivo dell'istante ad ottenere un congruo indennizzo per la perdita del bene (Cass. S.S.U.U. 27 aprile 2007 n. 9845; id. Cass. S.S.U.U. 28 ottobre 2009 n. 22756).
E ciò vale anche nel caso in cui la contestazione riguardi, come nella specie, la decurtazione che l'amministrazione ha ritenuto di apportare all'indennità di esproprio offerta ed irrevocabilmente accettata dai ricorrenti, alla quale avrebbe dovuto far seguito la cessione bonaria dei lotti espropriati, cui l'amministrazione si è sottratta in declinata applicazione dell'art. 37 comma 7 del DPR 327/2001.
Tale orientamento, infatti, pur se con qualche oscillazione, è stato recentemente condiviso dalla giurisprudenza maggioritaria del giudice amministrativo (cfr.,ex multis, Cons. St., sez. V, 11 agosto 2010, n. 5617; Cons. St., sez. IV, 31 marzo 2009, n. 2001; T.A.R. Abruzzo - L'Aquila, 8 febbraio 2003, n. 32; T.A.R. Lazio- Roma, sez. III, 10 giugno 2010, n. 17070).
Nel declinare la propria giurisdizione il Collegio individua nel giudice ordinario il giudice fornito di giurisdizione, ai sensi di quanto prescritto dal primo comma dell'art. 59 della l. 16 giugno 2009, n. 69 e, per il principio della "translatio iudicii" dichiara che sono salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda e che il giudizio potrà essere riassunto davanti al giudice ordinario competente "con le modalità e secondo le forme previste per il giudizio davanti al giudice adito in relazione al rito applicabile";
Per questa parte, salva l'irricevibilità del gravame nei confronti del decreto di esproprio, il ricorso va quindi dichiarato inammissibile.
Quanto alla richiesta della difesa dell'amministrazione di cancellazione di alcune espressioni usate dal patrocinio della parte ricorrente il Collegio ritiene che sussistano i presupposti dell'uso sconveniente ed ingiustificato delle seguente frasi, delle quali ordina, ex art. 89 C.P.C. la cancellazione e precisamente: "Il comportamento del comune dolomitico appare dunque la classica furbata, degna di un bottegaio e non già di un ente pubblico che per qualche anno ha goduto della fama di migliore comune d'Italia. Se questo è il migliore, figuriamoci il peggiore!. (pag. 8, da riga 22 a riga 24).
Va altresì cancellata, per la stessa ragione, le frasi "Donde l'abuso di potere che, sotto altro profilo assume connotazione penalmente rilevante" (pag. 6 riga 1) in quanto riferita ad azione amministrativa putativamente illegittima e non illecita come invece implica la frase anzidetta.
Le spese di causa seguono, quindi, come d'ordine, la soccombenza e, previa parziale compensazione, sono liquidate nella misura di cui al dispositivo.
P. Q. M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara in parte irricevibile e per il resto inammissibile per difetto di giurisdizione, spettando quest'ultima al giudice ordinario, presso il quale la causa potrà essere riassunta nel termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della presente pronuncia.
Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese e delle competenze di causa che, previa compensazione per la metà liquida in euro 2000,00 (duemila euro) oltre ad iva e c.p.a.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 12 gennaio 2011 con l'intervento dei magistrati:
IL PRESIDENTE-ESTENSORE
Angelo De Zotti
IL CONSIGLIERE
Angelo Gabbricci
IL REFERENDARIO
Marina Perrelli
Depositata in Segreteria il 7 aprile 2011
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Arretramento delle recinzioni
Lunedì 18 Aprile 2011 18:59
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N. 18/2011 Reg. Sent.
N. 2907 Reg. Ric.
ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima) ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2907 del 2000, proposto da:
M. G., rappresentato e difeso dagli avv. Lamberto Lamberti e Claudio Massa, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Torino, via Pietro Palmieri, 49;
contro
COMUNE di CERVASCA, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Gianni Martino ed Eros Morra, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Torino, via Stefano Clemente, 22;
nei confronti di
Geom. O. G., non costituito;
per l'annullamento
della deliberazione n. 24 del 16.5.2000 del Consiglio Comunale di Cervasca pubblicata all'albo pretorio del Comune dal 14 al 29 giugno 2000;
del diniego in data 14.6.2000 della concessione edilizia richiesta dal ricorrente,
nonché per l'annullamento
di ogni provvedimento presupposto, conseguente o comunque connesso ai due predetti e per il risarcimento dei danni subiti
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Cervasca;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 dicembre 2010 il dott. Ariberto Sabino Limongelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Il signor M. G. riferisce di essere proprietario di alcuni fondi siti nel Comune di Cervasca, censiti catastalmente al Foglio 13 mappali 581 e 806, frontistanti la strada ...omissis....
2. Con istanza del 18.11.1998, egli chiedeva al predetto Comune il rilascio della concessione edilizia per la realizzazione, sui predetti fondi, di un fabbricato per civile abitazione.
Nell'istanza precisava, per quel che rileva, che il fabbricato sarebbe stato edificato a distanza di sei metri dall'antistante strada vicinale di via ...omissis..., in modo tale da rispettare il disposto dell'art. 41.4. delle vigenti norme attuative di piano regolatore; precisava altresì che la predetta strada vicinale aveva una larghezza di metri 3,90.
3. Il Comune istruiva la domanda acquisendo, tra l'altro, alcuni pareri legali; quindi, su conforme parere della Commissione Edilizia, respingeva l'istanza con provvedimento del 26.10.1999.
Nella motivazione del diniego, il Comune osservava, in particolare: che la strada vicinale di via Fenoglio aveva una larghezza di metri 6 (e non 4); che ciò risultava sia dal rogito notarile di acquisto dell'area interessata dall'edificazione sia dallo stato dei luoghi, in particolare dopo che alcuni proprietari frontisti la predetta strada di via Fenoglio avevano provveduto ad arretrare le recinzioni in precedenza realizzate, dando esecuzione ad una sentenza pronunciata dal Tribunale civile di Cuneo su domanda dello stesso signor M.; che, di conseguenza, il progetto presentato da quest'ultimo avrebbe implicato l'edificazione del nuovo fabbricato ad una distanza di appena 4 metri dal confine della strada vicinale, in violazione dell'art. 41.4 delle Norme Tecniche di Attuazione del PRGI (laddove esso prescrive che "nelle aree di completamento a qualunque destinazione, l'allineamento degli edifici sulla strade sarà di mt 6,00 per strade di larghezza inferiore a mt 7,00").
4. Il signor M. non impugnava il predetto diniego, ma, con istanza del 30.12.1999, chiedeva un riesame della pratica edilizia, allegando un parere del proprio legale.
5. Il Comune procedeva al riesame disponendo un "supplemento di istruttoria", acquisendo, in particolare, un nuovo parere del proprio legale.
6. Quindi, con delibera n. 24 del 16.05.2000, il Consiglio Comunale così stabiliva:
- disponeva, nell'esercizio dell'attività discrezionale consentita dall'art. 41.1 delle Norme di Attuazione del P.R.G.I., che per l'edificazione sul lotto libero di proprietà del signor M., in fregio alla strada di uso pubblico denominata Via ...omissis..., fosse rispettata la distanza di metri 6 dal confine stradale;
- dava atto che a seguito dell'abbattimento delle recinzioni esistenti da parte dei proprietari frontisti dei lotti a valle di quello del M., la strada in argomento aveva una larghezza di circa metri 6,00.
7. Con successivo provvedimento prot. 3172 del 14.06.2000, il Comune di Cervasca, facendo proprie le considerazioni espresse dal legale dell'ente nel parere in data 30.03.2000 ed uniformandosi espressamente agli indirizzi dettati dal Consiglio Comunale nella predetta delibera n. 24 del 16.05.2000, negava nuovamente al signor M. il rilascio della concessione edilizia richiesta, sul rilievo che "l'intervento edilizio in progetto contrasta con le previsioni dell'art. 41.1 delle norme di attuazione del PRGI laddove si richiede che l'allineamento degli edifici sulle strade deve essere di mt 6,00 per strade di larghezza (inferiore a) mt 7,00".
8. Con ricorso notificato il 27.09.2000 e depositato il 24.10.2000, il signor M. impugnava dinanzi a questo Tribunale i due provvedimenti da ultimo citati e ne invocava l'annullamento sulla base di quattro motivi con i quali lamentava vizi di violazione di legge e di eccesso di potere sotto plurimi profili, che saranno in seguito esaminati.
9. Sulla base di tali motivi, il ricorrente chiedeva l'annullamento degli atti impugnati e la condanna dell'Amministrazione al risarcimento dei danni asseritamente sofferti, danni quantificati in Lire 248.000.000 nella perizia di parte prodotta in atti.
10. Si costituiva il Comune di Cervasca eccependo preliminarmente la tardività del ricorso; in subordine, ne contestava la fondatezza e ne invocava il rigetto.
11. In prossimità dell'udienza di discussione, entrambe le parti depositavano documenti e memorie.
12. All'udienza pubblica del 16 dicembre 2010, sentiti i difensori delle parti come da verbale, il collegio tratteneva la causa per la decisione.
DIRITTO
1. Va osservato che, pressochè contestualmente alla proposizione del presente gravame, il ricorrente ha presentato al Comune di Cervasca, in data 18.10.2000, una nuova domanda di concessione edilizia. Dal progetto allegato alla domanda sembra di comprendere che il ricorrente si sia adeguato alla prescrizioni dell'Amministrazione arretrando il prospetto sud del fabbricato in modo tale da contenerlo a distanza di almeno 6 metri dal confine della strada vicinale di via ...omissis.... Detta istanza è stata accolta con il rilascio in data 17.07.2001 della concessione edilizia n. 3835/2001.
Dalla lettura delle difese, si evince altresì che il fabbricato è stato realizzato ed è attualmente abitato dai figli del ricorrente.
2. Ciò posto, vanno esaminate in primo luogo le eccezioni preliminari sollevate dalla difesa comunale.
2.1 Con una prima eccezione, essa ha contestato la tardività del ricorso in quanto proposto avverso un diniego meramente confermativo del precedente diniego del 26.10.1999 non impugnato.
L'eccezione è infondata dal momento che l'atto impugnato non ha carattere meramente confermativo essendo stato adottato a seguito di un supplemento di istruttoria e di una rinnovata valutazione degli elementi di fatto e di diritto (Consiglio Stato, sez. IV, 15 settembre 2010, n. 6878; T.A.R. Toscana Firenze, sez. II, 21 settembre 2010, n. 6400; T.A.R. Piemonte Torino, sez. II, 26 ottobre 2007, n. 3291).
2.2. Con una seconda eccezione, la difesa comunale ha rilevato l'improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse dal momento che, in corso di causa, il ricorrente avrebbe effettivamente ottenuto la concessione edilizia richiesta in relazione allo stesso identico progetto allegato all'istanza precedente, con l'unica diversità che, rispetto al progetto originario, il fabbricato sarebbe stato arretrato di quel tanto che serviva a rispettare la distanza prescritta dalle norme di PRG rispetto al confine della strada vicinale.
Anche tale eccezione è però infondata. La presentazione della nuova istanza di concessione edilizia in relazione ad un progetto modificato secondo i desiderata dell'Amministrazione non implica acquiescenza agli atti sfavorevoli in precedenza adottati, dal momento che l'acquiescenza implica un comportamento "inequivoco" assunto "spontaneamente" dall'interessato (TAR Toscana Firenze, sez. III, 11 marzo 2004, n. 671; TAR Liguria Genova, sez. I, 21 febbraio 2003, n. 225; TAR Trentino Alto Adige Bolzano, 06 dicembre 2001, n. 344).
Nel caso di specie, non sembrano sussistere tali requisiti.
Benchè la concessione edilizia sia stata rilasciata e l'immobile realizzato, sussiste ancora l'interesse del ricorrente ad ottenere l'annullamento degli atti impugnati, anche soltanto a fini risarcitori, dal momento che, come si evince dagli atti, a seguito dell'arretramento imposto dal Comune, il fabbricato effettivamente realizzato ha assunto una superficie ed una volumetria (e quindi anche un valore di mercato) inferiori a quelli che avrebbe avuto in base al progetto originario non approvato dall'Amministrazione.
3. Si può, quindi, passare ad esaminare il merito delle censure proposte.
Nel merito, il ricorso è infondato e va respinto.
3.1. Con il primo motivo, riferito specificamente alla delibera del consiglio comunale di Cervasca n. 24 del 16.05.2000, il ricorrente ha lamentato l'insufficiente motivazione dell'atto impugnato, il quale, dopo aver dato atto che l'Amministrazione, anziché imporre l'edificazione a distanza di 6 metri dalla via ...omissis..., avrebbe potuto concedere la realizzazione del nuovo fabbricato lungo l'allineamento degli edifici esistenti, non avrebbe illustrato minimamente le ragioni che l'avevano fatta propendere per la prima di tali alternative.
Il collegio ritiene che la censura non possa essere condivisa.
L'art. 41.4 comma 1 lettera b) delle Norme Tecniche di Attuazione del PRGC del Comune di Cervana, vigente alla data di adozione degli atti impugnati, prescriveva che "fatti salvi gli allineamenti esistenti che il Comune intende far rispettare, nelle aree di completamento e nelle aree di nuovo impianto a qualunque destinazione, l'allineamento degli edifici sulle strade sarà di mt. 6 per strade di larghezza inferiore a mt 7 e di mt. 10 per strade di larghezza superiore a mt. 7".
La norma fissava, nel contempo, una regola e un'eccezione: la regola era rappresentata dalla necessità che i "nuovi" allineamenti rispettassero la distanza di almeno 6 metri sulle strade di larghezza inferiore a 7 metri e di 10 metri su quelle di larghezza superiore a 7 metri; l'eccezione era invece rappresentata dagli allineamenti già "esistenti", che venivano "fatti salvi", ossia mantenuti nell'attuale consistenza.
Dal momento che la domanda di concessione edilizia presentata dal ricorrente riguardava una costruzione "nuova" prospiciente una strada vicinale di larghezza inferiore a 7 metri, il Comune non aveva alcuna necessità di motivare in modo particolare l'imposizione della distanza di sei metri prescritta dalla predetta regola generale, se non, appunto, richiamando quest'ultima: sarebbe stata casomai la deroga a tale regola generale a dover essere congruamente motivata dall'amministrazione, non il contrario.
3.2. Con il secondo motivo, il ricorrente ha lamentato la violazione del predetto art. 41.4, comma 1 lett. b) norme di attuazione del PRGI del Comune di Cervasca. Secondo il ricorrente, la distanza di 6 metri tra la nuova costruzione ed il filo stradale doveva essere calcolata considerando la larghezza "attuale" della strada vicinale di via ...omissis..., pari a 4 metri. Questa, infatti, era la larghezza della strada riconosciuta dallo stesso Consiglio Comunale di Cervasca nella delibera n. 33 del 26.03.1999. E' irrilevante che la larghezza della predetta strada sia stata successivamente ampliata per altri 2 metri, dal momento che ciò è avvenuto in forza della servitù di passaggio di cui era titolare soltanto il ricorrente (e non il Comune di Cervasca) nei confronti dei fondi limitrofi e a seguito di una sentenza del tribunale di Cuneo che fa stato solo tra le parti del giudizio (tra le quali non è ricompresa l'amministrazione comunale). L'arretramento delle recinzioni, se ha certamente ampliato la servitù di passaggio di cui era titolare il ricorrente, non ha per ciò stesso determinato un ampliamento anche della strada vicinale, ossia della servitù di uso pubblico, la cui consistenza è quella che risulta attestata da formali titoli giuridici. Inoltre, quand'anche si volesse ritenere che l'arretramento delle recinzioni esistenti abbia comportato l'acquisto della servitù di uso pubblico da parte dell'Amministrazione in forza della "dicatio ad patriam", ciò potrebbe sostenersi, in ogni caso, solo in relazione alle particelle interessate da detto arretramento, ma non per i residui mappali frontistanti la strada vicinale, ossia per i mappali n. 581 (appartenente al ricorrente) e nn. 805 e 777 (appartenenti a terzi).
Osserva il collegio che anche tale censura è infondata e va disattesa.
Dagli atti di causa si evince che la via ...omissis... è stata inclusa al numero 45 delle "strade vicinali di uso pubblico" del Comune di Cervasca con delibera del consiglio comunale n. 10 del 17.02.1989.
In origine, la larghezza della strada era di sei metri: il che si evince dagli atti pubblici prodotti in giudizio dal ricorrente (docc.2-4), risalenti agli anni 1971-1976, in cui già si dava atto dell'esistenza di una "strada di allacciamento alla strada provinciale ...omissis... della larghezza di metri sei", strada che gli acquirenti dei lotti di terreno frontistanti si impegnavano a "lasciare libera lungo tutto il lato di giorno".
Dagli atti di causa si evince altresì che nel corso degli anni successivi alcuni dei predetti proprietari hanno avanzato le recinzioni dei propri fondi sino al punto di invadere per circa due metri la predetta strada vicinale, finendo così per ridurne l'ampiezza dagli originari sei metri a circa quattro.
Tale situazione è successivamente cessata in conseguenza del giudizio civile introdotto dall'odierno ricorrente, il quale è sfociato nella predetta sentenza del Tribunale di Cuneo, ottemperando alla quale i predetti proprietari hanno nuovamente arretrato le proprie recinzioni, ripristinando l'originaria ampiezza della strada vicinale.
Questa era dunque la situazione allorchè l'Amministrazione si è determinata sull'istanza di riesame presentata dall'odierno ricorrente. Adottando gli atti impugnati, l'Amministrazione non ha fatto altro che:
- prendere atto che, per effetto dell'arretramento delle recinzioni, la strada vicinale aveva ripreso la propria originaria consistenza di metri 6 di larghezza;
- imporre, conseguentemente, ai sensi del citato art. 41.4 delle NTA del PRGC, che il nuovo fabbricato per il quale era richiesto il rilascio della concessione edilizia venisse realizzato a distanza di sei metri dal filo di detta strada, calcolato, quest'ultimo, tenendo conto della larghezza attuale della stessa, pari appunto a sei metri;
- negato al ricorrente di edificare a distanza inferiore.
Secondo il collegio, le determinazioni assunte appaiono legittime ed immuni dalle censure dedotte.
3.3. Con il terzo motivo, il ricorrente ha lamentato la violazione dell'art. 4 L. 28.1.19777 nr. 10 e dell'art. 31 L. 17.8.1942 nr. 1150". Secondo il ricorrente, la sua domanda di concessione edilizia avrebbe dovuto essere esaminata in base agli strumenti urbanistici allora vigenti. Nel caso di specie, gli strumenti urbanistici vigenti avrebbero consentito il rilascio della concessione richiesta, dal momento che sulle cartografie allegate al vigente PRGC la strada vicinale di via ...omissis... risultava avere una larghezza di metri 4.
La censura è infondata.
Come si è detto, gli atti di causa convincono che la strada vicinale, che già in origine aveva una larghezza di metri 6, alla data di adozione degli atti impugnati aveva riacquistato la sua consistenza originaria. Le cartografie allegate al PRGC non riportavano affatto la strada vicinale, quindi non risponde al vero che le stesse la raffigurassero di larghezza pari a 4 metri.
3.4. Con il quarto e ultimo motivo, il ricorrente ha lamentato vizi di eccesso di potere per contraddittorietà del comportamento della Pubblica Amministrazione, per travisamento dei fatti e/o per motivazione incongrua o illogica. Secondo il ricorrente, il comportamento assunto dall'amministrazione comunale sarebbe contraddittorio sotto diversi profili: infatti, mentre la delibera consiliare n. 33/99 dava atto che la strada vicinale era larga 4 metri, la successiva delibera impugnata parlava di 6 metri; mentre la prima delibera affermava che l'ampiezza della strada vicinale era indipendente dalla vertenza civile tra i proprietari frontisti, il diniego impugnato è stato invece fondato proprio sulla diversa ampiezza che la strada aveva assunto in seguito alla sentenza del tribunale di Cuneo; gli stessi pareri resi dal legale dell'ente in sede procedimentale erano stati tra loro contraddittori. Inoltre, secondo il ricorrente l'affermazione contenuta nella delibera impugnata, secondo cui "a seguito dell'abbattimento delle recinzioni.........la strada in argomento ha una larghezza di circa m. 6,00", non corrispondeva all'effettiva situazione di fatto in quanto, in corrispondenza del fondo di proprietà del ricorrente e di quelli limitrofi di proprietà dei signori A. e G., la carreggiata della strada aveva mantenuto la precedente ampiezza di soli metri 4.
Il collegio osserva che anche tale censura è infondata.
Nonè dato rilevare alcuna contraddittorietà nel comportamento del Comune, in quanto:
- le due delibera consiliari nn.33/99 e n. 24/2000 si collocano in due contesti temporali e fattuali totalmente differenti: la prima si colloca nel periodo anteriore al ripristino della larghezza originaria della strada vicinale; la seconda, invece, si colloca dopo quel momento;
- lo stesso dicasi per i pareri resi dal legale dell'ente;
- l'affermazione secondo cui la carreggiata della strada vicinale avrebbe mantenuto una larghezza di 4 metri in corrispondenza del fondo di proprietà del ricorrente e di quelli limitrofi di proprietà A. e G., non solo è rimasta priva di ogni riscontro, ma è stata contraddetta dalla difesa comunale (cfr. memoria Comune per l'udienza del 15 luglio 2010: pag. 8) attraverso affermazioni in punto di fatto che non sono state contestate ex adverso.
Alla stregua di tali considerazioni, il ricorso va rigettato perché infondato.
Le spese di lite possono essere compensate attesa la peculiarità delle questioni trattate.
P. Q. M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, lo respinge e compensa le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 16 dicembre 2010 con l'intervento dei magistrati:
IL PRESIDENTE
Franco Bianchi
L'ESTENSORE
Ariberto Sabino Limongelli
IL PRIMO REFERENDARIO
Richard Goso
Depositata in Segreteria il 14 gennaio 2011
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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Dirigenti degli enti locali: competenze in materia urbanistica ed edilizia
Lunedì 18 Aprile 2011 18:50
N. 2037/2010 Reg. Sent.
N. 489 Reg. Ric.
ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sezione staccata di Latina (Sezione Prima) ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 489 del 2000, proposto da:
A. E., rappresentato e difeso dall'avv. Graziella Turriziani, con domicilio eletto in Latina, presso l'Avv. Trabucco Corso Repubblica 200;
contro
Comune di Frosinone, in persona del Sindaco p. t., rappresentato e difeso dall'avv. Angelo Barletta, con domicilio eletto in Latina, presso l'Avv. Salvigni, via Statuto 24;
per l'annullamento
del provvedimento in data 18.1.2000 prot. 45/URB, notificato l'8.2.2000, con cui il Dirigente del Settore Urbanistica - Pianificazione del Territorio del comune di Frosinone ha espresso diniego relativamente alla domanda di sanatoria presentata dal ricorrente in data 28.2.95;
di ogni altro atto precedente, presupposto, connesso e consequenziale, fra cui il verbale di accertamento dei VV.UU n. 65 del 10.2.1995 a carico della sig.ra M. T..
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Frosinone;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 dicembre 2010 il dott. Roberto Maria Bucchi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO E DIRITTO
1) Con ricorso notificato in data 17 marzo 2000 e depositato il successivo 6 aprile, il sig. A. E. ha impugnato il provvedimento descritto in epigrafe, con cui il dirigente del Settore Urbanistica del comune di Frosinone ha respinto la domanda di condono edilizio presentata in data 28.2.1995 sul presupposto che i manufatti risultano realizzati successivamente al termine del 31.12.1993.
2) A sostegno del gravame, il ricorrente deduce le seguenti censure:
I) Incompetenza del Dirigente.
Il diniego di sanatoria rientra nella competenza del Sindaco.
II) Violazione degli artt. 7, 8 e 10 L. 241/90:
Il provvedimento è viziato da omessa comunicazione dell'avvio del procedimento.
III) Violazione e falsa applicazione dell'art. 39 comma 1 L. 724/94 ed eccesso di potere per carenza di istruttoria.
Contrariamente a quanto affermato nel provvedimento impugnato, i lavori sono stati ultimati alla data del 15.12.1993, come confermato dalle allegate dichiarazioni testimoniali.
3) Con atto depositato in data 28 settembre 2000, si è costituito in giudizio il comune di Frosinone deducendo l'infondatezza del ricorso.
4) Alla pubblica udienza del 2 dicembre 2010, la causa è stata riservata per la decisione.
5) Il ricorso è infondato
6) Contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, "l'art. 6, l. n. 127 del 1997, modificando l'art. 51, l. n. 142 del 1990, ha previsto alla lett. f) che spettano alla competenza dei dirigenti "i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi, il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni, anche di natura discrezionale, nel rispetto di criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti, da atti generali di indirizzo, ivi comprese le autorizzazioni e le concessioni edilizie"; successivamente, la l. n. 191 del 1998 ha, a sua volta, modificato l'art. 6, l. n. 127 del 1997, introducendo la lett. f bis) secondo la quale spettano ai dirigenti "tutti i provvedimenti di sospensione dei lavori, abbattimento e riduzione in pristino di competenza comunale, nonché i poteri di vigilanza edilizia e di irrogazione delle sanzioni amministrative previsti dalla vigente legislazione statale e regionale in materia di prevenzione e repressione dell'abusivismo edilizio e paesaggistico-ambientale;", così espressamente attribuendo alla dirigenza la competenza in materia di applicazione di sanzioni edilizie; a norma dell'art. 51 comma 3, l. 8 giugno 1990 n. 142 (oggi, d.lg. 18 agosto 2000 n. 267), infine, sono di competenza dei dirigenti "tutti i compiti, compresa l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, che la legge e lo statuto espressamente non riservino agli organi di governo dell'ente": in tale mutato quadro normativo, deve dunque ritenersi implicitamente abrogata ogni previsione della l. n. 47 del 1985 relativa alla competenza del sindaco in materia, dal momento che tutti i provvedimenti di gestione amministrativa in materia edilizia ed urbanistica, compreso quindi il rigetto di una richiesta di concessione edilizia in sanatoria o di condono, rientrano ora nella sfera di competenza del dirigente" (cfr. TAR Campania Napoli Sez. II 13.2.2009 n. 802).
7) Quanto al secondo motivo, è pacifico che "la previa comunicazione di avvio del procedimento di cui all'art. 7 l. 7 agosto 1990 n. 241, non è richiesta quando il procedimento è stato attivato su istanza di parte"(C.d.S. 8.6.2010 n. 3624).
8) Infine, dalla documentazione fotografica prodotta in giudizio si evince inequivocabilmente che i manufatti in argomento non sono completati al rustico come prescritto dall'art. 31 della L. 47/85.
Ai fini della sussistenza dei presupposti richiesti dall'art. 43, comma 5, l. n. 47/1985 per l'ottenimento della sanatoria, per opere non ultimate devono intendersi quelle completate almeno al rustico, ossia mancanti solo delle finiture, ma necessariamente comprensive delle tamponature esterne che realizzino in concreto i volumi rendendoli individuabili ed esattamente calcolabili; per lavori attinenti alle strutture realizzate e che siano strettamente necessari alla loro funzionalità si intendono i soli lavori necessari per assicurare la funzionalità di quanto già costruito in modo tale da aver già acquistato una fisionomia tale da renderne riconoscibile il disegno progettuale e la destinazione e non lavori destinati ad integrare le opere con interventi edilizi che danno luogo di per sé a nuove strutture (C.d.S. Sez. VI 27.6.2008 n. 3288).
9) In conclusione, il ricorso deve essere respinto, siccome destituito di giuridico fondamento.
10) Le spese seguono la soccombenza.
P. Q. M.
definitivamente pronunciando sul ricorso R.G. 489/2000, lo rigetta.
Condanna il ricorrente alle spese e competenze del giudizio, che liquida in complessivi euro 3.000 (tremila).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Latina nella camera di consiglio del giorno 2 dicembre 2010 con l'intervento dei magistrati:
IL PRESIDENTE
Francesco Corsaro
L'ESTENSORE
Roberto Maria Bucchi
IL CONSIGLIERE
Santino Scudeller
Depositata in Segreteria il 22 dicembre 2010
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Ultimo aggiornamento Lunedì 18 Aprile 2011 18:59
A chi "tocca" l'obbligo di rimuovere e smaltire dei rifiuti insistenti ai lati di una strada statale?
Mercoledì 13 Aprile 2011 15:38
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N. 4313/2010 Reg Sent.
N. 1917 Reg. Ric.
ANNO 2001
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Seconda) ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1917 del 2001, proposto da:
Ente Nazionale per le Strade (Anas), rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari, domiciliato per legge in Bari, alla via Melo n. 97;
contro
Sindaco del Comune di Andria; Comune di Andria, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti Giuseppe De Candia e Giuseppe Di Bari, con domicilio eletto in Bari presso l'avv. A.Bagnoli, alla via Dante n. 25;
per l'annullamento
dell'ordinanza sindacale n. 406/2001, notificata l'8.10.2001, con la quale si è intimata all'A.N.A.S., sotto comminatoria di esecuzione di ufficio, la bonifica delle aree limitrofe alla S.S. n. 98 al km. 27,500 ed al km. 27,400;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Andria, in persona del Sindaco p.t.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 ottobre 2010 la dott.ssa Giacinta Serlenga e udito per la parte ricorrente il difensori avv. G.De Candia;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue;
FATTO E DIRITTO
1. - L'Ente nazionale per le strade ha impugnato l'ordinanza del Sindaco di Andria n. 406/2001, avente ad oggetto l'ordine di rimuovere e smaltire i rifiuti presenti su aree limitrofe alla S.S. n. ...omissis..., assumendo che tale onere non possa essere imposto ai proprietari delle aree interessate in assenza di imputabilità della violazione a titolo di dolo o colpa. In altri termini, la mancata cooperazione nella violazione escluderebbe, come nel caso di specie, la configurabilità di una responsabilità solidale del proprietario.
Si è costituito in giudizio il Comune di Andria con atto prodotto in data 18.10.2002 esplicitando poi le difese in successiva memoria del 20 ottobre 2010, depositata in vista della trattazione del gravame.
2.- Il gravame è infondato e va respinto.
Ed invero, se in linea di principio deve concordarsi con la tesi prospettata dall'A.N. A.S. non possono essere ignorate le peculiarità della fattispecie concreta.
L'oggetto del presente giudizio è costituito da una contestazione concernente il soggetto obbligato a provvedere alla rimozione e allo smaltimento di rifiuti rinvenuti su un determinato fondo.
L'Amministrazione ricorrente richiama l'interpretazione prevalente e costante fornita dalla giurisprudenza dell'art. 14, comma 3 del D. lgs. n. 22/97, secondo cui il proprietario del terreno su cui sono stati abbandonati i rifiuti è responsabile dell'abuso, in solido con il soggetto che ha commesso il fatto illecito -ed eventualmente da solo se quest'ultimo resta sconosciuto- esclusivamente allorquando, ai fini della commissione dell'illecito, gli si possa imputare un comportamento doloso o colposo.
E, in effetti, deve convenirsi che in mancanza di adeguata dimostrazione da parte dell'amministrazione procedente, sulla base di un'istruttoria completa e di un'esauriente motivazione (quand'anche fondata su ragionevoli presunzioni o su condivisibili massime d'esperienza), dell'imputabilità soggettiva della condotta, devono ritenersi illegittimi gli ordini di smaltimento di rifiuti abbandonati in un fondo che siano indiscriminatamente rivolti al proprietario del fondo stesso in ragione della sua sola qualità.
Del resto è in tal senso il dato testuale dell'art. 14 richiamato ed è di analogo tenore il sopravvenuto art. 192 del d.lgs. n. 152/2006 che reca la nuova disciplina in materia, disponendo l'abrogazione di quella precedente (cfr. art. 264).
Nella specie viene tuttavia in considerazione una dirimente disposizione ulteriore, che rende superfluo qualsiasi accertamento in ordine alla configurabilità in capo all'Ente proprietario di una concreta responsabilità anche per omissione delle cautele e degli accorgimenti che l'ordinaria diligenza suggerisce ai fini di un'efficace custodia: l'art. 14 del codice della strada (d.lgs. n. 285/1992).
Tale disposizione pone un onere incondizionato di manutenzione, gestione e pulizia delle strade e -testualmente- "delle loro pertinenze" a carico degli enti proprietari delle strade stesse (quali l'A.N.A.S. nel caso di specie) allo scopo di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione; e di pertinenze si tratterebbe nel caso in esame secondo le prospettazioni delle difese del Comune non contestate sotto tale profilo dall'Amministrazione resistente.
Deve pertanto ritenersi sussistente in capo all'A.N.A.S., in applicazione della richiamata norma del codice della strada, l'obbligo di provvedere alla rimozione dei rifiuti intimata con l'ordinanza gravata.
3. In conclusione, il ricorso deve essere respinto. Tuttavia in considerazione della peculiarità della controversia, si ritiene di procedere alla compensazione delle spese di giudizio.
P. Q. M.
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sede di Bari, seconda Sezione, lo respinge. Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 21 ottobre 2010 con l'intervento dei magistrati:
IL PRESIDENTE
Amedeo Urbano
L'ESTENSORE
Giacinta Serlenga
IL CONSIGLIERE
Vito Mangialardi
Depositata in Segreteria il 28 dicembre 2010
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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Gestione rifiuti: dalla raccolta allo smaltimento finale
Martedì 05 Aprile 2011 16:16
Alberto Ingrao
N. 474/2011 Reg. Prov. Coll.
N. 1188 Reg. Ric.
ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Prima) ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1188 del 2009, integrato da motivi aggiunti, proposto da M. s.r.l., rappresentata e difesa dagli avv.ti Paola Cairoli e Riccardo Salvini, poi sostituiti dagli avv.ti Carla Chianese, Lazzaro Di Trani e Bice Annalisa Pasqualone, con domicilio eletto presso quest'ultima in Bari, via Dalmazia, 161;
contro
Azienda Ospedaliero Universitaria Ospedali Riuniti di Foggia, rappresentata e difesa dagli avv.ti Vito Aurelio Pappalepore e Simonetta Mastropieri, con domicilio eletto presso il primo in Bari, via Pizzoli, 8;
nei confronti di
MA. s.p.a., rappresentata e difesa dagli avv.ti Stefano Baccolini, Francesco Rizzo e Giampaolo Sechi, con domicilio eletto presso quest'ultimo in Bari, via Camillo Rosalba, 47/Z;
A. s.r.l., rappresentata e difesa dagli avv.ti Stefano Baccolini, Giampaolo Sechi, con domicilio eletto presso quest'ultimo in Bari, via Camillo Rosalba, 47/Z;
per l'annullamento
con il ricorso principale:
- dei verbali della Commissione giudicatrice nell'ambito della procedura di gara indetta con bando del 16 aprile 2008 dall'Azienda Ospedaliero Universitaria Ospedali Riuniti di Foggia, per l'affidamento quinquennale del servizio di raccolta, trasporto, smaltimento e recupero dei rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo e non, e dei rifiuti sanitari non pericolosi, prodotti dagli stabilimenti dell'Azienda stessa, laddove è stata ammessa a partecipare la MA. s.p.a.;
- dell'aggiudicazione provvisoria a favore di MA. s.p.a.;
con l'atto di motivi aggiunti depositato il 30 settembre 2009:
- della determinazione n. 1745 del 16 settembre 2009, con cui l'Azienda ospedaliera ha disposto l'aggiudicazione definitiva dell'appalto alla MA. s.p.a.;
- del disciplinare di gara e del capitolato speciale d'appalto, per quanto occorra, nella parte relativa all'attività di smaltimento dei rifiuti affidata a terzi in convenzione con l'appaltatore;
con l'atto di motivi aggiunti depositato il 20 maggio 2010:
- della determinazione n. 384 del 23 febbraio 2010, con cui l'Azienda ospedaliera ha autorizzato la A. s.r.l. a smaltire i rifiuti presso impianti diversi rispetto a quanto indicato nel progetto tecnico valutato in sede di gara;
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Azienda Ospedaliero Universitaria Ospedali Riuniti di Foggia, di MA. s.p.a. e di A. s.r.l.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 gennaio 2011 il dott. Savio Picone e uditi per le parti i difensori avv.ti Bice Annalisa Pasqualone, Carla Chianese, Sara Cacciatore (per delega di Vito Aurelio Pappalepore), Giampaolo Sechi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. L'Azienda Ospedaliero Universitaria Ospedali Riuniti di Foggia ha indetto, con bando del 16 aprile 2008, una procedura aperta per l'affidamento quinquennale del servizio di raccolta, trasporto, smaltimento e recupero dei rifiuti sanitari pericolosi e non pericolosi, prodotti dai propri stabilimenti, da aggiudicarsi con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, di importo a base di gara pari a euro 4.750.000.
Pervenute due sole offerte, è risultata aggiudicataria la MA. s.p.a., con il punteggio complessivo di 100, mentre la M. s.r.l. ha conseguito il punteggio di 79,1 e si è classificata seconda.
2. Con il ricorso principale, la M. s.r.l. impugna i verbali di gara e l'aggiudicazione provvisoria alla società controinteressata, affidandosi a due motivi così riassumibili:
- violazione dell'art. 118 del d. lgs. n. 163 del 2006 ed eccesso di potere per illogicità, in quanto l'Azienda ospedaliera avrebbe illegittimamente consentito di svolgere le attività di termodistruzione, smaltimento finale e recupero dei rifiuti mediante convenzione con soggetti terzi titolari di impianti, così sostanzialmente dando luogo a vero e proprio subappalto di una parte rilevante del servizio;
- violazione del capitolato speciale d'appalto e del disciplinare di gara ed eccesso di potere per illogicità contraddittorietà e carenza di istruttoria, in quanto l'aggiudicataria non avrebbe dimostrato di poter conferire talune tipologie di rifiuti negli impianti convenzionati.
Si sono costituite l'Azienda ospedaliera e la MA. s.p.a., resistendo al gravame.
Con ordinanza n. 474 del 23 luglio 2009, questa Sezione ha respinto l'istanza cautelare.
3. Con motivi aggiunti depositati il 30 settembre 2009, la ricorrente impugna poi la determinazione n. 1745 del 16 settembre 2009 (recante l'aggiudicazione definitiva dell'appalto alla MA. s.p.a.) e l'art. 6 del disciplinare di gara (nella parte relativa all'attività di smaltimento dei rifiuti affidata a terzi in convenzione con l'appaltatore), reiterando la censura di violazione dell'art. 118 del d. lgs. n. 163 del 2006 ed eccesso di potere per illogicità, carenza di istruttoria, violazione della lex specialis di gara e, in subordine, chiedendo di accertarsi l'illegittimità di quest'ultima, in quanto la legge non consentirebbe di gestire le attività di termodistruzione, smaltimento finale e recupero dei rifiuti mediante subappalto a terzi. Chiede inoltre la condanna dell'Amministrazione al risarcimento del danno, commisurato alle spese inutilmente sostenute per la partecipazione alla gara, al lucro cessante pari al 10% del valore dell'appalto ed al danno curriculare.
L'Azienda ospedaliera e la MA. s.p.a. hanno replicato ai motivi aggiunti.
Questa Sezione ha nuovamente respinto l'istanza cautelare, con ordinanza n. 626 del 7 ottobre 2009.
4. Infine, con gli ultimi motivi aggiunti depositati il 20 maggio 2010, la ricorrente chiede l'annullamento della determinazione n. 384 del 23 febbraio 2010, con cui l'Azienda ospedaliera ha autorizzato la A. s.r.l. (frattanto subentrata alla MA. s.p.a. nella gestione del servizio, a seguito di cessione d'azienda) a smaltire i rifiuti sanitari presso impianti diversi rispetto a quelli indicati nell'offerta tecnica valutata in sede di gara. Deduce, avverso tale atto, violazione dell'art. 6 del capitolato speciale d'appalto, violazione degli artt. 118 e 183 del d. lgs. n. 163 del 2006, difetto di motivazione, violazione dei principi in materia di procedura di evidenza pubblica ed eccesso di potere per difetto di presupposto, travisamento, contraddittorietà, illogicità, difetto di istruttoria e sviamento: afferma, in sintesi, che l'Amministrazione avrebbe illegittimamente autorizzato a posteriori lo smaltimento presso impianti non ricompresi nella convenzione esaminata in sede di gara, peraltro privi delle caratteristiche tecniche richieste per la termodistruzione e lo stoccaggio definitivo, in violazione del chiaro disposto del capitolato d'appalto, che commina la revoca immediata dell'affidamento, nell'ipotesi di conferimento dei rifiuti in impianti non dichiarati nell'offerta.
L'Azienda ospedaliera e la controinteressata A. s.r.l. hanno replicato anche agli ultimi motivi aggiunti.
5. Le difese hanno depositato memorie in vista della pubblica udienza del 26 gennaio 2011, nella quale la causa è passata in decisione.
DIRITTO
1. E' improcedibile il ricorso principale, proposto avverso l'aggiudicazione provvisoria dell'appalto alla MA. s.p.a., in quanto nel corso del giudizio è sopravvenuta l'aggiudicazione definitiva, che la ricorrente ha ritualmente impugnato mediante i primi motivi aggiunti.
Va peraltro rilevato che, in questi ultimi, non è stata riproposta (ed è dunque implicitamente abbandonata) la seconda censura introdotta con il ricorso originario, attinente all'asserito difetto, da parte dell'aggiudicataria, del titolo per conferire taluni codici di rifiuti negli impianti convenzionati.
2. Nel merito, i primi motivi aggiunti sono infondati.
La M. s.r.l., secondo classificata nella procedura aperta indetta dall'Azienda ospedaliera per l'affidamento quinquennale del servizio di raccolta, trasporto, smaltimento e recupero dei rifiuti sanitari pericolosi e non pericolosi prodotti dai propri stabilimenti, contesta la mancata esclusione dell'aggiudicataria MA. s.p.a. e, in via gradata, contesta la legittimità della stessa lex specialis di gara, per violazione dell'art. 118 del d. lgs. n. 163 del 2006, ove intesa nel senso di consentire lo svolgimento delle attività di termodistruzione, smaltimento finale e recupero dei rifiuti (ossia di una parte rilevante del servizio posto in gara) mediante convenzione con imprese terze, titolari di impianti a ciò autorizzati, in tal modo dando luogo ad un vero e proprio subappalto non dichiarato.
La censura non ha pregio.
Il disciplinare di gara richiede, quale requisito di ammissione, che il concorrente alleghi:
- dichiarazione resa nelle forme dell'autocertificazione, da almeno tre proprietari di forno inceneritore (per i rifiuti a rischio infettivo) e da almeno due proprietari di impianti (per le restanti tipologie di rifiuti), con la quale si assicuri la messa a disposizione dell'impianto in favore dell'impresa concorrente;
- copia delle convenzioni in essere con almeno tre impianti di termodistruzione e copia delle relative autorizzazioni amministrative, complete dei codici identificativi dei rifiuti ammessi;
- copia delle convenzioni stipulate con titolari di impianti idonei allo smaltimento finale ed al recupero dei rifiuti sanitari (pericolosi e non pericolosi) prodotti dall'Azienda ospedaliera;
- copia delle autorizzazioni amministrative relative ad almeno due impianti idonei a ricevere i rifiuti sanitari dell'Azienda ospedaliera;
- dichiarazione resa nelle forme dell'autocertificazione, con la quale il titolare di ciascun impianto si impegna ad accettare i rifiuti sanitari per tutta la durata dell'appalto, con indicazione specifica dei codici rifiuti accettati;
- dichiarazione resa nelle forme dell'autocertificazione, da almeno due titolari di impianti di termodistruzione, con la quale si attesti la presenza di un sistema di bonifica dopo l'uso dei contenitori utilizzati per lo smaltimento dei rifiuti a rischio infettivo.
Il disciplinare puntualizza, al riguardo, che "il possesso dell'impianto potrà rivenire da proprietà ovvero mediante il ricorso all'istituto dell'avvalimento, ovvero mediante la costituzione di un R.T.I. all'interno del quale almeno un'impresa sia proprietaria di un impianto".
La MA. s.p.a., non essendo proprietaria di impianti, ha allegato alla propria offerta le convenzioni con i titolari di impianti inceneritori e di impianti di smaltimento finale, complete delle dichiarazioni richieste dal disciplinare di gara (cfr. la documentazione versata in atti dalla difesa di parte controinteressata il 22 luglio 2009).
Con i motivi aggiunti, la ricorrente non contesta la conformità di detta documentazione a quanto prescritto dal bando di gara.
Tanto premesso, non può accogliersi la tesi secondo cui le concorrenti avrebbero dovuto necessariamente associare in a.t.i. le imprese titolari degli impianti "convenzionati", ovvero dichiarare esplicitamente il ricorso al subappalto per la fase di smaltimento dei rifiuti sanitari.
Il disciplinare di gara legittimamente consente, con formula affatto ampia e generica, di dimostrare la disponibilità degli impianti di termodistruzione e di smaltimento finale, debitamente autorizzati, senza prescrivere alcuna particolare forma giuridica per la sua acquisizione in via negoziale.
Con riguardo a fattispecie analoghe, la giurisprudenza ha già avuto modo di sottolineare che la vigente normativa sui rifiuti non postula un legame necessario ed inscindibile fra attività di raccolta, trasporto e conferimento di rifiuti e loro smaltimento finale, ben potendo le distinte fasi del complessivo servizio essere svolte da imprese diverse. Ciò perché, in primo luogo si tratta di operazioni del tutto autonome fra loro, ed in secondo luogo perché non è pensabile (a causa della carenza di un sufficiente numero di aree idonee) imporre a ciascuna impresa operante nel settore di possedere una propria autonoma discarica o un proprio impianto di smaltimento finale. Pertanto, il servizio di raccolta, trasporto e conferimento dei rifiuti presuppone quasi di necessità che l'operazione finale (lo smaltimento) sia appannaggio di un soggetto diverso rispetto a quello che svolge le fasi antecedenti. Ma se così è, ne consegue che in relazione ad affidamenti quali quello in discussione non è a parlarsi di subappalto (che peraltro è un istituto di generale applicazione, ai sensi della normativa comunitaria) e, a rigore, neppure di avvalimento in senso stretto, visto che anche l'avvalimento presuppone che i mezzi dell'impresa terza vengono utilizzati per svolgere una fase dell'appalto, poiché il risultato che l'Amministrazione persegue è semplicemente quello di essere certa che lo smaltimento finale dei rifiuti sanitari avvenga secundum legem (in questo senso, si veda TAR Puglia, Lecce, sez. II, 24 novembre 2006 n. 5467; TAR Toscana, sez. II, 23 gennaio 2009 n. 87).
Discende dalle considerazioni suesposte la legittimità dell'ammissione della MA. s.p.a. e del disciplinare di gara.
Sono perciò infondati i primi motivi aggiunti.
3. Sono viceversa inammissibili, per difetto di giurisdizione, i secondi motivi aggiunti, con i quali la ricorrente impugna la determinazione n. 384 del 23 febbraio 2010.
Con quest'ultima, l'Azienda ospedaliera ha autorizzato la A. s.r.l. (cessionaria d'azienda della MA. s.p.a.) a smaltire i rifiuti sanitari presso impianti diversi rispetto a quelli indicati nell'offerta tecnica della società aggiudicataria.
Secondo la ricorrente, l'Amministrazione avrebbe illegittimamente autorizzato a posteriori lo smaltimento presso impianti non ricompresi nella convenzione esaminata in sede di gara (impianti che, a suo dire, sarebbero peraltro privi delle caratteristiche tecniche richieste per la termodistruzione e lo stoccaggio definitivo), così violando il disposto dell'art. 6 del capitolato d'appalto, che sanziona con la revoca dell'affidamento l'appaltatore che conferisca i rifiuti in impianti non dichiarati nell'offerta.
Si tratta, tuttavia, di motivo afferente alla fase privatistica di esecuzione del rapporto contrattuale, con il quale si chiede sostanzialmente di accertare l'avveramento di una condizione di risoluzione per inadempimento dell'appaltatore.
Le controversie sulla corretta esecuzione del contratto, che non riguardino il procedimento pubblicistico di selezione dell'appaltatore, né attengano a provvedimenti comunque posti in essere dalla stazione appaltante nell'esercizio di poteri autoritativi, restano estranee alla sfera di giurisdizione esclusiva che spetta al giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 244 del d. lgs. n. 163 del 2006, oggi sostituito dall'art. 133, primo comma - lett. e), cod. proc. amm. (in tal senso, con riguardo alla normativa anteriore, Cons. Stato, sez. V, 13 luglio 2006 n. 4440; Cass. Civ., sez. un. , 18 ottobre 2005 n. 20116; Id., 13 marzo 2009 n. 6068; TAR Puglia, Bari, sez. I, 7 maggio 2008 n. 1093).
I secondi motivi aggiunti devono perciò essere dichiarati inammissibile per difetto di giurisdizione. Ai sensi dell'art. 11 cod. proc. amm., deve essere dichiarata la sussistenza, in ordine ad essi, della giurisdizione del giudice ordinario.
4. In conclusione, il ricorso va in parte dichiarato improcedibile, in parte respinto ed in parte dichiarato inammissibile, per quanto concerne l'azione impugnatoria e, di conseguenza, anche per ciò che attiene la domanda risarcitoria, essendo risultato legittimo l'operato dell'Amministrazione intimata.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.
P. Q. M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sede di Bari (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così provvede:
- dichiara improcedibile il ricorso principale;
- respinge i primi motivi aggiunti;
- dichiara inammissibili i secondi motivi aggiunti;
- respinge la domanda di risarcimento del danno;
- condanna la ricorrente M. s.r.l. al pagamento delle spese processuali in favore della Azienda Ospedaliero Universitaria Ospedali Riuniti di Foggia, di MA. s.p.a. e di A. s.r.l., a ciascuna nella misura di euro 5.000 (cinquemila) oltre i.v.a., c.a.p. ed accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 26 gennaio 2011 con l'intervento dei magistrati:
IL PRESIDENTE
Corrado Allegretta
L'ESTENSORE
Savio Picone
IL CONSIGLIERE
Giuseppina Adamo
Depositata in Segreteria il 24 marzo 2011
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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