Autorizzazione paesaggistica e soggetto obbligato al preavviso di rigetto: Comune e/o Soprintendenza?
Giovedì 22 Dicembre 2011 15:42
Melita Manola
N. 2082/2011 Reg. Prov. Coll.
N. 461 Reg. Ric.
ANNO 2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Prima ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 461 del 2010, proposto da:
E. A., rappresentato e difeso dall'avv. Paolo Gaballo, con domicilio eletto presso Paolo Gaballo in Lecce, via Garibaldi, 43;
contro
Soprintendenza Per Beni Arche Paes. e Patr. Stor. art. Etnoant. Prov. Di Le, Br, Ta, Ministero Per i Beni e Le Attività Culturali, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale Stato, domiciliata in Lecce, via F.Rubichi 23; Comune di Nardò;
per l'annullamento
del decreto prot. n. 0019824 del 30 novembre 2009, ricevuto in data 9 gennaio 2010, con il quale la Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio per le Province di Lecce, Brindisi e Taranto, in persona del Soprintendente ad interim, ha annullato il provvedimento di autorizzazione paesaggistica ex art. 159 del D.Lgs. 22/1/2004 n. 42 rilasciato in data 4 novembre 2008 dal Comune di Nardò in relazione ad un progetto di realizzazione di una civile abitazione e di demolizione di un locale deposito costruito abusivamente in località ...omissis..., ove occorra della nota di trasmissione prot. n. 19474/08 del 15 dicembre 2009;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Soprintendenza Per Beni Arche Paes. e Patr. Stor. art. Etnoant. Prov.Di Le,Br,Ta e di Ministero Per i Beni e Le Attività Culturali;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 gennaio 2011 il dott. Carlo Dibello e uditi per le parti i difensori Gaballo, Pedone.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il ricorrente - che, in data 22 Maggio 2008, ha presentato al Comune di Nardò un progetto per "la realizzazione di una civile abitazione (villetta su due piani con altezza massima pari a 6,97 metri) e demolizione di un locale deposito realizzato abusivamente" su un terreno di sua proprietà (ubicato in località Pagani, a cinque chilometri di distanza dal centro abitato di Nardò e a tre chilometri dalla località marina di Santa Caterina, interessato da vincolo paesaggistico), distinto in catasto al foglio 123, particella 862 (tipizzato dal vigente P.R.G. come zona B/15, nuclei residenziali con giardini) - impugna il decreto prot. n. 0019824 del 30 Novembre 2009, ricevuto in data 9 Gennaio 2010, con il quale la Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio per le Province di Lecce, Brindisi e Taranto ha annullato, ex art. 159 del Decreto Lgs. 22 Gennaio 2004 n. 42, il provvedimento di autorizzazione paesaggistica n. 185 rilasciato in data 4 Novembre 2008 dal Comune di Nardò, in relazione al predetto progetto, nonché (ove occorra) la nota di trasmissione prot. n. 19474/08 del 15 Dicembre 2009 e ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale.
A sostegno dell'impugnazione interposta sono stati formulati i seguenti motivi di gravame.
1) Violazione e falsa applicazione art. 7 Legge n. 241/1990 e art. 159 Decreto Lgs. n. 42/2004 - Difetto di motivazione - Difetto di istruttoria - Violazione del principio di leale collaborazione.
2) Violazione e falsa applicazione dell'art. 10 bis Legge n. 241/1990 e ss.mm.ii.
3) Eccesso di potere per falsità ed erroneità dei presupposti, difetto di istruttoria e difetto di motivazione - Violazione e falsa applicazione art. 3 Legge n. 241/1990 - Violazione e falsa applicazione artt. 146 e 159 Decreto Lgs. n. 42/2004 - Contraddittorietà ed illogicità dell'azione amministrativa - Disparità di trattamento - Violazione art. 53 N.T.A. del P.R.G. di Nardò - Violazione parere Soprintendenza n. 13688 - Violazione art. 97 Costituzione.
4) Violazione e falsa applicazione D.M. 20 Febbraio 1968 - Violazione e falsa applicazione D.M. 1 Agosto 1985 - Eccesso di potere per carenza di istruttoria ed erroneità dei presupposti sotto altro profilo.
5) Violazione e falsa applicazione art. 159 terzo comma Decreto Lgs. n. 42/2004.
Dopo avere diffusamente illustrato il fondamento in diritto della domanda azionata, il ricorrente concludeva come riportato in epigrafe.
Si è costituita in giudizio per il Ministero resistente l'Avvocatura erariale, depositando memorie difensive con le quali ha puntualmente replicato alle argomentazioni della controparte, concludendo per la reiezione del ricorso.
Alla pubblica udienza del 26 Gennaio 2011, su richiesta di parte, la causa è stata posta in decisione.
DIRITTO
Il ricorso è fondato e va accolto.
Osserva, in primo luogo, il Collegio che non appaiono condivisibili le censure formulate dal ricorrente nel primo, secondo, quarto e quinto dei motivi di gravame.
In proposito, appare sufficiente replicare sinteticamente che: qualora (come nel caso di specie) vi sia specifica attestazione da parte del Comune circa l'avvenuta comunicazione al privato interessato della nota di trasmissione dell'autorizzazione paesaggistica alla Soprintendenza, ai sensi dell'art. 159 secondo comma del Decreto Lgs. 22 Gennaio 2004 n. 42, tale attestazione (in ragione della sua provenienza da un ente pubblico) è da ritenersi attendibile, potendo di conseguenza la Soprintendenza prestarvi legittimo affidamento, sicchè l'eventuale vizio di materiale assenza della comunicazione non si trasmette al provvedimento ministeriale (T.A.R. Lecce, I Sezione, 4 Giugno 2009 n. 1369); solo nella fase procedimentale culminata con la statuizione comunale sulla domanda di autorizzazione paesaggistica può ipotizzarsi l'obbligo del c.d. preavviso di rigetto ex art. 10-bis della Legge 7 Agosto 1990 n. 241 e ss.mm., e non nel diverso procedimento di secondo grado contemplato dall'art. 159 del Decreto Lgs. 22 Gennaio 2004 n. 42 che coinvolge il rapporto interorganico tra la Soprintendenza e l'autorità locale che ha rilasciato l'autorizzazione paesaggistica (ex multis: T.A.R. Campania Salerno, II Sezione, 8 Luglio 2010 n. 10165); risulta "per tabulas" (ed è ammesso dallo stesso ricorrente) che l'area oggetto del progettato intervento costruttivo è sottoposta a vincolo paesaggistico diretto imposto ai sensi della Legge n. 1497/1939, sicchè non ha rilevanza l'allegato preteso erroneo riferimento contenuto nel provvedimento impugnato al D.M. 20 Febbraio 1968; il decreto di annullamento è stato emesso entro il termine di sessanta giorni dal ricevimento della documentazione integrativa (non ultroneamente) richiesta dalla Soprintendenza intimata.
Il Tribunale ritiene, invece, fondate le doglianze sollevate dalla parte ricorrente nell'ambito del terzo articolato motivo di gravame.
Dalla documentazione versata agli atti di causa emerge, infatti, con evidenza solare, l'esistenza dei vizi di legittimità ivi denunciati, considerata - in primis - l'erroneità del riferimento testuale operato nel decreto impugnato al presidio motivazionale del provvedimento autorizzatorio comunale, che non si è limitato a dire che "l'intervento non contrasta con l'ambiente circostante in rapporto alle aree edificate e non ai peculiari valori paesaggistici", ma ha invece rilevato che: "l'intervento proposto, per la conformazione stilistica semplice e razionale e per i materiali di finitura previsti per le facciate, non contrasta con l'ambiente circostante che risulta diffusamente edificato, né altera i valori paesaggistici ed ambientali del sito".
Inoltre, il decreto di annullamento gravato trascura - del tutto ingiustificatamente - sia il riferimento esplicito contenuto nell'autorizzazione paesaggistica n. 185 del 4 Novembre 2008 al "parere favorevole del Funzionario Tecnico Ing. G. D., integrato come all'art. 3 della L.R. n. 8/1995, espresso in data 11 Luglio 2008, che nel merito non rileva incompatibilità con il paesaggio", sia la circostanza (pure ivi evidenziata) che l'intervento progettato riguarda un'area compresa in un "territorio costruito" (come definito dall'art. 1.03 comma 5.1 delle N.T.A. del P.U.T.T./P) e tipizzata dal vigente P.R.G. del Comune di Nardò come zona B/15 - nuclei residenziali con giardini, in relazione alla quale l'art. 53 delle N.T.A. consente la costruzione e l'ampliamento di immobili con destinazioni residenziali, con un'altezza massima pari a 7,50 metri e con due piani fuori terra, sia il fatto che la predetta disciplina urbanistica è stata ritenuta dalla medesima Soprintendenza, in sede di approvazione del P.R.G., compatibile con la tutela dei vincoli paesaggistici imposti sulla zona.
Infine, dalla documentazione (anche fotografica) esibita in giudizio dalla parte ricorrente, emerge, inoltre, la non veridicità dell'affermazione contenuta nel provvedimento gravato secondo cui la zona in questione sarebbe caratterizzata prevalentemente da "basse costruzioni immerse nel verde" (risultando, invece, presenti in tale zona svariati immobili aventi altezza pari o superiore a quello progettato dal ricorrente).
Per le ragioni sopra illustrate il ricorso deve essere accolto.
Sussistono validi motivi per disporre la compensazione integrale tra le parti delle spese processuali.
P. Q. M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Prima definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, annulla il decreto impugnato.
Spese compensate
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 26 gennaio 2011 con l'intervento dei magistrati:
IL PRESIDENTE
Antonio Cavallari
L'ESTENSORE
Carlo Dibello
IL CONSIGLIERE
Luigi Viola
Depositata in Segreteria il 14 dicembre 2011
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Verde "privato" assoggettato ad uso pubblico
Domenica 12 Giugno 2011 18:26
Melita Manola
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Prima) ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 641 del 2006, proposto da:
L. G., rappresentato e difeso dall'avv. Giampiero De Luca, con domicilio eletto presso avv. Giampiero De Luca, in Catania, P.zza Trento, 2;
contro
Commissario Straordinario Comune Sant'Agata Li Battiati (Ct);
Assessorato Regionale Territorio ed Ambiente, Dipartimento Regionale Urbanistica, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Dello Stato, domiciliata per legge in Catania, via Vecchia Ognina, 149; Comune di Sant'Agata Li Battiati (Ct), rappresentato e difeso dall'avv. Salvatore Trimboli, con domicilio eletto presso avv. Salvatore Trimboli, in Catania, via Grotte Bianche, 117;
per l'annullamento
- del decreto del D.D. del 21.10.2005 con il quale il Dipartimento Regionale Urbanistica ha approvato il PRG, le prescrizioni esecutiva ed il regolamento edilizio del Comune di S. Agata Li Battiati;
- della delibera del Commissario Straordinario n. 47 del 22.05.2002 di adozione del PRG;
- di ogni altro atto connesso e consequenziale;
e per il risarcimento dei danni subiti;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Assessorato Regionale Territorio ed Ambiente e di Dipartimento Regionale Urbanistica e di Comune di Sant'Agata Li Battiati (Ct);
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 gennaio 2011 il dott. Francesco Bruno e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il ricorrente L. G. è proprietario di un immobile sito in S. Agata Li Battiati, censito al foglio 2, particella 574 sub 1, comprendente una villetta e terreno circostante.
Col ricorso in epigrafe, impugna il decreto del dirigente generale del Dipartimento Regionale Urbanistica, datato 21.10.2005, con il quale è stato approvato il nuovo PRG comunale, nella parte in cui impone un vincolo di destinazione a "verde privato ad uso pubblico" che interessa parzialmente il terreno in esame, ed obbliga il proprietario a mantenere il verde a cura e spese proprie. Sotto altro profilo, il ricorrente impugna la parte del PRG che prevede l'allargamento e prolungamento di una strada già esistente, che si svilupperà intorno all'immobile in esame.
A tali fini denuncia:
1.- eccesso di potere per irragionevolezza - difetto di istruttoria in ordine alla mancata proporzione tra la nuova viabilità di PRG ed i fini a cui può essere ragionevolmente preordinata ed in ordine ai titoli abilitativi rilasciati - violazione dell'art. 9 L.R. 71/1978 e 7 della L. 1150/42;
2.- eccesso di potere per irragionevolezza - violazione del divieto di porre a carico del privato prestazioni personali di carattere patrimoniale al di fuori dei casi stabiliti dalla legge - violazione dell'art. 25 L. 1150/42 - eccesso di potere per contraddittorietà.
Il ricorrente ha anche chiesto il risarcimento dei danni che gli derivano dall'impugnato PRG.
Si è costituito in giudizio per resistere, con memoria meramente formale, il Comune di S. Agata Li Battiati, che ha anche chiesto la riunione del presente ricorso con altri aventi il medesimo oggetto, contraddistinti dai nn. R.G. 500/06; 577/06; 655/06; 656/06 e 657/06.
Si è costituito anche l'Assessorato Regionale Territorio ed Ambiente.
In vista dell'udienza di trattazione del merito, fissata per il 13 gennaio 2011, parte ricorrente e l'Assessorato Regionale resistente hanno presentato memorie difensive.
A quella data la causa è passata in decisione.
DIRITTO
1.- In primo luogo, non può essere accolta la domanda di riunione del presente ricorso con gli altri indicati dalla difesa del Comune resistente atteso che: il n. R.G. 500/06 è stato già definito con sentenza n. 648/08; mentre in relazione agli altri ricorsi (nn. R.G. 577/06, 655/06, 656/06, e 657/06), pur attenendo essi genericamente al PRG comunale, non è stata evidenziata in questa sede la stretta connessione oggettiva con le problematiche specifiche sollevate col ricorso in esame.
2.- Passando all'esame del merito delle censure si osserva quanto segue.
2.1 - Col primo motivo, il ricorrente deduce l'irragionevolezza del PRG nella parte in cui prevede la realizzazione di una ampia e più profonda strada, che correrà limitrofa al lotto di sua proprietà, in tesi sproporzionata per eccesso rispetto alle potenzialità edificatorie ed alle esigenze di viabilità della zona. Inoltre, deduce che il prolungamento della strada sarebbe illogico, perché l'esigenza di collegamento con la vicina Via ...omissis... potrebbe essere adeguatamente soddisfatta con l'arteria di collegamento già esistente e collocata più a nord. Infine, denuncia il fatto che il progettato allargamento della strada andrebbe ad incidere sul muro di confine e sulle opere di sistemazione esterna del lotto di cui il ricorrente è proprietario.
Sul punto, il Collegio concorda con la difesa dell'Assessorato Regionale, laddove viene evidenziata l'insindacabilità giurisdizionale di scelte che sono espressione del cd. "merito amministrativo". Invero, ogni valutazione circa la "insufficienza", "sufficienza", o "sovrabbondanza" di un sistema viario cittadino, che venga misurata esclusivamente in rapporto alle esigenze della limitata porzione di territorio sul quale le strade progettate incidono, sfugge al sindacato del G.A., venendo in rilievo valutazioni ampiamente discrezionali della pianificazione urbanistica che prendono in considerazione le esigenze di collegamento stradale non solo dell'area residenziale in questione ma, verosimilmente, dell'intero territorio comunale o comunque di altri quartieri vicini. E proprio questa specifica finalità delle soluzioni progettuali urbanistiche consente di escludere che ricorrano quelle "macroscopiche illogicità" che rendono eccezionalmente sindacabili in sede giurisdizionale le scelte discrezionali del tipo in esame (la giurisprudenza, anche da ultimo, continua a rimanere ferma nell'affermare il principio per cui "Le scelte effettuate dall'Amministrazione nell'adozione degli strumenti urbanistici costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o abnormi illogicità," Cons. Stato, IV, 7492/2010; Cons. Stato, II, 4128/2010).
Per quanto riguarda, invece, la censurata "invasione" del terreno del ricorrente ad opera del progettato allargamento stradale, si tratta di un vizio non apprezzabile in punto di fatto allo stato attuale della progettazione.
La censura, in conclusione, risulta infondata.
2.2 Col secondo motivo di ricorso viene censurata la previsione di PRG che individua nel lotto del ricorrente una fascia di "verde privato destinato ad uso pubblico", che finisce inevitabilmente con l'incidere sulle opere in atto esistenti e determina l'obbligatorio arretramento del muro di confine della proprietà del ricorrente, in modo da rendere fruibile al pubblico come prescritto nelle N.T.A. del P.R.G. l'area a verde (salva restando, comunque, la titolarità della fascia in questione in capo al ricorrente). In più, viene censurata l'ulteriore prescrizione che addossa al proprietario l'obbligo di provvedere a sue spese alla cura e manutenzione del verde presente nella fascia in esame.
Infine, viene denunciata la illogicità della destinazione "a verde" in questione, ove raffrontata con la vastissima area a verde pubblico attrezzato per lo sport localizzata dallo stesso piano nelle vicinanze del lotto in esame.
Il Comune non ha controdedotto esplicitamente sul punto, limitandosi genericamente a chiedere il rigetto del ricorso.
Il Collegio, analizzando la previsione di PRG impugnata, ritiene di poter distinguere sul piano giuridico un doppio effetto. Da una parte, vi è l'imposizione di un vincolo di destinazione per le aree definite "verde privato ad uso pubblico", poste a contorno degli isolati nelle zone di edivsione, sulle quali non è consentita l'edificazione "ad eccezione di modeste attrezzature per il tempo libero, di gioco dei bambini, piccola ristorazione quali chioschi provvisori che devono essere realizzati in modo da non compromettere il normale passaggio dei pedoni". D'altra parte, viene precisato che i privati restano proprietari delle aree in questione, ma nel contempo viene loro imposto l'obbligo di mantenere il verde a propria cura e spese (art. 40 delle NTA, contenente la disciplina delle zone F4f del PRG).
In definitiva, emerge dalla pianificazione, da una parte, l'apposizione di un vincolo (di cui dovrà essere chiarita la natura conformativa o espropriativa); dall'altra, l'imposizione di una prestazione personale che grava sul titolare dell'area e si estrinseca in un facere.
In relazione al secondo aspetto in esame, è agevole predicarne l'illegittimità.
Infatti, avuto riguardo alla riserva di legge di cui all'art. 23 Cost. (in base al quale, "Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge"), la prestazione di mantenimento del verde addossata al proprietario (pur se relativa ad un bene che rimane nella sua sfera dominicale, ma viene assoggettato all'uso pubblico) appare illegittima, proprio per mancanza della necessaria "copertura normativa". Non si rinviene, infatti, nella legislazione urbanistica alcuna norma che legittimi gli strumenti di pianificazione del territorio ad introdurre coattivamente prestazioni personali di facere, occasionali o continuate, a carico dei cittadini. Il catalogo delle funzioni esercitabili tramite il piano regolatore contenuto nell'art. 7 della L. Urbanistica (o quello analogo stabilito per i piani particolareggiati dall'art. 13 della stessa legge, e dalla legislazione regionale siciliana - art. 9 della L.R. 71/1978), al contrario, fa comprendere come la pianificazione urbanistica si eserciti attraverso la zonizzazione del territorio, la previsione delle infrastrutture e, al massimo, tramite la introduzione a carico dei proprietari di obblighi negativi (non facere; quali ad esempio divieti di edificazione, limiti di distanza, altezze e cubature, ecc.), o di pati (nel caso di apposizione di vincoli preordinati alla espropriazione). In definitiva, non è compito dello strumento urbanistico introdurre unilateralmente disposizioni cogenti a carico dei proprietari di aree, aventi ad oggetto obblighi di facere, pur se incidenti su terreni che restano di proprietà privata.
In relazione alla prima questione posta con il motivo di ricorso in esame, concernente la tipologia di vincolo imposto col PRG, il problema si annida tutto nella qualificazione giuridica della limitazione, e nella catalogazione come vincolo "conformativo" o "sostanzialmente espropriativo"; con le profonde differenze che ne conseguono.
Per il primo aspetto, si deve ricordare che rientrano nei cd. "diritto di uso pubblico" le servitù costituite a carico di fondi privati per il conseguimento di fini di pubblico interesse. Tali limitazioni del diritto di proprietà privata possono essere costituite o per scelta volontaria del titolare del fondo (cd. "dicatio ad patriam"), ovvero per iniziativa unilaterale e coattiva dell'ente pubblico (nel qual caso assumono la veste dell'espropriazione). Quest'ultimo è lo schema strutturale che connota il caso in esame, nel quale lo strumento di pianificazione urbanistica (PRG) ha lasciato al proprietario del fondo la titolarità di una fascia di terreno, ma contestualmente la ha assoggettata in modo coattivo all'uso della collettività in genere, imponendo a tal fine consistenti divieti e limitando di fatto fortemente le facoltà di uso e godimento del bene da parte del proprietario. Si tratta, quindi, della imposizione di un vincolo a carattere propriamente espropriativo - per quanto si chiarirà di seguito - che dovrà essere reso concreto ed operante con un apposito procedimento di esproprio parziale.
In punto di diritto, va premesso che la distinzione fra vincoli "conformativi" ed "espropriativi" è stata chiarita dalla Corte costituzionale nella nota sentenza n. 179/1999 laddove si precisa che "Devono (...) essere considerati come normali e connaturali alla proprietà, quale risulta dal sistema vigente, i limiti non ablatori posti normalmente nei regolamenti edilizi o nella pianificazione e programmazione urbanistica e relative norme tecniche, quali i limiti di altezza, di cubatura o di superficie coperta, le distanze tra edifici, le zone di rispetto in relazione a talune opere pubbliche, i diversi indici generali di fabbricabilità ovvero i limiti e rapporti previsti per zone territoriali omogenee e simili." e si aggiunge che " (...) sono al di fuori dello schema ablatorio-espropriativo con le connesse garanzie costituzionali (e quindi non necessariamente con l'alternativa di indennizzo o di durata predefinita) i vincoli che importano una destinazione (anche di contenuto specifico) realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, che non comportino necessariamente espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica e quindi siano attuabili anche dal soggetto privato e senza necessità di previa ablazione del bene. Ciò può essere il risultato di una scelta di politica programmatoria tutte le volte che gli obiettivi di interesse generale, di dotare il territorio di attrezzature e servizi, siano ritenuti realizzabili (e come tali specificatamente compresi nelle previsioni pianificatorie) anche attraverso l'iniziativa economica privata - pur se accompagnati da strumenti di convenzionamento. Si fa riferimento, ad esempio, ai parcheggi, impianti sportivi, mercati e complessi per la distribuzione commerciale, edifici per iniziative di cura e sanitarie o per altre utilizzazioni quali zone artigianali o industriali o residenziali; in breve, a tutte quelle iniziative suscettibili di operare in libero regime di economia di mercato.".
Alla luce di quanto premesso, dunque, non ricorre lo schema del vincolo ablatorio allorquando la particolare conformazione data al territorio in sede di pianificazione urbanistica lasci spazio di intervento anche al privato, nel rispetto delle tipologie di opere che possono essere ivi realizzate, se ed in quanto queste non vengono riservate alla esclusiva competenza della mano pubblica. A titolo di esempio, se un'area viene destinata a parcheggio pubblico, la relativa struttura può essere realizzata sia dalla PA, sia per iniziativa del privato proprietario che potrà sfruttarla in regime di libero mercato al fine di trarne un beneficio economico (vendita, gestione diretta, ecc.). In tal caso, allora in vincolo "a parcheggio pubblico" costituisce espressione della mera potestà conformativa di cui la PA è titolare, e non ha natura espropriativa (Tar Firenze, 2012/2010; C. di S., IV, 1982/2010).
Viceversa, "sussiste un vincolo preordinato alla espropriazione le volte in cui la destinazione dell'area permetta la realizzazione di opere destinate esclusivamente alla fruizione soggettivamente pubblica, nel senso di riferita esclusivamente all'ente esponenziale della collettività territoriale. E, pertanto, nel caso (...) di parcheggi pubblici, strade e spazi pubblici, spazi pubblici attrezzati, parco urbano, attrezzature pubbliche per l'istruzione. In tali casi, evidentemente, l'utilizzatore finale dell'opera non può che essere l'ente pubblico di riferimento ed essa, in nessun caso, può essere posta sul mercato per soddisfare una domanda differenziata che, semplicemente, non esiste" (C.G.A. 19 dicembre 2008 n. 1113).
Questa seconda tipologia di vincolo è quella che caratterizza il caso in esame, dato che la nuova classificazione urbanistica introdotta con l'impugnato PRG non opera come programmazione futura ma incide su opere già esistenti aventi una propria ed attuale destinazione (giardino di pertinenza della villa), e che le modalità di uso e godimento del bene da parte del proprietario vengono di fatto annullate e sostituite dalla imposizione coattiva di un "peso" (diritto di uso pubblico) a beneficio della collettività. In più, richiamando le precisazioni contenute nella sentenza del C.G.A. appena citata, preme evidenziare che le facoltà di uso dell'area risultanti dalla nuova pianificazione sono attribuibili alla generalità indifferenziata dei residenti e che le limitatissime tipologie di opere realizzabili dal proprietario (giochi per bambini, attrezzature per il tempo libero, ecc.) non sono assolutamente suscettibili di sfruttamento a fini economici da parte del titolare nel libero mercato. Sussistono, quindi, i requisiti individuati dalla giurisprudenza per qualificare come sostanzialmente espropriativo il vincolo in esame.
Da tale affermazione, però, non discende la illegittimità della previsione di PRG in esame, ma derivano comunque conseguenze giuridiche rilevanti che condizionano l'azione presente e futura della PA. Infatti, come ha chiarito la Corte costituzionale nella ricordata sentenza n. 179/1999, in presenza di vincoli "sostanzialmente espropriativi" come quello analizzato:
a) la limitazione imposta al privato deve avere una durata limitata nel tempo, entro un range di "normale tollerabilità" che il legislatore ha discrezionalmente fissato in 5 anni (art. 2 L. 1187/1968; art. 9, D.P.R. 327/2001, T.U. Espropriazioni);
b) entro tale ambito temporale si dovrà provvedere alla formale espropriazione, che nel caso di specie avrà ad oggetto non l'intero diritto di proprietà ma solo un diritto parziale, e più in particolare la costituzione coattiva di un ius in re aliena (ipotesi espressamente contemplata dall'art. 1, co. 1, del D.P.R. 327/2001 laddove afferma che "Il presente testo unico disciplina l'espropriazione, anche a favore di privati, dei beni immobili o di diritti relativi ad immobili per l'esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità.", e dell'art. 43, co. 5, del medesimo T.U.);
c) in caso di mancato compimento della procedura espropriativa nel quinquennio, il vincolo potrà essere reiterato alla scadenza, ove persistano o sopravvengano situazioni che impongano la realizzazione dell'opera (rectius, del diritto si uso pubblico), purchè tali ragioni vengano congruamente ed ampiamente esternate in motivazione (cfr. da ultimo, C. di S., A.P. n. 7/2007);
d) "una volta oltrepassato il periodo di durata temporanea (periodo di franchigia da ogni indennizzo), il vincolo urbanistico (avente le anzidette caratteristiche), se permane a seguito di reiterazione, non può essere dissociato, in via alternativa all'espropriazione (o al serio inizio dell'attività preordinata all'espropriazione stessa mediante approvazione dei piani attuativi), dalla previsione di un indennizzo." (Corte cost. 179/1999); indennizzo ora espressamente contemplato nell'art. 39 del D.P.R. 327/2001.
In conclusione, sulla base di quanto ampiamente argomentato il ricorso deve essere in parte accolto, con l'annullamento della previsione di PRG che impone al ricorrente un obbligo di facere, e con le ulteriori conseguenze illustrate supra alle lettere a, b, c, d.
Non si fa luogo, invece alla pronuncia risarcitoria richiesta in ricorso, dato che il pregiudizio lamentato appare ancora potenziale, in quanto frutto di una previsione ancora allo stato progettuale, e viene adeguatamente riparato dalla presente decisione.
La soccombenza solo parziale delle Amministrazioni resistenti implica una condanna parziale alle spese di giudizio, come liquidate in dispositivo.
P. Q. M.
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte, nei limiti di cui al punto 2.2. della motivazione, e per l'effetto annulla in parte l'impugnato provvedimento.
Spese parzialmente a carico del Comune e dell'Assessorato Regionale resistenti, condannati in solido al pagamento di Euro 1.000, oltre IVA, CPA, contributo unificato e spese generali.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 13 gennaio 2011 con l'intervento dei magistrati:
IL PRESIDENTE
Biagio Campanella
L'ESTENSORE
Francesco Bruno
IL CONSIGLIERE
Salvatore Schillaci
Depositata in Segreteria il 23 febbraio 2011
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Giovedì 09 Giugno 2011 18:37
Alessandra Vindigni
N. 1188/2011 Reg. Prov. Coll.
N. 2267 Reg. Ric.
ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Terza) ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2267 del 2009, proposto dal Sig. V. S., rappresentato e difeso dall'avv. Dorotea Altobello, con domicilio eletto presso il suo studio in Catania, viale XX Settembre, 70;
contro
Comune di Aci Castello, in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Giovanna Miano, con domicilio eletto presso la Segreteria del Tribunale;
per l'annullamento
del provvedimento del Comune di Acicastello prot. n. 17317 del 24 giugno 2009 di revoca parziale dell'autorizzazione all'occupazione di suolo pubblico n. 17/09 del 27.3.2009
e per il risarcimento
dei danni, o, in subordine, per la liquidazione di indennizzo ex art. 21 quinquies l. 241/1990.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Aci Castello;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 marzo 2011 il Consigliere dott.ssa Alba Paola Puliatti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il ricorrente, in qualità di titolare di un esercizio commerciale per la somministrazione di alimenti e bevande denominato "...omissis..." sito in Acicastello - frazione ...omissis..., in data 16.10.2008 presentava all'Amministrazione comunale istanza per la concessione di mq. 66,64 di suolo pubblico, di cui mq. 42,64 insistenti su via ...omissis..., in corrispondenza del civico n. 81 e mq. 24 su piazza ...omissis..., per la posa di tavoli e sedie per consumazione all'aperto dall'1.4.2009 al 30.9.2009. In data 27.3.2009, il Comune emetteva il richiesto provvedimento e, conseguentemente, il ricorrente provvedeva all'acquisto dei materiali e di quant'altro occorrente all'allestimento dell'area assentita e la perimetrava secondo le prescrizioni normative vigenti.
Con nota del 15.6.2009, il Comune comunicava però l'avvio del procedimento di revoca parziale dell'atto ampliativo, limitatamente all'area di mq. 24, insistente su piazza Visconti, assumendo in motivazione che poiché nel Comune esistono solo due piazze, e considerato l'afflusso turistico durate la stagione estiva, l'autorizzazione comporterebbe la diminuzione dello spazio fruibile per l'aggregazione sociale e l'uso da parte di turisti e cittadini.
Nonostante le controdeduzioni del ricorrente con tempestiva memoria, il Comune notificava il provvedimento di revoca prot. 17317/2009, senza alcun riferimento alle ragioni esposte dal ricorrente.
Il ricorso è affidato ai seguenti motivi:
Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 7 e 10 l. 241/1990. Violazione del principio generale del giusto procedimento. Eccesso di potere per difetto di istruttoria.
Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 21 quinquies l. 241/1990 anche in relazione all'art. 97 cost.. Eccesso di potere per difetto assoluto e/o per travisamento dei presupposti di fatto. Illegittimità per difetto assoluto di motivazione.
Eccesso di potere per violazione dei principi di tutela dell'affidamento e buona fede per difetto assoluto di motivazione.
Il ricorrente avanza domanda di risarcimento del danno ex art. 7, comma 3, l. 1034/71 e, in via subordinata, domanda di indennizzo ex art. 21 quinquies della l. 241/1990, che quantifica nella misura di euro 5.720,40 oltre interessi, pari alle spese vive occorse per l'allestimento dell'area assentita.
Resiste in giudizio il Comune intimato.
All'udienza del 23 marzo 2011 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
DIRITTO
La domanda di annullamento dell'atto impugnato non può essere accolta.
Il primo motivo di ricorso, col quale si lamenta la violazione delle norme relative alla partecipazione al procedimento e, più in generale, la violazione del principio del giusto procedimento, non può trovare accoglimento.
L'assegnazione di un termine di soli 5 giorni per presentare le proprie controdeduzioni a seguito della comunicazione di avvio del procedimento di revoca dell'autorizzazione già concessa, ancorchè esiguo, non ha pregiudicato la possibilità di partecipazione del ricorrente, che di fatto ha predisposto e depositato una propria completa memoria.
E d'altro canto, se il ricorrente avesse ritenuto insufficiente il predetto termine, ben avrebbe potuto chiedere ed ottenere dalla P.A. un adeguata proroga per meglio esporre le proprie ragioni avverso il preavviso di revoca parziale della concessione de qua.
Col secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia il travisamento dei fatti, in quanto la piazza sarebbe di dimensioni ridotte e in posizione arretrata rispetto al mare, tanto da non poter pregiudicare il godimento delle bellezze panoramiche. La motivazione del provvedimento, inoltre, sarebbe insufficiente, e non mostra di tenere in considerazione le ragioni esposte dal ricorrente. Inoltre, egli sarebbe stato discriminato rispetto ai gestori di altre attività commerciali che si affacciano sulla piazza ...omissis..., che per lunga tradizione hanno potuto occupare la medesima area per analoghe attività imprenditoriali.
Osserva il Collegio che il provvedimento di autorizzazione all'occupazione di suolo pubblico riveste carattere ampiamente discrezionale; si configura come una vera e propria concessione d'uso - espressione di un potere pubblicistico ampiamente discrezionale - con la quale l'Amministrazione locale sottrae un bene pubblico all'uso comune e lo mette a disposizione di specifici soggetti (c.d. uso particolare). Pertanto, l'occupazione può essere concessa solo previo accertamento che la stessa non pregiudichi la funzione primaria o comprimaria del bene pubblico e non certo per il solo conseguimento di interessi meramente privati. Tanto è vero che le concessioni sono tutte e sempre accordate con la piena facoltà dell'Amministrazione di imporre nuove condizioni, nonché di procedere alla sua sospensione, revoca o modifica, una volte che l'interesse pubblico si appalesi prevalente su quello privato.
Si afferma in giurisprudenza che il provvedimento di revoca deve essere sorretto da una sia pur minima motivazione in ordine ai mutamenti eventualmente intervenuti nella situazione di fatto, ovvero alle ragioni per cui una situazione sia pure uguale debba essere considerata e valutata in modo diverso da quanto si fece al momento iniziale del rapporto (cfr. T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 03 novembre 2009, n. 10782).
Nella fattispecie la necessaria motivazione non è mancata, avendo il Comune addotto la necessità di riservare spazi all'uso della cittadinanza (e ciò anche a seguito di un esposto ricevuto il 17.6.2009, prot. 16624, in cui alcuni cittadini lamentavano la mancanza di spazi per lo svago dei bambini - cfr. nota del Comune del 20.11.2009 prot. SP/638 del 20.11.2009), nonché in relazione alla panoramicità della piazza, che, come si specifica nella nota sopra citata del 20.11.2011 depositata in giudizio, sebbene non sia posta sul lungomare è, tuttavia, in posizione panoramica (il che, per la verità, lo si può facilmente rilevare anche dalle mappe pubblicate nel WEB ed in particolare dalle foto satellitari della località di Acitrezza, da cui ben risulta la visione panoramica godibile dalla Piazza ...omissis... - antistante il locale del ricorrente - verso il cosiddetto "lido ...omissis..." con i suoi ben noti "scogli").
Il Comune, peraltro, chiarisce ancora in giudizio che non risultano rilasciate recentemente altre autorizzazioni per l'uso particolare della piazza (ma una sola che risale a circa 30 anni fa) e di cui il ricorrente avrebbe avuto l'onere di provare la identità di situazione topico-panormica; pertanto, nessuna concreta indicazione dimostra che una discriminazione sia stata in effetti perpetrata ai danni del ricorrente mdesimo.
Infine, va rigettato il terzo motivo di ricorso col quale si lamenta la violazione dei principi di tutela dell'affidamento e della buona fede.
La delusione delle aspettative del ricorrente, ingenerate dal rilascio del provvedimento autorizzatorio, dunque, non è sufficiente di per sé a determinare l'annullamento dell'atto di revoca, avuto riguardo alla prevalenza dell'interesse pubblico e all'esiguo lasso di tempo trascorso tra il rilascio dell'autorizzazione e la notizia dell'avvio del procedimento di revoca (meno di tre mesi).
Tuttavia, la fattispecie consente l'applicazione dell'art. 21 quinquies, l. n. 241 del 1990 che impone alla P.A. di adottare l'atto di revoca prevedendo un congruo indennizzo per il pregiudizio economico che ne deriva a carico del destinatario dell'atto (e ciò a prescindere dalla legittimità intrinseca del provvedimento, ed anche indipendentemente da ogni concreto profilo di violazione dei canoni comportamentali di correttezza, buona fede e di tutela dell'affidamento).
Ne discende che, non dovendo essere condotta alcuna indagine sulla pregiudiziale illegittimità del provvedimento amministrativo, né su profili di colpevolezza imputabili all'Amministrazione procedente, si deve soltanto dimostrare, da parte del pretendente l'indennizzo, l'oggettiva verificazione di pregiudizi economicamente apprezzabili, collegati causalmente all'emanazione dell'atto di revoca (cfr. T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 03 luglio 2008, n. 6817). Inoltre, l'indennizzo va circoscritto al danno emergente, come espressamente stabilito nel comma 1 bis dall'art. 21 quinquies comma 1 bis l. 8 agosto 1990 n. 241 (Consiglio Stato, sez. V, 06 ottobre 2010, n. 7334).
Nella specie, il ricorrente adduce un danno pari ad euro 5.720, 00 (comprovato da fatture nn. 6 e 7 del 10.6.2009) per esborsi sostenuti al fine di apprestare gli arredi per lo sfruttamento commerciale dell'area.
Tuttavia, tenuto conto che parte dell'attrezzatura (sedie, tavolini, ombrelloni, banco frigo, etc.) potrà comunque essere utilizzata, visto che si tratta di revoca parziale della concessione dell'area antistante il locale, si ritiene equo determinare l'indennizzo nella misura del 50% di quanto richiesto, ovvero nella somma di euro 2.700,00.
In conclusione, va rigettata la domanda di annullamento del provvedimento impugnato, mentre va accolta in parte la domanda di indennizzo avanzata dal ricorrente.
Le spese di giudizio, attesa la parziale soccombenza, si compensano tra le parti.
P. Q. M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta, salvo che per la domanda relativa all'indennizzo, nei sensi di cui in motivazione.
Le spese si compensano tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 23 marzo 2011 con l'intervento dei magistrati:
IL PRESIDENTE
Calogero Ferlisi
L'ESTENSORE
Alba Paola Puliatti
IL CONSIGLIERE
Gabriella Guzzardi
Depositata in Segreteria il 12 maggio 2011
Riqualificazione delle zone bianche
Giovedì 09 Giugno 2011 09:22
Valentina Russo
N. 995/2011 Reg. Prov. Coll.
N. 402 Reg. Ric.
ANNO 2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Prima ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 402 del 2011, proposto da:
A. M. e A. P., rappresentati e difesi dagli avv. Antonio P. Nichil, Rosaria Romano, con domicilio eletto presso Antonio P. Nichil in Lecce, viale Leopardi, 151;
contro
Comune di Manduria, rappresentato e difeso dall'avv. Annalisa Di Giovanni, con domicilio eletto presso Segreteria Tar in Lecce, via F. Rubichi 23; Regione Puglia;
per l'annullamento
del silenzio rifiuto formatosi a seguito dell'inutile decorso del termine di giorni 30 dalla notifica dell'atto di diffida stragiudiziale del 17/12/2010 al Comune di Manduria, pervenuto in data 30/12/2010, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Manduria;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 27 aprile 2011 il dott. Luigi Viola e uditi altresì, l'Avv. Nichil per i ricorrenti e l'Avv. Di Giovanni per l'Amministrazione resistente;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
I ricorrenti sono proprietari di un terreno in Brindisi, via ...omissis..., distinto in catasto al foglio n. 48, p.lla 515.
Il suddetto immobile veniva tipizzato dal vigente P.R.G.C. approvato con delib. 13 aprile 1970 n. 13, in parte come zona destinata all'edificazione di una scuola materna con relativo verde pubblico, in parte alla realizzazione di una nuova sede stradale ed in parte alla realizzazione di una autostazione.
Essendo scaduto il vincolo per decorso del quinquennio, presentavano un ricorso in materia di silenzio rifiuto che era accolto dal T.A.R. con la sentenza n. 14 del 2005; la successiva sentenza n. 3527 del 2005 nominava un Commissario ad acta, individuato nell'Arch. G. T., che adottava una deliberazione (la n. 1 del 2006), attribuendo all'area di proprietà dei ricorrenti la destinazione C/2-semintensiva.
Dopo la presentazione di un'osservazione e la trasmissione alla Regione Puglia di documentazione integrativa, la Giunta Regionale, con deliberazione 11 dicembre 2007 n. 2132, rilevava come e rinviava la variante al Comune di Manduria, < >.
A seguito di presentazione di ulteriore ricorso in materia di silenzio rifiuto da parte dei ricorrenti (accolto con la sentenza n. 3626 del 2008 del T.A.R., che ha dato successivamente vita alla nomina di altro Commissario ad acta, con la sentenza 2273/2009), il Commissario Prefettizio al Comune di Manduria, con la deliberazione n. 11 del 25 novembre 2009, riadottava la variante, richiamando sostanzialmente la motivazione già posta a base della deliberazione 16 gennaio 2006 n. 1 del Commissario ad acta; con deliberazione 26 aprile 2010 n. 1067, la Giunta Regionale rinviava definitivamente la variante al Comune di Manduria, ai sensi dell'art. 16, 11^ comma della l.r. n. 56 del 1980, richiamando sostanzialmente le ragioni di diniego già esplicitate con la precedente deliberazione 11 dicembre 2007 n. 2132.
In data 30 dicembre 2010, i ricorrenti notificavano all'Amministrazione comunale di Manduria atto di diffida invitandolo < >; non ricevendo risposta, presentavano il presente ricorso chiedendo l'accertamento dell'illegittimità del silenzio rifiuto formatosi sull'istanza e la declaratoria dell'obbligo per il Comune di Manduria di pronunciarsi sul detto atto di diffida.
Si costituiva in giudizio l'Amministrazione comunale di Manduria.
Alla camera di consiglio del 27 aprile 2011 il ricorso passava quindi in decisione.
DIRITTO
Il ricorso è fondato e deve pertanto essere accolto.
In via preliminare, deve rilevarsi come non possano sussistere dubbi in ordine alla decadenza ex art. 9, 2^ comma t.u. 8 giugno 2001, n. 327 (t.u. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità) della tipizzazione impressa all'area di proprietà dei ricorrenti (in parte a zona destinata all'edificazione di una scuola materna con relativo verde pubblico, in parte alla realizzazione di una nuova sede stradale ed in parte alla realizzazione di una autostazione) dal P.R.G.C. approvato con delib. 13 aprile 1970 n. 13; con tutta evidenza, si tratta, infatti, di aree destinate alla realizzazione di opere ad iniziativa esclusiva dell'ente pubblico e, quindi, di vincoli che non possono certo essere considerati di tipo conformativo, essendo, al contrario, finalizzati all'adozione di successivi provvedimenti di tipo espropriativo (in questo senso, si veda la precedente sentenza 11 gennaio 2005, n. 14 del T.A.R.).
E' poi ormai abbondantemente decorso il termine di cinque anni dall'imposizione del vincolo, avvenuta con la deliberazione di approvazione del P.R.G.C. di Manduria.
Essendo ormai ampiamente decorso il termine per la conclusione del procedimento (da individuarsi, in mancanza di termini specifici, nel termine sussidiario di trenta giorni, previsto dall'art. 2, 2^ comma della l. 7 agosto 1990 n. 241, nel testo modificato dalla l. 18 giugno 2009, n. 69), deve trovare accoglimento la pretesa dei ricorrenti ad un provvedimento espresso e motivato (art. 2, 1^ comma l. 7 agosto 1990 n. 241) che concluda il procedimento instaurato a seguito dell'atto di diffida notificato in data 30 dicembre 2010.
A questo proposito, la Sezione ritiene necessario precisare, in presenza di una complessa formulazione dell'atto di diffida, che l'obbligo di provvedere con un procedimento espresso non può certo essere riferito al precedente procedimento di riqualificazione originato dalla deliberazione n. 1 del 2006 adottata dal Commissario ad acta (l'Arch. G. T.) nominato dal T.A.R. con la sentenza n. 3527 del 2005; il procedimento in questione, si è, infatti, definitivamente concluso con la deliberazione 26 aprile 2010 n. 1067 della Giunta Regionale (che ha rinviato definitivamente la variante al Comune di Manduria, ai sensi dell'art. 16, 11^ comma della l.r. n. 56 del 1980) e non sono più presenti attività procedimentali del Comune di Manduria o della Regione Puglia suscettibili di azionamento in sede di silenzio rifiuto.
L'obbligo di provvedere non può poi ovviamente investire l'esercizio dei poteri di autotutela (che è comunque prospettato nell'atto di diffida notificato in data 30 dicembre 2010); per giurisprudenza assolutamente univoca, non sussiste, infatti, l'obbligo per l'Amministrazione di provvedere sulle istanze dei privati tese a sollecitare un provvedimento di autotutela, su rapporti ormai definiti, come quello che ci occupa: <> (Consiglio Stato, sez. VI, 06 luglio 2010, n. 4308; T.A.R. Marche, sez. I, 8 novembre 2010, n. 3373; T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 5 luglio 2010, n. 22486).
Al contrario, permane l'obbligo di provvedere sulla parte iniziale dell'atto di diffida notificato in data 30 dicembre 2010 ed in particolare, sulla diffida < >; la conclusione con un provvedimento definitivo (ed infruttuoso per i ricorrenti) del precedente procedimento di riqualificazione urbanistica dell'area in discorso non esclude, infatti, la permanenza dell'obbligo di integrare la programmazione urbanistica con un provvedimento che attribuisca alle "aree bianche" in discorso una nuova destinazione urbanistica, a seguito del decorso del vincolo preordinato precedentemente imposto sulle stesse e successivamente scaduto.
In sede di obbligatoria integrazione della programmazione urbanistica, il Comune di Manduria dovrà poi dare applicazione ai principi pacificamente affermati dalla giurisprudenza in ordine alla necessità di una rigorosa ed effettiva istruttoria e di <> (Consiglio Stato, sez. IV, 21 maggio 2010, n. 3233; 15 settembre 2009, n. 5521; 26 febbraio 2008, n. 683), con particolare attenzione al tempo trascorso dall'originaria imposizione del vincolo e quindi al tempo in cui il diritto di proprietà è stato compresso.
La deliberazione di riqualificazione dell'area (adottata dall'Amministrazione o dal Commissario ad acta) dovrà poi ovviamente tenere conto della compatibilità tra la tipizzazione dell'area e le previsioni del D.R.A.G. (art. 20, 4^ comma l.r. 27 luglio 2001 n. 20).
Deve quindi essere affermato l'obbligo per l'Amministrazione comunale di Manduria di pronunciarsi con provvedimento espresso sull'atto di diffida notificato in data 30 dicembre 2010 dai ricorrenti, nei limiti e secondo i principi indicati in motivazione ed entro il termine indicato in dispositivo; per l'ipotesi di eventuale inottemperanza dell'Amministrazione comunale di Manduria all'obbligo di provvedere affermato in sentenza, la Sezione nomina, fin da ora, a Commissario ad acta il Dirigente del Settore Urbanistica del Comune di Galatone, assegnandogli l'ulteriore termine di 90 (novanta) giorni per procedere alla riqualificazione dell'area.
Delega il Presidente della Sezione per la liquidazione del compenso eventualmente spettante al Commissario ad acta, già posto a carico, con la presente sentenza, del Comune di Manduria.
Le spese seguono la soccombenza e devono essere liquidate, in mancanza di nota spese, in complessivi euro 1.000,00 (mille/00).
P. Q. M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Prima definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto:
a) ordina al Comune di Manduria di pronunciarsi, con provvedimento espresso e nei limiti e secondo i principi indicati in motivazione, sull'atto di diffida notificato in data 30 dicembre 2010 dai ricorrenti, entro 90 (novanta) giorni dalla notifica o dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza;
b) per l'ipotesi di perdurante inesecuzione da parte dell'Amministrazione comunale di Manduria dell'obbligo di provvedere, nomina un Commissario ad acta, individuato nel Dirigente del Settore Urbanistica del Comune di Galatone, assegnandogli ulteriori 90 (novanta) giorni per procedere alla riqualificazione dell'area;
c) delega il Presidente della Sezione per la liquidazione del compenso eventualmente spettante al Commissario ad acta, posto a carico dell'Amministrazione comunale di Manduria.
Condanna l'Amministrazione comunale di Manduria al pagamento in favore del ricorrente delle spese di giudizio, liquidate nella somma complessiva di euro 1.000,00 (mille/00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Lecce nelle camere di consiglio del giorno 27 aprile e 25 maggio 2011 con l'intervento dei magistrati:
IL PRESIDENTE
Antonio Cavallari
L'ESTENSORE
Luigi Viola
IL REFERENDARIO
Massimo Santini
Depositata in Segreteria il 27 maggio 2011
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Impianti di distribuzione di carburanti: la D.I.A. non basta!
Domenica 29 Maggio 2011 19:16
Melita Manola
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna sezione staccata di Parma (Sezione Prima) ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 315 del 2008, proposto da E. S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avv. Giovanni Acquarone, Franco Bassi, Alessandro Salustri, con domicilio eletto presso Franco Bassi Avv. in Parma, via Petrarca 20;
contro
Comune di Piacenza, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv. Elena Vezzulli, Ermanno Lorenzetti, con domicilio eletto presso Paolo Zucchi Avv. in Parma, via Cantelli 9;
nei confronti di
Società Immobiliare A. S.a.s., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Carlo Pollorsi, con domicilio eletto presso Eugenia Monegatti Ziliotti Avv. in Parma, piazza Garibaldi 17;
sul ricorso numero di registro generale 17 del 2010, proposto da:
E. Srl, rappresentato e difeso dagli avv. Giovanni Acquarone, Franco Bassi, Alessandro Salustri, con domicilio eletto presso Franco Bassi Avv. in Parma, via Petrarca 20;
contro
Comune di Piacenza, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Elena Vezzulli, con domicilio eletto presso Paolo Zucchi Avv. in Parma, via Cantelli 9;
nei confronti di
Società Immobiliare A. S.a.s., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Carlo Pollorsi, con domicilio eletto presso l'avv. Eugenia Monegatti Ziliotti in Parma, p.zza Garibaldi 17;
per l'annullamento,
quanto al ricorso n. 315 del 2008:
dell'ordinanza dirigenziale n. 508 in data 15.09.2008 del Settore Pianificazione Territoriale del Comune di Piacenza, avente ad oggetto revoca dell'autorizzazione petrolifera intestata alla società ricorrente;
di ogni altro atto presupposto, preparatorio, consequenziale e comunque connesso.
quanto al ricorso n. 17 del 2010:
dell'ordinanza del Comune di Piacenza - Direzione Operativa Riqualificazione e Sviluppo del Territorio, n. 8 del 23.11.2009, portante diniego di nulla osta richiesto dalla società ricorrente per adeguamento accessi impianto distribuzione carburanti in Viale ...omissis...;
di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale.
Visti i ricorsi e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione di Comune di Piacenza e di Società Immobiliare A. S.a.s. in entrambi i giudizi;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatrice nell'udienza pubblica del giorno 12 gennaio 2011 la dott.ssa Emanuela Loria e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il primo dei due ricorsi in epigrafe, rubricato al n. 315/2008, la società E. impugna il provvedimento in data 15 settembre 2008 n. 508, con il quale il Comune di Piacenza ha ordinato la revoca dell'autorizzazione petrolifera nonché disposto la disattivazione dell'impianto a decorrere dal sessantesimo giorno dalla notifica dell'ordinanza.
La ricorrente ritiene che il provvedimento sia illegittimo per i seguenti motivi:
1. Violazione dell'art. 21 septies della legge 241/1990, in quanto la sospensione cautelare del provvedimento di revoca, disposta dal T.A.R. con ordinanza del 19 dicembre 2007 n. 282 precludeva al Comune di Piacenza l'assunzione di provvedimenti di identico contenuto rispetto a quello già sospeso.
2. Violazione e falsa applicazione dell'art. 3 comma1, D.lgs. 8 settembre 1999 n. 346. Violazione dell'art. 3, comma 2, d.lgs. 11 febbraio 1998 n. 32 per difetto assoluto dei presupposti di fatto e di diritto. Infatti, le esigenze di sicurezza stradale che fondano la revoca dell'autorizzazione derivano dall'attuazione della nuova viabilità prevista nel PUA AID 22 Guazzo, che costituisce uno strumento urbanistico inattuabile e, comunque, inopponibile alla ricorrente, la quale non risulta tra i proponenti del piano né tantomeno tra i suoi firmatari.
3. Violazione dell'art. 3, comma 1 D.lgs. 8 settembre 1999 n. 346. Violazione degli artt. 1 (comma 5) e 3 (comma 2) del d.lgs. 11 febbraio 1998 n. 32. Violazione dell'art. 7 della l. 24171990, eccesso di potere per difetto dei presupposti legittimanti. Sviamento, travisamento, contraddittorietà. La revoca dell'autorizzazione petrolifera è illegittima anche per essere stata comunicata alla ricorrente unitamente alla dichiarazione di incompatibilità, in violazione degli artt. 1, comma 5 e 3, comma 2 del d.lgs. 3271998, che impongono ai Comuni di comunicare, prima della revoca dell'autorizzazione, eventuali profili di incompatibilità della stessa in modo tale da consentire di presentare piani di adeguamento alle vigenti norme da effettuare nel periodo di due anni. Inoltre, la dichiarazione di incompatibilità deve essere preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell'art. 7 l. 241/1990. Ciò, nel caso di specie, non è avvenuto, e così operando, l'amministrazione ha precludo alla ricorrente la possibilità di presentare, nel termine di legge, un programma di adeguamento.
4. Nel merito, erroneità in fatto e in diritto delle contestazioni e dei profili di incompatibilità indicati nel provvedimento impugnato. Sviamento. L'amministrazione contesta all'impianto il contrasto con l'art. 46 reg. cod. strada, in quanto non sarebbero rispettate le distanze dalle intersezioni con le strade.
La contestazione è tuttavia compiuta con riguardo alla viabilità prevista e realizzata in esecuzione di un Piano attuativo che il T.A.R. ha ritenuto inopponibile alla ricorrente. Il provvedimento è motivato con il contrasto dell'impianto rispetto all'art. 46 del D.P.R. n. 495/1992, che prescrive la distanza minima di 12 metri dagli incroci; tuttavia, secondo la ricorrente, la distanza minima di 12 metri riguarda solo la realizzazione di nuovi passi carrabili, mentre per quelli preesistenti vi è un onere di adeguamento limitatamente ai casi in cui ciò sia effettivamente necessario. In secondo luogo, ammesso che l'impianto sia irregolare, il Comune avrebbe dovuto adottare una serie di accorgimenti tecnici per aumentare il livello di sicurezza stradale dell'impianto, ciò che è imposto dall'art. 22, comma 9 del C.S.
Infine, la disposizione che si assume a fondamento della chiusura dell'impianto non deve essere intesa come parametro di per sé inderogabile, nel senso che il codice pretenda il suo rispetto incondizionato, in quanto rappresenta solo un indice di allarme che, tuttavia, deve essere corroborato da precise circostanze atte ad avvalorare tale presunzione. Nel caos in questione è assente ogni riferimento a situazioni di concreto pericolo, che risulterebbero smentiti dall'attività pluridecennale del distributore di carburanti.
In data 26 febbraio 2009 è stata chiesta la misura cautelare, che il Collegio ha respinto in data 11 marzo 2009, con ordinanza n. 45/09.
Il Consiglio di Stato ha respinto l'appello avverso la misura cautelare con ordinanza n. 3266/2009.
Si è costituito in giudizio il Comune di Piacenza, con memoria in data 6 marzo 2009, chiedendo la reiezione del ricorso nel merito.
Si è costituita in giudizio anche l'Immobiliare A. con memoria in data 7 marzo 2009, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile per mancata tempestiva impugnazione di un atto presupposto (P.U.A. AID 22 Guazzo, conosciuto dalla ricorrente in quanto prodotto nel precedente ricorso pendente al n. 372/2007, nonché l'Immobiliare Sant'Ambrogio, chiedendo la reiezione del ricorso).
In vista della pubblica udienza la ricorrente ha depositato ulteriore memoria e documenti.
Con il successivo ricorso n. 17/2010, la medesima ricorrente ha impugnato l'ordinanza dirigenziale del Comune di Piacenza n. 8 del 23 novembre 2009, con la quale è stato negato il nulla osta richiesto dalla società E. s.r.l. per l'adeguamento degli accessi all'impianto di distribuzione carburanti in viale S. Ambrogio n. 25 e vietato di proseguire l'attività oggetto della denuncia di inizio attività commerciale presentata dalla stessa società per la vendita di carburanti afferente l'impianto già ubicato nello stesso viale.
La stessa ricorrente si duole per i seguenti motivi:
I) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 19 legge 7 agosto 1990 n. 241 e 1 d.lgs. 11 febbraio 1998 n. 32. Eccesso di potere. Travisamento. Il provvedimento impugnato motiva il diniego della D.I.A., asserendo che tale strumento non potrebbe essere utilizzato al fine di intraprendere l'attività di distribuzione carburanti, in quanto la legge 241/1990 rimane legge di principio, mentre la disciplina degli impianti di distribuzione di carburanti si trova nel d.lgs. 32/1998, dunque in una legge speciale, e sarebbe indifferente all'applicazione dell'art. 19 della legge 7 agosto 1990 n. 241.
Tale argomentazione non sarebbe condivisibile in quanto configura una interpretatio abrogans dello strumento della D.I.A., in quanto secondo la prospettazione comunale sarebbe percorribile solo per quelle attività per le quali sia espressamente contemplato tale modello abilitativo dalle norme di settore. In tal modo, verrebbe meno la ratio dello strumento e la lettera della legge che sancisce che la D.I.A. può essere utilizzata in via generale con riferimento a qualsiasi tipo di provvedimento abilitativo, non essendo richiesta una espressa ammissione di tale facoltà.
II) Erronea prospettazione della proprietà comunale di parte dell'area su cui sorge l'impianto. Eccesso di potere. Travisamento. Violazione e/o falsa applicazione di qualsivoglia disposizione concernente il trasferimento del diritto di proprietà. L'Ente locale asserisce, nel provvedimento impugnato, di essere proprietario di una parte dell'area su cui sorge l'impianto, tuttavia tale assunto sarebbe destituito di fondamento, in quanto esso sarebbe di piena e esclusiva proprietà di E. s.r.l. Infatti, la società non ha sottoscritto l'accordo attuativo relativo alla cessione delle aree per la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria; pertanto, anche ove si dovesse ritenere che il P.U.A. apponga sull'area un vincolo espropriativo, il mappale non è di proprietà dell'amministrazione, non essendo allo stato intervenuta alcuna delle ipotesi in cui l'ordinamento riconosce l'effetto traslativo del diritto di proprietà.
III) Eccesso di potere. Travisamento. Il provvedimento ritiene che la società non avrebbe posto in essere quanto dichiarato nella D.I.A., ovvero che non avrebbe eliminato gli aspetti di incompatibilità dell'impianto con la disciplina della circolazione stradale asserite dall'ente locale quando ha adottato il provvedimento di revoca dell'autorizzazione petrolifera, oggetto del ricorso rubricato al n. 315/2008. Invero l'ente locale lamenta che nonostante le predisposizione della segnaletica orizzontale, i veicoli continuerebbero a accedere all'area di servizio transitando dai preesistenti accessi, in tal modo, però, contestando e addebitando alla ricorrente condotte illecite degli utenti della strada.
IV) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 22, comma 1 e 2, d.lgs. 4 aprile 1992 n. 285 e 46, commi 1 e 2, lett. a), d.P.R. 16 dicembre 1992 n. 495. Eccesso di potere. Travisamento. Il provvedimento di diniego impugnato ravvisa che i profili di illegittimità già precedentemente rilevati nell'ordinanza 508/2008 permangono immutati, in particolare il mancato rispetto da parte dei nuovi accessi all'impianto di mt. 12,00 dalle intersezioni. Secondo la ricorrente anche tale contestazione è destituita di fondamento.
Infatti, come è facilmente desumibile dalla documentazione, l'attuale localizzazione degli impianti coincide con le preesistenti corsie laterali e l'obiezione dell'amministrazione comunale è priva di pregio, in concreto. Inoltre, la destinazione ad area ciclopedonale del mappale n. 49 non ha effetti concreti fino a quando il Comune non diverrà proprietario, nei modi previsti dall'ordinamento, dell'area in questione.
Si sono costituiti in giudizio il Comune di Piacenza e la contro interessata Immobiliare S. Ambrogio, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile, improcedibile e comunque respinto nel merito.
La ricorrente ha rinunciato all'istanza cautelare in data 8 febbraio 2010, chiedendo la riunione dei ricorsi in questione.
Chiamati i ricorsi alla pubblica udienza del 12 gennaio 2011 previa riunione, essi sono stati definiti nella camere di consiglio del 12 e 26 gennaio 2011.
DIRITTO
Il Collegio, preliminarmente, riunisce i ricorsi in epigrafe accomunati da identità degli elementi soggettivi e da un'unica vicenda in punto di fatto.
La questione di cui si controverte riguarda la legittima localizzazione dell'impianto di distribuzione di carburanti della società E. s.r.l..
I ricorsi sono entrambi infondati.
Con il provvedimento gravato nel ricorso 315/08 l'amministrazione locale ha revocato l'autorizzazione petrolifera in quanto non compatibile con le scelte viabilistiche e non conforme alle norme sulla circolazione stradale e la sicurezza.
1. La ricorrente lamenta, nel primo motivo, la violazione dell'articolo 21 septies della legge 241/1990, ossia la violazione e/o elusione di giudicato, in quanto sulla vicenda vi era già stato un contenzioso giurisdizionale atteso che il Comune aveva emanato una prima revoca dell'autorizzazione petrolifera; tale giudizio ha spiegato la propria fase cautelare con un'ordinanza del T.A.R., la n. 00282/2007,e con l'ordinanza del Consiglio di Stato n. 5634/08, che ha dichiarato improcedibile l'istanza cautelare, in quanto nelle more della decisione, il Comune di Piacenza ha emesso una nuova revoca dell'autorizzazione petrolifera. Secondo la ricorrente vi sarebbe una elusione del giudicato in quanto la sospensione cautelare del provvedimento di revoca, disposta dal T.A.R. con ordinanza del 19 dicembre 2007 n. 282 precludeva al Comune di Piacenza l'assunzione di provvedimenti di identico contenuto rispetto a quello già sospeso.
Il motivo è infondato, in quanto nel giudizio dell'anno 2007, rubricato al n. 372, non si è formato alcun giudicato, atteso che il Consiglio di Stato ha dichiarato, in fase di appello sull'ordinanza cautelare, l'improcedibilità della medesima per sopraggiunto difetto di interesse. Anche a voler prescindere dalla questione delle diversità tra i due provvedimenti, deve escludersi che l'appello sull'ordinanza cautelare che ha dichiarato l'improcedibilità della stessa per il sopraggiungere del nuovo provvedimento, possa far ritenere che si sia formato il giudicato anche sulle vertenze afferenti sul provvedimento successivo.
2. Con il secondo motivo la ricorrente ritiene che manchino i presupposti di fatto e di diritto per l'emanazione del provvedimento in parola, in quanto le esigenze di sicurezza stradale derivano dall'attuazione della nuova viabilità prevista nel P.U.A. AID 22 Guazzo, che costituirebbe uno strumento urbanistico inattuabile e, comunque, in opponibile alla ricorrente, la quale non risulta tra i proponenti del piano né tantomeno tra i suoi firmatari.
Il motivo è infondato. Infatti, il PUA è stato approvato in uno specifico atto del Consiglio Comunale e la ricorrente, pur dando mostra di conoscerlo - in quanto lo ha allegato al precedente ricorso n. 372/2007 - non lo ha impugnato nei termini, per cui le disposizioni di tipo urbanistico in esso contenute non sono da essa contestabili. Il fatto che la ricorrente non abbia sottoscritto la convenzione urbanistica è irrilevante atteso che essa regola i rapporti tra i lottizzanti su specifici aspetti del piano di lottizzazione, mentre le scelte urbanistiche del piano sono di carattere generale e devono essere tempestivamente impugnate da chi vuole contestarle.
3. Con il terzo motivo la ricorrente si duole del fatto che la revoca dell'autorizzazione petrolifera le è stata comunicata alla ricorrente unitamente alla dichiarazione di incompatibilità, in violazione degli artt. 1, comma 5 e 3, comma 2 del d.lgs. 3271998, che impongono ai Comuni di comunicare, prima della revoca dell'autorizzazione, eventuali profili di incompatibilità della stessa in modo tale da consentire di presentare piani di adeguamento alle vigenti norme da effettuare nel periodo di due anni. Inoltre, la dichiarazione di incompatibilità non è stata preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell'art. 7 l. 241/1990: l'amministrazione ha precludo alla ricorrente la possibilità di presentare, nel termine di legge, un programma di adeguamento.
Il motivo è privo di pregio in quanto il Comune di Piacenza già nell'anno 2007 aveva comunicato alla E. l'avvio del procedimento di revoca dell'autorizzazione petrolifera a motivo dell'incompatibilità dell'impianto con la zona storica in cui esso insite. Risulta, inoltre, che vi sia stato almeno un incontro, il 1 giugno 2007, tra i rappresentanti della società e l'amministrazione comunale, al fine di valutare la possibilità di delocalizzare l'impianto (nota in data 03 luglio 2007 del Comune)
Da tali elementi fattuali discende la piena conoscenza dell'intero procedimento e delle ragioni dell'incompatibilità da parte della ricorrente per cui le norme in rubrica non sono state violate.
4. Con il quarto motivo la ricorrente si duole di una serie di profili di merito che sarebbero stati erroneamente considerati nel provvedimento di revoca, quale, ad esempio, il mancato rispetto delle disposizioni del Codice della Strada in materia di distanze (12 mt.) degli accessi degli impianti rispetto alle intersezioni degli incroci.
Il motivo appare destituito di fondamento, atteso che il d.lgs. 285/1992, all'art. 46, sancisce che la costruzione dei passi carrabili è autorizzata dall'ente proprietario della strada nel rispetto della normativa edilizia e urbanistica vigente e il passo carrabile deve essere realizzato in modo che sia almeno a distanza di 12 metri dalle intersezioni. Nel caso di specie, giacché il P.U.A. prevede che sulla strada su cui insiste l'impianto venga realizzata una pista ciclopedonale, si applica a questo genere di strade l'art. 46 mercé il richiamo effettuato dall'art. 62 comma 3 del Regolamento di attuazione del Codice della Strada, d.p.r. 495/1992. In particolare, risulta che tale previsione non sia rispettata dall'impianto in questione dalla Relazione del Servizio Pianificazione territoriale del Comune costituito, in cui si legge che è stato riscontrato che la porzione della particella n. 49 insieme a quella segnata come "acque pubbliche" è utilizzata come spazio di manovra e di sosta per il rifornimento presso il distribuito re di carburante e, sulle stesse aree è aggettante la pensilina dell'impianto.
Tal circostanza risulta confermata dalla documentazione fotografica prodotta in atti.
Il ricorso n. 315 del 2008 deve pertanto, essere respinto.
Analogamente il Collegio ritiene infondate le doglianze contenute nel ricorso 17/2010.
Giova rammentare che il provvedimento ivi impugnato origina da una richiesta della ricorrente, successiva rispetto alla revoca dell'autorizzazione impugnata con il ricorso rubricato al n. 315/2008, con la quale veniva richiesto il nulla osta comunale per poter adeguare gli impianti incompatibili ai sensi del d.lgs 32/1998 ove si precisava che la richiesta non implica rinuncia ai ricorsi proposti innanzi al T.A.R. ne acquiescenza nei confronti degli atti impugnati, ma "costituisce un atto di volontà per addivenire con il Comune ad una soluzione della controversia che possa soddisfare gli interessi di tutti".
La ricorrente ha, inoltre, presentato una D.I.A. di attività commerciale ai sensi dell'art. 19 L. 241/1990.
Il Comune, avviato il procedimento di diniego del nulla osta, ha negato il nulla osta richiesto per l'adeguamento dell'impianto e vietato di intraprendere e proseguire l'attività commerciale oggetto della D.I.A. presentata da E. s.r.l., con il provvedimento impugnato con il ricorso n. 17/10.
Il ricorso è infondato, in quanto:
1. Con riguardo ai punti B1 e B2 del provvedimento, la ricorrente lo contesta nella parte in cui motiva il diniego della D.I.A., laddove si asserisce che tale strumento non potrebbe essere utilizzato al fine di intraprendere l'attività di distribuzione carburanti, in quanto la legge 241/1990 rimane legge di principio, mentre la disciplina degli impianti di distribuzione di carburanti si trova nel d.lgs. 32/1998, dunque in una legge speciale, e sarebbe indifferente all'applicazione dell'art. 19 della legge 7 agosto 1990 n. 241.
Tale argomentazione non sarebbe condivisibile in quanto configura una interpretatio abrogans dello strumento della D.I.A., in quanto secondo la prospettazione comunale sarebbe percorribile solo per quelle attività per le quali sia espressamente contemplato tale modello abilitativo dalle norme di settore. In tal modo, verrebbe meno la ratio dello strumento e la lettera della legge che sancisce che la D.I.A. può essere utilizzata in via generale con riferimento a qualsiasi tipo di provvedimento abilitativo, non essendo richiesta una espressa ammissione di tale facoltà.
L'interpretazione fornita dal ricorso per quanto concerne l'art. 19 della legge 241/1990 non è condivisibile, atteso che l'art. 19 non ha eliminato le leggi speciali e di settore, che prevedono per talune tipologie di attività, la permanenza dell'autorizzazione, come nel caso del d.lgs. 32/1998.
Infatti, l'art. 19 precisa che la D.I.A. è applicabile nei casi in cui non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio dei nulla osta, autorizzazioni etc... per cui non può applicarsi agli impianti di distributori di carburanti, ce sono oggetto di una programmazione territoriale ai sensi dell'art. 2 del d.lgs. 286/1998; vengono inoltre in rilievo interessi ambientali e relativi alla sicurezza stradale, per cui la D.I.A. non è applicabile anche sotto questo ulteriore profilo.
2. Con riguardo al punto 2 sollevato con riferimento al punto B3 del provvedimento, la ricorrente contesta l'affermazione contenuta nel provvedimento impugnato, per cui l'Ente locale sarebbe divenuto proprietario di una parte dell'area su cui sorge l'impianto; tale assunto sarebbe destituito di fondamento, in quanto l'area sarebbe di piena e esclusiva proprietà di E. s.r.l. Prova di ciò sarebbe che la società non ha sottoscritto l'accordo attuativo relativo alla cessione delle aree per la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria; pertanto, anche ove si dovesse ritenere che il P.U.A. apponga sull'area un vincolo espropriativo, il mappale non è di proprietà dell'amministrazione, non essendo allo stato intervenuta alcuna delle ipotesi in cui l'ordinamento riconosce l'effetto traslativo del diritto di proprietà.
Il motivo è inammissibile in quanto il giudice amministrativo non ha giurisdizione in ordine a questioni inerenti l'accertamento del diritto di proprietà, trattandosi di materia demandata alla giurisdizione del giudice ordinario.
3. Con il terzo mezzo la ricorrente ritiene che il provvedimento di diniego della D.I.A. sia illegittimo in quanto ivi si legge che la società non avrebbe già posto in essere quanto dichiarato nella D.I.A., ovvero che non avrebbe eliminato gli aspetti di incompatibilità dell'impianto con la disciplina della circolazione stradale asserite dall'ente locale quando ha adottato il provvedimento di revoca dell'autorizzazione petrolifera, oggetto del ricorso rubricato al n. 315/2008. Invero l'ente locale lamenta che nonostante le predisposizione della segnaletica orizzontale, i veicoli continuerebbero a accedere all'area di servizio transitando dai preesistenti accessi, in tal modo, però, contestando e addebitando alla ricorrente condotte illecite che sono proprie solo degli utenti della strada.
Il motivo è destituito di fondamento come risulta dalla documentazione fotografica (numero 11 prod. Comune Piacenza), atteso che risulta per tabulas che sono state apposte dei tratti di segnaletica orizzontale, non compatibili con il passaggio della pista ciclopedonale e con il corretto accesso delle autovetture all'impianto e alla strada.
4. Con il quarto motivo la ricorrente contesta il fatto che il provvedimento di diniego impugnato ravvisa il fatto che i profili di illegittimità già precedentemente rilevati nell'ordinanza 508/2008 permangono immutati, in particolare il mancato rispetto da parte dei nuovi accessi all'impianto di mt. 12,00 dalle intersezioni.
Secondo la ricorrente anche tale contestazione è destituita di fondamento.
Infatti, come è facilmente desumibile dalla documentazione, l'attuale localizzazione degli impianti coinciderebbe con le preesistenti corsie laterali e l'obiezione dell'amministrazione comunale sarebbe priva di pregio, in concreto. Inoltre, la destinazione ad area ciclopedonale del mappale n. 49 non avrebbe effetti concreti fino a quando il Comune non diverrà proprietario, nei modi previsti dall'ordinamento, dell'area in questione.
Sul profilo dell'assetto proprietario dell'area in questione si è già detto al punto 2). Invero, per quanto concerne il rispetto delle distanze, il punto B.5 dell'atto in questione afferma anche qualcosa di più in termini di violazione del Codice della Strada, che rimane, però, incontestato da parte della ricorrente, ossia che "uno degli accessi (...) è stato tracciato sul lato est dell'impianto destinato a strada cicplopedonale, gravata da servitù di pubblico passaggio pedonale e carrabile, per i soli mezzi di soccorso e di pubblica sicurezza, ancora quindi in assoluto contrasto con quanto previsto dall'art. 22 punto 2 d.lgs. 2385/1992 e con l'art. 46 punto 1 e punto 2 lett. a) del d.P.R. 16/12/1992 n. 495 s.m.i.". Tale circostanza, non contestata nel motivo di ricorso, relativa ai mezzi di soccorso e di sicurezza e al mancato rispetto delle distanze è di per sé sufficiente a dimostrare la non conformità degli adeguamenti effettuati alle disposizioni del Codice della Strada e del regolamento attuativo.
Ci si riporta per il resto della misurazione a quanto affermato al precedente punto 4) relativamente al ricorso n. 315/2008.
Alla luce delle suesposte argomentazioni entrambi i ricorsi, previa loro riunione,devono essere respinti, con rigetto della domanda di risarcimento del danno da parte del Comune di Piacenza, essendo, tra l'altro, stato negato il provvedimento di sospensiva richiesto, sia in primo grado che in appello.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P. Q. M.
definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, previa riunione degli stessi, li respinge.
Respinge la domanda di risarcimento del danno da lite temeraria proposta dal Comune di Piacenza nel ricorso n. 17/2010.
Condanna la E. s.r.l al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in euro 2.500,00 da liquidare al Comune di Piacenza ed euro 2.500,00 da liquidare alla controinteressata costituita in giudizio, oltre Iva e altri oneri come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso, in Parma, nella camera di consiglio svoltasi nei giorni 12 e 26 gennaio 2011 con l'intervento dei magistrati:
IL PRESIDENTE
Michele Perrelli
L'ESTENSORE
Emanuela Loria
IL CONSIGLIERE
Italo Caso
Depositata in Segreteria il 24 maggio 2011
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Ultimo aggiornamento Domenica 29 Maggio 2011 19:48
Realizzazione di impianto di telefonia mobile: espropriazione delle aree?
Mercoledì 11 Maggio 2011 15:47
Carmelo Anzalone
N. 98/2011 Reg. Prov. Coll.
N. 198 Reg. Ric.
ANNO 2004
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna sezione staccata di Parma (Sezione Prima) ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 198 del 2004, proposto da L. S.n.c., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv. Antonio Andreoli e Paolo Piva, con domicilio eletto presso il primo, in Parma, via XXII Luglio, 3;
contro
Il Comune di Salsomaggiore Terme, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dal prof. avv. Giorgio Cugurra, con domicilio eletto presso il medesimo, in Parma, via Mistrali 4; Amministrazione Provinciale di Parma;
nei confronti di
X;
e con l'intervento di
ad opponendum:
Y, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Publio Fiori, con domicilio eletto presso l'avv. Antonio De Dominicis in Parma, Strada Garibaldi, 1;
per l'annullamento,
previa sospensione,
ESPROPRIAZIONE DI AREE PER OPERE DI URBANIZZAZIONE E REALIZZAZIONE IMPIANTO TELEFONIA MOBILE
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Salsomaggiore Terme;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatrice nell'udienza pubblica del giorno 26 gennaio 2011 la dott.ssa Emanuela Loria e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO E DIRITTO
Con il ricorso in epigrafe, notificato in data 22 aprile 2004 e depositato in data 22 aprile 2004, L. s.n.c., proprietaria di un terreno sito nel Comune di Salsomaggiore Terme con originaria destinazione turistica secondo le norme del P.R.G., impugna gli atti e i provvedimenti relativi al procedimento con il quale è stata adottata la variante urbanistica, approvati i progetti e dato inizio alla procedura espropriativa per la realizzazione di una piattaforma attrezzata idonea a ospitare gli impianti di telefonia mobile.
Il ricorso è affidato alle seguenti doglianze:
1. La procedura seguita sotto l'aspetto urbanistico è illegittima, in quanto il Comune non avrebbe potuto adottare la variante al P.R.G. ai sensi dell'art. 15 della previgente legge regionale n. 47/78, poiché già nel 2003 si era dotato di un regolare P.S.C. secondo la nuova legge regionale n. 20/2000; l'adozione di una variante al P.R.G., secondo la non più vigente legge regionale, deve pertanto essere considerata illegittima.
2. L'amministrazione comunale ha portato a compimento l'iter di cui si tratta richiamando sia nella determinazione n. 375 del 03.04.2004 sia nella determinazione n. 356 del 01.04.2004) la deliberazione consiliare n. 59 del 30.05.2002 che il Consiglio di Stato ha annullato con la propria decisione n. 4847/2003. La deliberazione annullata approvava il progetto relativo a 8 siti attrezzati per la collocazione delle antenne di telefonia mobile.
3. Nella decisione sopra citata il Consiglio di Stato ha confermato che le infrastrutture di telecomunicazione e quelle ad esse accessorie sono opere di pubblica utilità e non opere pubbliche. Quindi, il Comune non avrebbe potuto procedere con l'espropriazione per pubblica utilità che, al contrario, avrebbe dovuto essere operato dai soggetti privati gestori e proprietari degli impianti di pubblica utilità. Il Comune iniziando la procedura di esproprio delle aree di sedime al fine di assegnarle in affitto agli operatori di telefonia mobile, ha violato il principio sancito dalla decisione del Consiglio di Stato.
4. L'avviso relativo alle operazioni di occupazione d'urgenza reca la data del 16.04.2004 con indicazione di inizio delle fasi esecutive per il giorno 19.04.2004. La motivazione relativa all'urgenza appare insufficiente e infondata, considerato che l'iter relativo alla realizzazione dei siti per telefonia mobile risale all'inizio dell'anno 2011.
5. L'amministrazione comunale ha approvato il progetto esecutivo con la determinazione n. 963 del 31.12.2002 sul presupposto della validità della deliberazione n. 59/2002, annullata dal Consiglio di Stato, dimodoché non si comprende come il Comune possa convalidare l'approvazione del progetto esecutivo assunto in data 31.12.2002 sulla base di atti annullati. Il vizio si riflette inevitabilmente sull'intero procedimento.
6. Il Consiglio di Stato ha richiamato nella decisione sopraindicata l'art. 231 del D.P.R. 156/1973. Il Comune ha ignorato tale disposizione sia dal punto di vista procedurale sia dal punto di vista del mancato esperimento del tentativo del bonario componimento con i proprietari dei fondi interessati dall'intervento.
Si è costituito in giudizio il Comune di Salsomaggiore Terme chiedendo il respingimento del ricorso nel merito.
Ha presentato atto di intervento ad opponendum Y chiedendo il rigetto del ricorso.
Alla camera di consiglio del 30 aprile 2004 la Sezione ha accolto l'istanza cautelare.
Il Consiglio di Stato, in data 26 ottobre 2004 con ordinanza n. 5157/2004, ha accolto l'appello avverso l'ordinanza di sospensiva del Giudice di primo grado.
In vista dell'udienza le parti hanno depositato memorie riepilogative delle loro rispettive argomentazioni.
La causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 26 gennaio 2011.
Il ricorso è fondato.
In particolare, il Collegio ritiene fondato il terzo motivo, con il quale il ricorrente sostiene l'illegittimità dell'operato del Comune nella parte in cui ha utilizzato lo strumento espropriativo con la finalità non di realizzare un'opera pubblica o di pubblica utilità ma di assegnare quelle aree in affitto a società che operano nel settore della telefonia mobile.
Anche nel caso di infrastrutture di telecomunicazione, riconosciute sia dalla giurisprudenza e ora anche dal legislatore come opere di pubblica utilità, il procedimento espropriativo, per l'evidente sacrificio che comporta per il diritto di proprietà, deve essere considerato come l'extrema ratio a cui ricorrere per ottenere le aree su cui installare gli impianti e solo nel caso di conclamata impossibilità a realizzare altrimenti la rete.
Tendenzialmente, infatti, i gestori di telefonia mobile, dovrebbero procurarsi sul mercato, con gli ordinari strumenti del diritto civile, la disponibilità delle aree dove impiantare le stazioni radio e le altre infrastrutture connesse.
Ciò in quanto l'espropriazione ha la finalità di imporre un sacrificio alla proprietà privata per la realizzazione di opere pubbliche.
Nel caso di specie, la procedura ablativa avviata dall'amministrazione comunale (finanziata dalle società di telecomunicazioni), ha come scopo la realizzazione di un piattaforma attrezzata, in sé priva di ogni finalità pubblica diretta, ma destinata a ospitare le infrastrutture di comunicazioni per un periodo di tempo limitato, previo accordo con i privati gestori che pagheranno un canone corrispettivo al Comune.
Né meritano condivisione le considerazioni svolte in chiave difensiva dal Comune di Salsomaggiore e dall'interventore ad opponendum, relative alla circostanza che l'espropriazione sarebbe disposta in favore dell'amministrazione pubblica e che l'area rimane di proprietà della stessa, laddove il finanziamento delle società di telecomunicazione servirebbe solo per l'acquisizione dell'area e per la sistemazione del sito attrezzato, essendo evidente che l'espropriazione è volta alla realizzazione di opere private, anche se ne è stato ormai dichiarato dal legislatore il carattere di pubblica utilità.
Peraltro, l'utilizzo improprio dell'istituto dell'espropriazione potrebbe avere effetti distorsivi del mercato della telefonia mobile; potrebbe, infatti, verificarsi l'eventualità che altri gestori presenti nel territorio comunale non potendo usufruire dell'area attrezzata per cui è causa debbano procurarsi al proprio spese aree di sedime meno idonee a vedervi impiantate le infrastrutture in questione.
E', peraltro, fondata anche la prima censura relativa alla illegittimità della variante urbanistica adottata come variante parziale al P.R.G., adottata ai sensi della non più vigente legislazione regionale (art. 15 l. 47/78). Il Comune si è, infatti, dotato di un P.S.C. secondo la legge regionale n. 20/2000, il che suppone che non possano essere più adottate varianti al P.R.G., non più vigente, anche se non stati ancora approvati gli ulteriori strumenti urbanistici di panificazione urbanistica, gerarchicamente sottordinati rispetto al P.R.G., ossia il P.O.C. e il R.U.E., la cui adozione non deve necessariamente essere contestuale rispetto al P.S.C.
Alla luce dell'assorbenza di tali mezzi, che il Collegio giudica fondati, il ricorso deve essere accolto.
Le spese di lite sono regolate come da dispositivo.
P. Q. M.
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, annulla i provvedimenti impugnati.
Condanna il Comune di Salsomaggiore terme e la Y, ciascuno per la metà, al pagamento delle spese di giudizio che liquida in complessivi euro 3.000,00 (tremila/00).
Condanna il Comune soccombente a rifondere alla ricorrente le spese del contributo unificato nella misura versata, ai sensi dell'art. 13 comma 6 bis del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso, in Parma, nella camera di consiglio del giorno 26 gennaio 2011 con l'intervento dei magistrati:
IL PRESIDENTE
Michele Perrelli
L'ESTENSORE
Emanuela Loria
IL CONSIGLIERE
Italo Caso
Depositata in Segreteria il 5 aprile 2011
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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