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    Obblighi dell'amministrazione sull'istanza di riesame di un piano attuativo irregolare

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    N. 294/2011 Reg. Prov. Coll.
    N. 255 Reg. Ric.
    ANNO 2010
    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria (Sezione Prima) ha pronunciato la presente
    SENTENZA
    sul ricorso numero di registro generale 255 del 2010, integrato da motivi aggiunti, proposto da: S. G., rappresentato e difeso dall'avv. Urbano Barelli, presso il quale è elettivamente domiciliato in Perugia, via Cesare Beccaria, 11;
    contro
    Provincia di Perugia, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Alessandra Lecconi e Massimo Minciaroni, con i quali è elettivamente domiciliata in Perugia, via Palermo, 106;
    nei confronti di
    - Comune di Marsciano, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Mario Rampini, presso il quale è elettivamente domiciliato in Perugia, piazza Piccinino n. 9;
    - B. V., S. G., non costituiti in giudizio;
    - C. A., rappresentato e difeso dall'avv. Carlo Alberto Franchi, presso il quale è elettivamente domiciliato in Perugia, via XX Settembre, 76;
    e con l'intervento di
    ad adiuvandum:
    BR. M., rappresentata e difesa dall'avv. Mirco Ricci, presso il quale è elettivamente domiciliata in Perugia, via Cesare Beccaria, 11;
    per l'annullamento
    - del provvedimento di archiviazione della procedura ex art. 11 L.R. Umbria n. 21/2004, emesso dalla Provincia di Perugia e comunicato al ricorrente con nota 8 aprile 2010 - Prot. U-0152150 del 09/04/2610, a firma congiunta del Responsabile dell'Ufficio Beni Ambientali e Paesaggio della Provincia di Perugia Arch. T. C. e del Dirigente del Servizio P.T.C.P. e Urbanistica Arch. L. C.;
    - di tutti gli atti preparatori, connessi e consequenziali, anche non conosciuti;
    e per la contestuale condanna del suddetto Ente provinciale, previo accertamento:
    - della non conformità del Piano attuativo di iniziativa privata approvato dal Comune di Marsciano con deliberazione del Consiglio comunale 16 maggio 2007 n. 74, rispetto alla normativa urbanistico-edilizia vigente al momento dell'adozione;
    - della fondatezza dell'esposto a firma del ricorrente, con richiesta di annullamento del suddetto Piano attuativo, pervenuto alla Provincia in data 3 agosto 2009 - prot. n. E-419091;
    a provvedere, esercitando il potere/dovere di vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia, ai sensi dell'art. 11 L.R. Umbria n. 21/2004 e dell'art. 27 DPR.380/2001.
    Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
    Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Perugia, del Comune di Marsciano e del sig. C. A.;
    Visto l'atto di intervento ad adiuvandum della sig.ra BR. M.;
    Viste le memorie difensive;
    Visti tutti gli atti della causa;
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 giugno 2011 il Cons. Stefano Fantini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
    FATTO
    Il ricorrente, proprietario del compendio immobiliare sito nella campagna della località ...omissis... di Marsciano, a cento metri di distanza dal complesso immobiliare di proprietà del sig. B. V. ed altri, espone che il predetto sig. B., unitamente agli altri comproprietari, in data 23 agosto 2006, ha presentato al Comune di Marsciano un piano attuativo, avente ad oggetto la riqualificazione della proprietà rurale.
    Il piano attuativo è stato adottato dall'Amministrazione con deliberazione n. 167 del 30 novembre 2006 e successivamente approvato con deliberazione n. 74 del 16 maggio 2007.
    L'intervento in questione prevede l'utilizzo del 30 per cento di ampliamenti della superficie utile coperta (SUC) degli attuali fabbricati presenti; la potenzialità edificatoria sviluppata dall'intero comparto è destinata d essere ripartita in sette nuovi lotti, con la costruzione di nove villette.
    Rappresenta di avere presentato, in data 29 luglio 2009, dopo avere acquisito contezza del contenuto del piano attuativo in questione, un motivato esposto alla Provincia di Perugia, finalizzato all'attivazione della procedura prevista dall'art. 11 della l.r. Umbria n. 21 del 2004, con richiesta di annullamento.
    Il successivo 26 ottobre 2009 ha diffidato la Provincia, rimasta inerte, a provvedere.
    E' dunque intervenuto il provvedimento prot. U-0152150 in data 9 aprile 2010, oggetto del presente gravame, con cui la Provincia di Perugia ha comunicato al ricorrente l'archiviazione del procedimento introdotto dall'esposto, motivando tale decisione per relationem alle note del 12 novembre 2009 e del 13 gennaio 2010 inviate dal Comune di Marsciano alla Provincia stessa.
    Allega come la vicenda si incentri sul corretto inquadramento urbanistico dell'area oggetto del piano attuativo B., nel senso che, ad avviso del ricorrente, tale area va classificata come zona agricola di particolare pregio "EA", in quanto tale sottoposta alla disciplina di cui all'art. 56 delle N.T.A., mentre il Comune ha applicato la disciplina prevista per le "MVPR" (aree sottoposte a tutela ambientale e paesaggistica), di cui agli artt. 17 e 18 delle N.T.A.
    Avverso il provvedimento di archiviazione dell'esposto deduce i seguenti motivi di diritto:
    1) Violazione dell'art. 11 della l.r. Umbria n. 21 del 2004 e dei principi in materia di vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia di cui al d.P.R. n. 380 del 2001; omessa valutazione del contenuto dell'esposto del 29 luglio 2009 e connesso eccesso di potere nella figura sintomatica dell'istruttoria carente od incompleta; difetto di motivazione.
    La norma indicata in rubrica attribuisce alla Provincia, in tema di vigilanza sull'attività urbanistica ed edilizia, una funzione sostitutiva ed un potere di annullamento dei permessi di costruire o dei piani attuativi, ove questi non siano conformi a prescrizioni del P.U.T. o del P.T.C.P., o comunque alla normativa urbanistico-edilizia vigente al momento della loro adozione.
    Nel caso di specie la Provincia di Perugia è rimasta inadempiente, nonostante che il piano attuativo approvato dal Comune di Marsciano violi sia l'art. 20 del P.U.T., sia l'art. 18 del P.T.C.P. Nell'archiviare il procedimento, la Provincia ha inteso superare i rilievi mossi dal ricorrente nel suo esposto, ammettendo, implicitamente, e dunque con evidente difetto di motivazione, la validità del piano attuativo.
    Anche sul piano dell'iter procedimentale si evidenziano dei vizi; in particolare, la Provincia si è limitata a comunicare l'avvio del procedimento al solo Comune di Marsciano, senza coinvolgere gli altri soggetti indicati all'art. 11 della l.r. n. 21 del 2004 (e dunque, titolare del permesso, proprietario e progettista), con conseguente incompletezza del contraddittorio; inoltre la comunicazione inviata al Comune di Marsciano non contiene specifiche contestazioni, come richiesto dalla norma, ma si sostanzia in una mera richiesta documentale.
    2) Eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto dei presupposti, illogicità e contraddittorietà intrinseche; sviamento di potere, nell'assunto dell'illegittimità di una motivazione basata sul rinvio a due note inviate dal Comune di Marsciano alla Provincia di Perugia, entrambe basate sull'erroneo ed immotivato presupposto che le VPR derogherebbero alla disciplina delle zone agricole.
    Peraltro è anche contraddittorio, da parte del Comune, attribuire rilievo alla circostanza che la variante al piano attuativo recupera una porzione di terreno da restituire all'attività di coltivazione, quando poi si afferma che l'area oggetto del piano non è agricola, ed anzi compromessa ai fini agricoli.
    Ciò evidenzia la contraddittorietà delle due note comunali sulle quali si è fondato il gravato provvedimento di archiviazione.
    Va aggiunto che dal nuovo P.R.G. di Marsciano, che, al momento, ha superato il controllo di legittimità in Provincia, si ricava che le M-VPR ricadenti in campagna (compresa quella oggetto del piano attuativo B.) vengono incluse in zona agricola come "RR" (recupero rurale) ed esplicitamente inserite nella macroarea "EA" (agricola di pregio) di cui all'art. 31 delle N.T.A. del P.R.G., che disciplina la suddivisione dell'intero territorio comunale (verosimilmente allo scopo di sanare le contraddizioni tra artt. 18 e 56 delle N.T.A.).
    Si sono costituiti in giudizio la Provincia di Perugia, il Comune di Marsciano ed il controinteressato dr. A. C. (acquirente di un appezzamento di terreno nell'area interessata dal piano attuativo), controdeducendo al ricorso e chiedendone la reiezione; le parti resistenti hanno altresì eccepito l'inammissibilità ed irricevibilità del ricorso, per non avere il ricorrente gravato il piano attuativo, la variante al piano stesso (benché avesse partecipato attivamente a quest'ultimo procedimento, anche presentando un'osservazione), ed anche per difetto di legittimaziona attiva, nell'assunto che quello delineato dall'art. 11 della l.r. n. 21 del 2004 sia un procedimento ad impulso d'ufficio, in relazione al quale non sussiste un obbligo di provvedere in capo alla Provincia.
    E' poi intervenuta ad adiuvandum la sig.ra BR. M..
    Con successivo atto di motivi aggiunti, notificato in data 29 ottobre 2010, il sig. Scolaro ha impugnato il permesso di costruire n. 8280/2009 rilasciato in data 15 maggio 2010 dal Comune di Marsciano ai sigg.ri C. e S., ma conosciuto il successivo 6 settembre 2010, allorché ha notato l'avvio dei lavori ed il cartello di cantiere, oltre che le delibere di adozione ed approvazione del piano attuativo, deducendo le seguenti censure:
    3) Violazione dell'art. 12 del d.P.R. n. 380 del 2001 sotto il profilo della non conformità del permesso di costruire alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente.
    L'area per la quale è stato rilasciato il permesso di costruire insiste su una zona agricola di pregio classificata dal P.R.G. come "EA", per la quale trova applicazione l'art. 56 delle N.T.A. del P.R.G., oggi superato dalla l.r. n. 11 del 2005. Tuttavia la proprietà del dr. C. fruisce degli indebiti vantaggi ricevuti dall'approvazione del piano attuativo di cui si è detto, rispetto al quale il Comune ha inteso applicare solo la disciplina prevista dall'art. 18 delle N.T.A. per le zone MPVR, nell'errato presupposto che tali aree avessero autonomi tratti qualificanti.
    4) Violazione dell'art. 10 della legge n. 1150 del 1942 e delle misure di salvaguardia.
    Dalla data di adozione di una variante generale sino alla data di approvazione definitiva sono in vigore sia lo strumento vigente, che quello adottato; pertanto qualsiasi intervento che comporti trasformazione del territorio dovrà essere conforme ad entrambi gli strumenti urbanistici.
    Il piano attuativo in esame è stato approvato dal Comune di Marsciano con la delibera consiliare n. 74 del 16 maggio 2007; il successivo 28 luglio 2008 il Consiglio comunale ha adottato la variante generale di adeguamento alla l.r. n. 11 del 2005, con la quale tutte le zone MVPR sono state riclassificate zone "RR", appartenenti allo spazio rurale; di conseguenza, nel nuovo P.R.G. non vi sono più aree classificate MVPR, ma solo aree RR.
    Il permesso di costruire gravato è dunque in contrasto con la nuova previsione di zona "RR" che reca una disciplina più restrittiva e minore cubatura rispetto alla precedente classificazione.
    All'udienza dell'8 giugno 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.
    DIRITTO
    1. - Occorre principiare dall'esame dell'eccezione di inammissibilità/irricevibilità del ricorso, svolta dalle parti resistenti nell'assunto che il ricorrente, il quale non ha gravato il piano attuativo (approvato con delibera consiliare n. 74 del 16 maggio 2007), pur dichiaratamente conosciuto tra i mesi di giugno e luglio 2009, e la variante al medesimo (approvata con delibera consiliare n. 117 del 29 settembre 2009, ed al cui procedimento ha attivamente partecipato, presentando anche un'osservazione), intende in tale modo surrettiziamente mettere in discussione l'assetto degli interessi consolidatosi, contestando l'archiviazione opposta dalla Provincia su di un esposto, finalizzato ad attivare un procedimento sanzionatorio, rispetto al quale l'Amministrazione non aveva neppure l'obbligo di provvedere.
    L'eccezione, quanto meno nella sua integralità, non appare meritevole di positiva valutazione, e deve dunque essere disattesa.
    E' pur vero che l'art. 11 della l.r. Umbria 3 novembre 2004, n. 21 attribuisce alla Provincia un potere discrezionale di annullamento del permesso di costruire o del piano attuativo non conformi alle prescrizioni degli strumenti urbanistici generali, dei regolamenti edilizi o comunque in contrasto con la normativa urbanistico-edilizia vigente al momento della loro adozione, ma ciò non esclude che l'esercizio di tale potere possa essere sindacato in sede giurisdizionale, come avviene per tutti i provvedimenti amministrativi.
    Si potrebbe astrattamente obiettare che la Provincia avrebbe potuto non adottare il provvedimento di archiviazione, non essendo inferibile dal predetto art. 11 un obbligo di provvedere, ma così non è stato, e l'Amministrazione provinciale ha inteso dare seguito all'esposto del ricorrente.
    In ogni caso, per completezza di ragionamento, non è sicura la riferibilità della fattispecie in esame a quella in relazione alla quale condivisibile giurisprudenza esclude l'obbligo di provvedere in presenza di un'istanza di riesame di precedenti atti non impugnati, in quanto la previsione dell'art. 11 della l.r. n. 21 del 2004, anche considerando il contesto normativo in cui è inserito, non sembra descrivere un classico potere di autotutela, ma attribuisce ad una diversa (rispetto a quella che ha provveduto) Autorità un potere di vigilanza in materia edilizia, che si esprime anche con sanzioni di tipo ripristinatorio.
    Ove condivisibile tale ragionamento, si dovrebbe ritenere che l'iniziativa del ricorrente sia qualificabile, piuttosto che come istanza di riesame di atti divenuti inoppugnabili, come atto diretto a produrre effetti sfavorevoli nei confronti di terzi, dall'adozione dei quali il richiedente possa trarre indirettamente vantaggio. A tale proposito, la più recente giurisprudenza, che ha esteso l'obbligo di provvedere anche al di là dei casi in cui un'espressa previsione normativa lo contempli, in applicazione del principio generale della doverosità dell'azione amministrativa, integrato con le regole di ragionevolezza e buona fede, tende a distinguere tra mero esposto ed istanza idonea a radicare il dovere di provvedere, guardando al profilo soggettivo, e cioè accertando se il privato sia titolare di uno specifico interesse che valga a differenziare la sua posizione da quella della collettività.
    Se il comportamento omissivo dell'Amministrazione viene stigmatizzato da un soggetto qualificato, in quanto titolare di una situazione di specifico e rilevante interesse che lo differenzia da quello generalizzato, si ritiene sussistente l'obbligo di dare seguito all'istanza (in termini Cons. Stato, Sez. VI, 11 maggio 2007 n. 2318).
    E nel caso di specie è indubbio, oltre che incontestato, l'interesse specifico e differenziato del ricorrente, proprietario di un fondo finitimo a quello coinvolto dal piano attuativo.
    2. - Deve poi essere dichiarato inammissibile l'intervento ad adiuvandum della sig.ra BR. M., la quale, benché non lo alleghi, al pari del sig. Scolaro, è stata destinataria del provvedimento provinciale di archiviazione, avendo anch'essa presentato un esposto e risultando comproprietaria.
    La sig.ra BR. è dunque una cointeressata, che avrebbe dovuto nel termine decadenziale impugnare il provvedimento.
    La giurisprudenza costantemente ha affermato l'inammissibilità, nel processo amministrativo impugnatorio, dell'intervento adesivo autonomo, in quanto il soggetto cointeressato ha l'onere di proporre autonomo e separato ricorso (tra le tante, Cons. Stato, Sez. IV, 6 giugno 2008, n. 2677; T.A.R. Lazio, Sez. III, 19 marzo 2008, n. 2477).
    Tale orientamento ha trovato conferma nell'art. 28, comma 2, del cod. proc. amm., che ammette l'intervento da parte di chiunque non sia parte del giudizio, e non sia decaduto dall'esercizio delle relative azioni.
    3. - Con il primo mezzo di gravame si deduce l'illegittimità del provvedimento di archiviazione, nell'assunto che il piano attuativo, oltre a presentare vizi procedimentali, violi sia l'art. 20 del P.U.T. che l'art. 18 del P.T.C.P.; nonostante quanto allegato nell'esposto del 29 luglio 2009, la Provincia ha omesso ogni accertamento, implicitamente ritenendo legittimo un piano attuativo che prevede, tra l'altro, un incremento di volumetria del 30 per cento in zona agricola di particolare pregio.
    La censura non appare meritevole di positiva valutazione.
    Occorre precisare che dalle note del Comune di Marsciano in data 9 novembre 2009 e 7 gennaio 2010, con riferimento alle quali è motivata l'archiviazione, si desume che, ad avviso dell'Amministrazione, l'area interessata dal piano attuativo, nell'(allora) vigente P.R.G., non è classificata come zona agricola, ma come zona MVPR, e pertanto alla stessa si applicano le previsioni di cui all'art. 18 delle N.T.A., e non quelle di cui alla l. r. n. 11 del 2005 relativa alle zone agricole.
    La tesi di parte ricorrente, come già esposto, è invece quella per cui l'area oggetto del piano sia classificata come zona agricola di particolare pregio"EA", e sottoposta alla disciplina limitativa di cui all'art. 56 delle N.T.A.; a tale zone si aggiunge, ma non si sostituisce, la disciplina prevista per le "MVPR", che non può dunque essere applicata in via esclusiva.
    L'art. 18 delle N.T.A. precisa che nella Carta 4 del P.R.G.-parte strutturale sono individuate le aree da assoggettare a specifiche condizioni di rispetto; tra tali aree vi sono quelle a verde privato (MVPR), per le quali è previsto che «nell'ambito di specifici progetti interessanti l'intera zona, potranno essere ammessi interventi di ristrutturazione edilizia ed urbanistica con un incremento massimo della volumetria esistente pari al 30% ed essere concesse trasformazioni della destinazione d'uso», ovviamente a certe condizioni.
    Dalla cartografia del P.R.G. si evince che il comparto interessato dal piano attuativo è delimitato da una linea di confine, all'interno della quale si rileva solamente la simbologia della zona MVPR, escludendosi dunque ogni commistione con la limitrofa zona agricola.
    Tale classificazione di zona presenta specifici tratti qualificanti che la differenziano dall'area agricola.
    Va aggiunto che la classificazione discende dal P.R.G.; si potrà discutere della ragionevolezza di una siffatta zonizzazione, ma la stessa non è oggetto di contestazione in questa sede.
    Il piano regolatore non prevede la sovrapponibilità tra zona agricola "EA" e zona "MVPR", conferendo autonomia alle due "sottozone", e tale considerazione appare di per sé sufficiente a disattendere il motivo oggetto di scrutinio, atteso che le invocate disposizioni dell'art. 20 del P.U.T. e dell'art. 18 del P.T.C.P. riguardano le zone agricole.
    Del resto, risulterebbe obiettivamente irragionevole inserire o sovrapporre una zona MVPR, nella quale, come detto, sono consentiti interventi di ristrutturazione urbanistica, nell'ambito di una zona agricola, in cui tali intervento sono preclusi.
    Nessun rilievo può poi assumere la circostanza che il nuovo P.R.G. del Comune di Marsciano, adottato con delibera consiliare del 19 dicembre 2007, non applicabile alla fattispecie in esame ratione temporis, abbia eliminato tutte le zone "MVPR", prevedendo solamente aree "RR". Peraltro, come evidenziato dalle parti resistenti negli scritti difensivi, nel nuovo piano le zone "RR" non sono aree agricole soggette ai limiti di edificabilità previsti dalla l.r. n. 11 del 2005, ma piuttosto (sono) aree dello spazio rurale per le quali è previsto "il consolidamento e la riqualificazione degli insediamenti esistenti", ove è consentito lo sviluppo della "tipologia del villaggio rurale", che è poi proprio quella adottata dal piano attuativo controverso.
    Deve poi ritenersi inammissibile per carenza di interesse e di legittimazione la doglianza rivolta nei confronti di asseriti vizi procedimentali, concretantisi nella mancata instaurazione del contraddittorio nei confronti di tutti i soggetti contemplati dall'art. 11, comma 2, della l.r. n. 21 del 2004.
    Peraltro la doglianza è anche infondata, in quanto l'archiviazione è intervenuta in una fase iniziale del procedimento, all'esito di una preliminare istruttoria documentale, il cui esito (positivo) ha reso non necessaria la contestazione delle violazioni al titolare del permesso o del piano attuativo, al proprietario della costruzione o degli immobili, al progettista, oltre che al Comune.
    4. - Consegue da quanto esposto anche l'infondatezza del secondo motivo, con cui si deduce il vizio motivazionale e lo sviamento del provvedimento di archiviazione.
    Anche sotto il profilo formale, la censura non appare meritevole di positiva valutazione, atteso che per regola generale, desumibile anche dall'art. 3 della legge generale sul procedimento amministrativo, è consentita la motivazione per relationem ad altri atti acquisiti nel corso del procedimento.
    5. - Procedendo ora alla disamina dei motivi aggiunti, occorre rilevare che gli stessi sono verosimilmente tardivi, in quanto il permesso di costruire n. 8280/2009, rilasciato ai signori C. e S. il 15 maggio 2010, è stato prodotto in giudizio, mediante deposito presso la Segreteria di questo Tribunale Amministrativo, dal controinteressato per la camera di consiglio del 23 giugno 2010.
    La giurisprudenza più recente sostiene che la produzione in giudizio di un provvedimento e/o documento amministrativo determina l'effetto sostanziale della conoscenza del documento depositato in capo alla parte ricorrente, e non soltanto la conoscenza processuale da parte del difensore; ciò risponde alla ratio dei motivi aggiunti, che è proprio quella di consentire alla parte ricorrente di dedurre censure che si siano potute formulare solo in seguito alla produzione di documenti da parte dell'Amministrazione o dei controinteressati (in termini, da ultimo, T.A.R. Piemonte, Sez. II, 1 agosto 2011, n. 898).
    Non sembra dunque pertinente, in questo caso, l'orientamento giurisprudenziale, richiamato da parte ricorrente, circa il momento di conoscenza effettiva del titolo edilizio rilasciato a terzi.
    In ogni caso, certamente irricevibili sono i motivi aggiunti nella parte in cui impugnano, seppure non in via principale, il piano attuativo B., adottato dal Comune di Marsciano con deliberazione consiliare n. 167 del 30 novembre 2006 ed approvato con deliberazione consiliare n. 74 del 16 maggio 2007. E' lo stesso ricorrente, infatti, che ha affermato, nel ricorso introduttivo, di avere conosciuto detto piano tra i mesi di giugno e luglio 2009; egli ha poi scelto di esperire la procedura di cui all'art. 11 della l.r. n. 21 del 2004, anziché impugnare tempestivamente il piano attuativo, ma certamente non può ora rimetterlo in discussione con un gravame indirizzato direttamente nei confronti dello stesso, in quanto atto presupposto del permesso di costruire, e dunque per dedurre censure di illegittimità derivata.
    6. - Ad ogni modo, per completezza di esposizione, ove si ritengano dedotti vizi propri del permesso di costruire, va detto che proprio la motivazione di rigetto del ricorso evidenzia l'infondatezza del primo motivo aggiunto, con cui si torna a dedurre, secondo una prospettazione non condivisa, anche in punto di fatto, dal Collegio, la non conformità del permesso di costruire alle previsioni degli strumenti urbanistici e della disciplina urbanistico-edilizia vigente.
    Infondato è anche il secondo motivo, con cui si invocano le misure di salvaguardia (di cui all'art. 10, comma 5, della legge 17 agosto 1942, n. 1150) operanti nelle more dell'approvazione della variante generale al P.R.G., in quanto il nuovo piano, come si è in precedenza evidenziato, contiene prescrizioni compatibili con il piano attuativo approvato, e quindi con il permesso di costruire rilasciato in conformità allo stesso.
    Occorre inoltre considerare che dette misure di salvaguardia, allo stato, sono inefficaci alla stregua di quanto disposto dall'art. 14, comma 2, della l.r. Umbria 18 febbraio 2004, n. 1, essendo decorsi tre anni dalla data di adozione dello strumento urbanistico, che risale al 19 dicembre 2007, il che vale a rendere la censura improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse.
    7. - In conclusione, il ricorso deve essere respinto per l'infondatezza dei motivi dedotti, mentre i motivi aggiunti sono almeno in parte irricevibili, e comunque infondati.
    Sussistono giusti motivi, in ragione della complessità delle questioni giuridiche trattate, per compensare tra tutte le parti le spese di giudizio.
    P. Q. M.
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria (Sezione Prima) definitivamente pronunciando, previa declaratoria di inammissibilità dell'intervento ad adiuvandum, respinge il ricorso ed i motivi aggiunti.
    Compensa tra le parti le spese di giudizio.
    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
    Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2011 con l'intervento dei magistrati:
     
    IL PRESIDENTE
    Cesare Lamberti
    L'ESTENSORE
    Stefano Fantini
    IL CONSIGLIERE
    Carlo Luigi Cardoni
     
    Depositata in Segreteria il 13 settembre 2011
    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
     

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    N. 260/2011 Reg. Prov. Coll.
    N. 157 Reg. Ric.
    ANNO 2009
    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna sezione staccata di Parma (Sezione Prima) ha pronunciato la presente
    SENTENZA
    sul ricorso numero di registro generale 157 del 2009, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
    D. D., rappresentato e difeso dagli avv. Ermes Coffrini, Marcello Coffrini, con domicilio eletto presso Tar Segreteria in Parma, P.Le Santafiora 7;
    contro
    Comune di Sala Baganza in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Giorgio Cugurra, con domicilio eletto presso Giorgio Cugurra Avv. in Parma, via Mistrali 4;
    per l'annullamento
    previa sospensiva
    - dell'atto prot. n. 5207 in data 08.05.2009 del Comune di Sala Baganza avente ad oggetto "Denuncia di inizio attività n. 43/2009 presentata in data 30 aprile 2009 al protocollo generale per l'esecuzione di opere di sistemazione esterna in via ...omissis... - Inamissibilità" nonchè dell'atto in data 14.05.2009 "istanza di permesso di costruire n. 44/2009 presentato in data 30 aprile 2009 per intervento di restauro scientifico del podere "...omissis..." - Diniego";
    - di tutti gli atti connessi e presupposti.
    Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Sala Baganza;
    Viste le memorie difensive;
    Visti tutti gli atti della causa;
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 aprile 2011 il dott. Paolo Amovilli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
    FATTO E DIRITTO
    Espone l'odierno ricorrente, in necessaria sintesi, di aver presentato il 30 aprile 2009 DIA per la realizzazione di recinzioni e cancellate dell'edificio "...omissis..." a san Vitale Baganza, contraddistinto catastalmente al Fg.29 mapp. 230 sub da 1 a 9, e tipizzato quale "zona A" secondo il vigente PRG.
    Con atto qui impugnato del 8 maggio 2009, il Responsabile d'Area del Comune resistente dichiarava l'inammissibilità della DIA e ordinava la non effettuazione degli interventi, richiamandosi tra l'altro, alla necessità del preventivo Piano di Recupero di iniziativa pubblica secondo le NTA (art., 15,16 e 21) del PRG vigente.
    In data 29 aprile 2009, D. D. richiedeva permesso di costruire per "restauro scientifico" ex l.r.31/2002 da realizzarsi presso il medesimo complesso edilizio.
    Con provvedimento del 14 maggio 2009 il Responsabile d'Area del Comune denegava il richiesto titolo abilitativo, richiamandosi tra l'altro al contrasto con l'art. 21 NTA, nonché con l'art. 4 delle Norme di Attuazione di disciplina particolareggiata per le zone A.
    Con ricorso ritualmente notificato e depositato, l'odierno ricorrente, come sopra rappresentato e difeso, impugna entrambi i suesposti provvedimenti, chiedendone l'annullamento, deducendo le seguenti censure:
    I. Per quanto attiene specificatamente alla DIA: Violazione erronea applicazione art. 11 l.r.; illogicità, travisamento e falso presupposto.
    II. Con riguardo al permesso di costruire: Violazione e/o erronea applicazione art. 10 bis l. 241/90 mancato rispetto del contraddittorio; illogicità, travisamento, incompetenza.
    III. Violazione e/o erronea applicazione art. 27 l. 457/78 nel testo vigente, illogicità, travisamento e falso presupposto. Violazione e/o erronea applicazione art. 21 NTA PRG vigente.
    IV. Violazione e/o erronea applicazione delle norme e principi in materia di tutela dei beni culturali a cominciare dall'art. 9 Costituzione fino ad arrivare al d.lgs. 42/2004. Illogicità, travisamento e falso presupposto anche per erronea applicazione della disciplina particolareggiata per le zone A.
    Lamentava in sintesi parte ricorrente, quanto all'impugnato provvedimento inibitorio sulla DIA, l'impossibilità per il responsabile del procedimento di sindacare la compatibilità delle opere con la strumentazione attuativa.
    Quanto al diniego di permesso di costruire, sul piano procedimentale lamentava la mancata comunicazione del preavviso di diniego di cui all'art. 10-bis, quale forma di contraddittorio, oltre che dovuta, utile nella fattispecie al completamento dell'istruttoria. Sul piano della fondatezza della pretesa, contestava l'assunto del Comune circa la necessità del Piano di Recupero di iniziativa pubblica (anche in riferimento alla DIA) sia in relazione alla tipologia di intervento richiesto, consistente in un restauro scientifico ex l.r.31/2002, sia all'inutilità della pianificazione attuativa trattandosi comunque di "fondo intercluso".
    Inoltre prospettava che l'intervenuta apposizione del vincolo da parte della locale Soprintendenza, favorevole all'intervento di restauro, si sovrapporrebbe comunque alla diversa disciplina discendente dalla pianificazione comunale.
    Si costituiva il Comune di Sala Baganza, eccependo in rito l'inammissibilità del gravame per la parte relativa all'impugnativa del provvedimento inibitorio sulla DIA, non avendo il ricorrente mosso contestazione nei confronti di tutti i motivi autonomi posti a fondamento del diniego, trattandosi di atto a motivazione plurima.
    Evidenziava, inoltre, l'infondatezza di tutte le censure dedotte, in particolare alla luce della disciplina urbanistica vigente - non impugnata - richiedente l'obbligo del Piano di Recupero di iniziativa pubblica nonché il nulla osta paesaggistico.
    Alla Camera di Consiglio del 23 giugno 2009, con ordinanza 113/2009 veniva respinta l'istanza incidentale cautelare.
    Con atto di motivi aggiunti depositati il 30 giugno 2009, l'odierno ricorrente deduceva ulteriori doglianze avverso i provvedimenti oggetto del ricorso introduttivo, e precisamente:
    - Violazione e/o erronea applicazione art. 146 e 149 d.lgs. 42/2004; art. 1, 2, 10, 13 l.r. 31/2002; illogicità, travisamento, sviamento; violazione e/o erronea applicazione art. 28 e 30 l.r. 31/2002 nonché art. A 26 l.r. 20/2000; violazione dell'interesse pubblico alla tutela e conservazione del bene culturale.
    In data 5 gennaio 2010, infine, la locale Soprintendenza rilasciava autorizzazione paesaggistica per l'intervento di realizzazione di recinzioni ed opere esterne, subordinando l'esecuzione delle opere all'ottenimento dei necessari titoli abilitativi di competenza del Comune.
    All'udienza pubblica del 6 aprile 2011 la causa veniva trattenuta per la decisione.
    Preliminarmente, ritiene il Collegio fondata l'eccezione di parziale inammissibilità in relazione all'impugnativa del provvedimento prot. 5207 del 8 maggio 2009, che risulta supportato da plurime ed autonome motivazioni, tra cui, oltre le riscontrate carenze documentali, la mancata presentazione dell'istanza di autorizzazione paesaggistica
    La mancata rituale contestazione nel merito di tal motivo ostativo alla pretesa a costruire, rende ex se il ricorso inammissibile per carenza di interesse quanto alle censure proposte avverso l'atto inibitorio sulla DIA, trattandosi di provvedimento a motivazione plurima, non potendo i ricorrenti conseguire l'effetto demolitorio richiesto.
    Infatti in presenza di motivazione plurima, soltanto l'accertata illegittimità di tutti i singoli ed autonomi punti in cui essa risulta articolata può comportare l'illegittimità ed il conseguente effetto demolitorio degli atti adottati dall'Amministrazione (ex multis Consiglio di Stato sez. V 10 marzo 2009, n. 1383, T.A.R. Campania Napoli sez. VIII 3 febbraio 2010, n. 555, T.A.R. Toscana sez. II 13 ottobre 2010, n. 6457).
    Il ricorso va pertanto dichiarato in parte qua inammissibile ex art. 35 c. 1 lett b) c.p.a.; comunque è infondato anche nel merito.
    L'art. 11 l.r. Emilia-Romagna 31/2002 infatti, nel prevedere una verifica di tipo formale sulla completezza della documentazione allegata alla DIA, non elide il concorrente doveroso controllo - ai sensi della stessa l.r. 23/2004, nonché degli art. 21 c 2-bis l. 241/90 e 23 del t.u. edilizia. - in merito alla conformità urbanistico-edilizia dell'intervento auto-dichiarato, nella fattispecie da escludersi per contrasto insanabile con la disciplina contenuta nelle NTA.
    Orbene, gli art. 15 e 21 delle NTA del PRG del Comune di Sala Baganza, come indicato nei provvedimenti impugnati, prescrivono per il comparto "PR 4" denominato "...omissis..." in cui sono localizzati gli interventi per cui è causa, l'obbligatorietà di un Piano di Recupero di iniziativa pubblica. L'art. 21 consente negli ambiti territoriali sottoposti a strumento urbanistico preventivo, nel casi di edifici esistenti con destinazione d'uso conforme alle norme di zona, lo strumento diretto esclusivamente per interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria.
    La descritta disciplina, secondo la tesi del Comune, impedisce l'iniziativa edificatoria dell'odierno ricorrente, consistente, quanto alla DIA, non solo nella realizzazione di una recinzione bensì di un nuovo stradello, e quanto al permesso di costruire, alla realizzazione di diverse unità abitative all'interno del complesso architettonico vincolato.
    Ritiene il Collegio che la chiara previsione del vincolo del Piano di Recupero contenuta nelle NTA - peraltro non impugnate dall'odierno ricorrente - sia di per sè del tutto ostativa alla realizzazione dei lavori per cui è causa, non riconducibili al novero degli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, poiché il restauro scientifico di cui all'allegato 1 lett c) della l.r. 31/2002 è cosa ben diversa, assimilabile al concetto di restauro e risanamento conservativo di cui all'art. 3 c.1 lett c) d.p.r. 380/2001.
    Non è alla fattispecie applicabile il disposto di cui all'art. 27 c. 4 l. 457/78, secondo cui "ove gli strumenti urbanistici generali subordinino il rilascio della concessione alla formazione degli strumenti attuativi, ovvero nell'ambito delle zone destinate a servizi i cui vincoli risultano scaduti, sono sempre consentiti, in attesa di tali strumenti urbanistici attuativi, gli interventi previsti dalle lettere a), b), c) e d) del primo comma dell'articolo 31 che riguardino singole unità immobiliari o parti di esse."L'art. 27 l.457/78 non è infatti applicabile allorquando l'intervento di restauro richiesto riguardi non già una singola unità immobiliare bensì un complesso edilizio composto da numerosi edifici, essendo in tal caso insostituibile la pianificazione attuativa, in relazione agli obiettivi di recupero che si propone l'Amministrazione, consistenti nel riordino e completamento razionale del comparto.
    D'altronde, l'insostituibilità del Piano di Recupero di cui agli art. 28 e 30 l. 457/1978, quali strumenti di pianificazione attuativa assimilabili ai Piani particolareggiati (ex multis Consiglio di Stato sez. IV 29 dicembre 2010, n. 9537), non può essere derogata - come pretenderebbe il ricorrente - invocando lo stato di sufficiente urbanizzazione della zona interessata.
    Basti al riguardo citare l'orientamento particolarmente restrittivo, a cui il Collegio presta adesione, seguito anche di recente dal Consiglio di Stato (sez. IV, 10 giugno 2010, n. 3699) secondo cui un'area può essere considerata un "intercluso", suscettibile di edificazione anche in assenza dello strumento attuativo previsto dal piano regolatore generale, soltanto quando si accerti la sussistenza di una situazione di fatto perfettamente corrispondente a quella derivante dall'attuazione del piano esecutivo e, quindi, allorché ricorrano, congiuntamente, le seguenti condizioni: a) l'area, seppur edificabile, non sia stata ancora edificata; b) ricada in una zona integralmente interessata da costruzioni; c) sia dotata di tutte le opere di urbanizzazione, primarie e secondarie, previste dagli strumenti urbanistici; d) sia valorizzata da un provvedimento edilizio del tutto conforme al piano regolatore generale.
    Premesso che parte ricorrente non ha minimamente fornito elementi di prova ex art. 64 c.p.a. atti a comprovare la sussistenza dei presupposti fattuali suesposti, mette conto evidenziare comunque, anche in presenza di lotto intercluso, la permanenza di discrezionalità amministrativa circa il rilascio del titolo abilitativo in via diretta, potendo la pianificazione esecutiva conservare un'utile funzione, in grado di esprimere scelte programmatorie distinte rispetto a quelle contenute nel piano regolatore generale.
    Sotto altro profilo, la mancata approvazione da parte del Comune di un piano attuativo, pur se non abilita di certo gli interessati a costruire per intervento diretto, non lascia essi sforniti di tutela giurisdizionale. Infatti, soccorre quantomeno la tutela contra silentium di cui all' art. 117 del vigente c.p.a., avendo l'Amministrazione l'obbligo di provvedere sulle istanze provenienti dai soggetti legittimati, applicandosi l'art. 2 l.241/90 anche agli atti amministrativi generali di pianificazione e di programmazione (T.A.R. Puglia Bari sez. I, 6 maggio 2008, n. 1079, Consiglio di Stato, Sez. V, 29 maggio 2006, n. 3265) essendo ad essi sottratta l'applicazione della legge 241 limitatamente al Capo III inerente la partecipazione procedimentale, ma non altrettanto la fondamentale regola dell'obbligo di concludere il procedimento attivato su istanza di parte, mediante adozione di provvedimento espresso.
    Soccorre inoltre la decadenza quinquennale, da estendersi anche ai vincoli "strumentali", cioè a quei vincoli - quale quello imposto dall'art. 15 delle NTA del Comune di Sala Baganza - che subordinano l'edificabilità di un'area all'inserimento della stessa in un programma pluriennale oppure alla formazione di uno strumento esecutivo se di esclusiva iniziativa pubblica (T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII, 09 febbraio 2010, n. 752, TAR Lazio Roma sez. II 25 maggio 2004, n. 4875, Consiglio di Stato sez. VI 19 marzo 2008, n. 1201, id. sez. IV 24 marzo 2009, n. 1765).
    Quanto alle censure di violazione dell'art. 10-bis l.241/90 e di competenza, dedotte in riferimento al diniego del permesso di costruire, non ritiene il Collegio di poterle accogliere.
    Diversamente da quanto sostenuto dalla difesa del ricorrente, l'attività di rilascio di titoli abilitativi edilizi è per giurisprudenza pacifica anche di questo Tribunale da ritenersi interamente vincolata (T.A.R. Emilia Romagna Parma 17 giugno 2008 n. 314, T.A.R. Emilia Romagna Bologna sez. II 6 novembre 2006 n. 2875, T.A.R. Liguria sez. I 16 febbraio 2008 n. 305, Consiglio di Stato sez. V 24 agosto 2007, n. 4507) in quanto costituente mero risultato dell'attività di controllo circa la conformità alla normativa urbanistico-edilizia.
    Di contro, è altrettanto pacifica l'applicabilità dell'istituto di cui all'art. 10-bis nell'ambito edilizio, ed in part.icolare ai procedimenti volti al rilascio del permesso a costruire (ex multis T.A.R. Lazio Roma sez. II 15 aprile 2009 n. 3847, T.A.R. Veneto sez. II 3 ottobre 2008 n. 3116, Consiglio di Stato sez. VI 17 gennaio 2011, n. 256)
    Ne consegue che il vizio di violazione dell'art. 10-bis l. 241/90 così come quello di competenza tra organi dello stesso ente (T.A.R. Puglia Lecce sez. I 7 ottobre 2008, n. 2791) in ipotesi di attività vincolata, al pari degli altri vizi di carattere "formale" assume carattere recessivo - anche ai fini dell'applicazione dell'art. 21-octies c. 2 primo allinea l. 241/90 e s.m. - di fronte alla verifica in sede giurisdizionale dei presupposti che rendono fondata la pretesa sostanziale azionata, nell'ambito di un giudizio il cui oggetto è oramai trasformato a seguito dell'entrata in vigore del Codice del processo amministrativo, da verifica formale della legittimità del provvedimento impugnato nei limiti dei vizi dedotti e con salvezza del potere riesercitato, in giudizio di accertamento della fondatezza del rapporto sostanziale sottostante azionato (Consiglio di Stato Adunanza Plenaria 23 marzo 2011, n. 3).
    Con la conseguenza che i vizi in questione, benché sussistenti, non possono assumere capacità invalidante nel presente giudizio (ex art. 21-octies l.241/90) emergendo con chiarezza dagli atti di causa l'infondatezza della pretesa azionata, in relazione all'impossibilità di costruire in carenza della prescritta pianificazione attuativa, di carattere assorbente.
    Per i suesposti motivi il ricorso va in parte dichiarato inammissibile e comunque interamente infondato nel merito.
    Le spese seguono la soccombenza, secondo dispositivo.
    P. Q. M.
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna sezione staccata di Parma (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso integrato da motivi aggiunti, come in epigrafe proposto, lo dichiara in parte inammissibile ed in parte respinto.
    Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese processuali in favore del Comune di Sala Baganza, quantificate in complessivi 2,500,00 euro, oltre agli accessori di legge.
    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
    Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno 6 aprile 2011 con l'intervento dei magistrati:
     
    IL PRESIDENTE F.F.
    Italo Caso
    L'ESTENSORE
    Paolo Amovilli
    IL PRIMO REFERENDARIO
    Emanuela Loria
     
    Depositata in Segreteria il 26 luglio 2011
     

    Destinazione nel P.R.G. di aree a parcheggio pubblico

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    arricchiscono perché, concorrendo a determinare i concreti indici di fabbricabilità, costituiscono i requisiti della qualità del tessuto urbano e della prevista edificabilità dei suoli.

    È da ritenersi, quindi, che la destinazione nel P.R.G. a parcheggio pubblico, non costituisce necessariamente e ontologicamente un vincolo espropriativo, dipendendo tale qualificazione, in concreto, dalla effettiva incidenza che la relativa previsione esplica sul contenuto del diritto di proprietà, elemento questo che necessariamente va coordinato con l'onere della prova.
    Al riguardo, va precisato che:
    a) tali destinazioni non escludono necessariamente l'intervento privato posto che il parcheggio può essere realizzato e gestito da un privato che ne fa oggetto dell'esercizio di una attività economica;
    b) in tal caso, trattasi di una previsione che si limita ad imporre una vocazione specifica ad una determinata porzione di suolo, il cui fine è solo quello di assicurare il corretto equilibrio della trasformazione urbanistica tra volumi edilizi veri e propri ed attività a servizio degli abitanti, senza quindi con ciò comportare necessariamente che debba trattarsi della previsione di una opera pubblica (T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 15 ottobre 2007, n. 1662);
    c) spetta al ricorrente allegare la prova che la previsione a parcheggio, così come disposta dal P.R.G., incide sullo "jus aedificandi", comprimendolo, svuotandolo o comunque pregiudicando gravemente il diritto di proprietà;
    d) in assenza di tale dimostrazione, l'asserita equivalenza astratta e generale tra previsione a parcheggio e vincolo espropriativo non ha base fattuale, perché mancano le oggettive ed intrinseche caratteristiche delle destinazioni delle aree che le rendano incompatibili con la proprietà privata (T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 02 gennaio 2009, n. 5).
    I.3.2. Con riferimento al caso specifico, la destinazione a parcheggio pubblico, impressa dallo strumento urbanistico, concreta vincolo preordinato ad esproprio in quanto esula dall'ottica della suddivisione zonale del territorio e mira a individuare beni singolarmente determinati in vista della creazione di un'area non edificata all'interno di zona a spiccata vocazione edificatoria (Cassazione civile, sez. I, 7 febbraio 2006, n. 2613), privando il bene di qualsiasi utilità economica.
    I.3.3. Ciò nondimeno occorre rilevare che dopo la decadenza della previsione vincolistica di piano, per l'infruttuoso decorso del quinquennio dalla data di approvazione dello strumento urbanistico generale senza l'approvazione dei prescritti strumenti attuativi, l'Amministrazione Comunale ha l'obbligo di ridefinire l'assetto urbanistico delle aree assoggettate a vincolo decaduto, stante la perdita di destinazione o qualificazione urbanistica dell'area.
    Da ciò consegue che l'istanza dei privati che mirano a conseguire la riqualificazione urbanistica delle aree incise da vincolo preordinato all'esproprio o da vincolo di inedificabilità deve essere puntualmente riscontrata dall'Amministrazione, potendosi attivare, in caso di mancato riscontro, la procedura del silenzio-inadempimento. Detta istanza, infatti, essendo idonea ad attivare la potestà pubblicistica di settore - cioè il potere pubblico di conferire ad un'area rimasta priva di disciplina urbanistica una nuova destinazione - deve culminare nell'adozione di un provvedimento espresso, conformemente a quanto prevede l'art. 2, l. n. 241 del 1990 (T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII, 24 aprile 2009, n. 2166; idem, sez. II, 27 agosto 2010, n. 17241).
    D'altro canto, il proprietario di un'area sottoposta a vincolo di inedificabilità assoluta, scaduto per l'inutile decorso del termine di legge, ha un interesse legittimo pretensivo a che la P.A. eserciti la funzione di governo del territorio ed adotti prontamente i provvedimenti urbanistici di ritipizzazione dell'area stessa (T.A.R. Puglia Lecce, sez. I, 14 maggio 2004, n. 2910).
    II. Sulla base delle sovra esposte considerazioni, va dunque ritenuto che l'ente locale, avrebbe dovuto, prima di pronunciarsi sulla istanza, provvedere alla riqualificazione urbanistica del terreno, onde consentire, eventualmente, al privato proprietario il pieno godimento e sfruttamento insito nel diritto reale di cui è titolare, anziché invocare acriticamente l'applicazione di una disciplina, di ampio respiro, prevista, in via conservativa e transitoria, al solo fine di assicurare uno organico sviluppo edificatorio del territorio nelle cd. zone bianche.
    III. Purtuttavia, nel caso di specie, poiché difetta una disciplina desumibile dallo strumento pianificatorio generale - come chiarito dall'Amministrazione comunale, infatti, in quanto area destinata a parcheggio "il P.R.G. non stabilisce indici di fabbricabilità" (nota prot. n. 16 del 3 gennaio 2011) - non può configurarsi alcuna reviviscenza di norme pregresse, né ragionevolmente sostenersi che vi possa essere una riedivsione delle facoltà dominicali, prive di una concreta disciplina. Né possono applicarsi, in via analogica, la destinazione e la regolamentazione proprie delle zone circostanti e limitrofe, rispondenti a specifiche scelte pianificatorie riservate alla P.A..
    Conseguentemente l'istanza del ricorrente è, allo stato, infondata.
    IV. Con riferimento, infine, al secondo aspetto fondante il diniego gravato, incentrato sulla presunta difformità dell'intervento proposto dal parere espresso dall'Autorità di Bacino - nella parte in cui prescrive la realizzazione del piano di calpestio interno a quota non inferiore a m. 1 rispetto alla quota del piano stradale -, le censure, attinenti sostanzialmente a una erronea valutazione della progettazione, sono infondate.
    Invero, dall'elaborato grafico allegato alla relazione tecnica prodotta dalla parte in data 4 dicembre 2010, sezioni A-A, B-B e C-C., si evince che, almeno in parte e limitatamente alla parte frontistante l'abitazione, la quota di calpestio del piano terra, pur considerando il marciapiede, è posta ad una altezza inferiore a m.1 dal piano stradale.
    V. Tutto ciò premesso, il ricorso va respinto.
    VI. In considerazione della peculiarità e complessità delle questioni affrontate, le spese e le competenze di giudizio possono essere integralmente compensate fra le parti.
    P. Q. M.
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Terza definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
    Compensa tra le parti le spese e competenze di giudizio.
    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
    Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 21 aprile 2011 con l'intervento dei magistrati:
     
    IL PRESIDENTE
    Rosaria Trizzino
    L'ESTENSORE
    Gabriella Caprini
    IL CONSIGLIERE
    Ettore Manca
     
    Depositata in Segreteria il 24 giugno 2011
    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
     

    Variante semplificata per l'insediamento di impianti produttivi

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    N. 1153/2011 Reg. Prov. Coll.
    N. 296 Reg. Ric.
    ANNO 2011
    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Prima) ha pronunciato la presente
    SENTENZA
    sul ricorso numero di registro generale 296 del 2011, proposto da:
    S. V. + 3, rappresentati e difesi dall'avv. Francesco Stornello, con domicilio eletto presso avv. Francesco Stornello, in Catania, via Centuripe 11;
    contro
    Comune di Carlentini;
    avverso
    l'inerzia mantenuta dal Comune di Carlentini sulla domanda presentata in data 5.12.2005 volta ad ottenere l'autorizzazione alla realizzazione di un impianto produttivo in variante al PRG;
    Visti il ricorso e i relativi allegati;
    Viste le memorie difensive;
    Visti tutti gli atti della causa;
    Relatore nella camera di consiglio del giorno 14 aprile 2011 il dott. Francesco Bruno e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
    FATTO E DIRITTO
    I ricorrenti S. V. + 3 assumono di aver presentato in data 5.12.2005 al Comune di Carlentini domanda per la realizzazione di un impianto produttivo di natura turistico/ricettiva, da insediare su terreni di loro proprietà classificati in PRG come zona E, avvalendosi all'uopo dello speciale regime derogatorio previsto dal D.P.R. 447/1998.
    Stante il silenzio del Comune interpellato, l'istanza è stata reiterata in data 20.12.2006.
    Con nota prot. 2378 del 5.02.2007, il Comune ha dichiarato di aver investito della questione il Consiglio comunale, al fine di valutare la possibilità di adottare una variante al PRG vigente.
    La pratica non è stata ulteriormente riscontrata, ed i ricorrenti hanno allora notificato in data 12.11.2009 un atto di diffida e messa in mora, invitando il Comune a concludere il procedimento amministrativo avviato a domanda, entro il termine di trenta giorni dalla ricezione della diffida.
    Decorso abbondantemente anche tale termine, avverso il silenzio dell'Amministrazione i ricorrenti hanno proposto ricorso ex art. 117 c.p.a., notificato il 30.12.2010, col quale denunciano la violazione dell'obbligo legale di concludere con provvedimento espresso ogni procedimento amministrativo, e la violazione delle norme che consentono di realizzare impianti produttivi in deroga alle previsioni di PRG, anche in zona destinata a "verde agricolo".
    L'intimato Comune di Carlentini non si è costituito in giudizio.
    Il Collegio ritiene che il gravame sia inammissibile ed infondato.
    1.- In primo luogo, va precisato che l'art. 31, co. 2, del c.p.a. pone un preciso termine temporale all'esercizio dell'azione contro il silenzio della PA stabilendo che "L'azione può essere proposta fintanto che perdura l'inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento. E' fatta salva la riproponibilità dell'istanza di avvio del procedimento ove ne ricorrano i presupposti".
    Orbene, nel caso in esame, anche a non tenere conto dell'originaria istanza presentata dai ricorrenti nel 2005 e della avvenuta scadenza del termine di conclusione di quel procedimento, e limitandosi ad appuntare l'attenzione sulla diffida a provvedere notificata in data 12.11.2009 intendendola quale nuovo avvio del procedimento, si rileva che il termine annuale per proporre il ricorso ex art. 31 c.p.a. è scaduto dopo la decorrenza dei trenta giorni concessi con la diffida alla PA per completare l'iter procedimentale: ossia, il 12.12.2010. Il ricorso è stato, invece, notificato oltre l'anno, il 30.12.2010, ed è quindi inammissibile; salva la possibilità di riproporre l'istanza - ed avviare cioè un nuovo procedimento - ove ne sussistano i presupposti.
    2.- In secondo luogo, va ricordato che i ricorrenti contestano la mancata conclusione del procedimento amministrativo avente ad oggetto la "variante speciale" al PRG adottabile ex art. 5 del D.P.R. 447/1998 (Regolamento recante norme di semplificazione dei procedimenti di autorizzazione per la realizzazione, l'ampliamento, la ristrutturazione e la riconversione di impianti produttivi, per 1'esecuzione di opere interne ai fabbricati, nonché per la determinazione delle aree destinate agli insediamenti produttivi, a norma dell'articolo 20, comma 8, della legge 15 marzo 1997, n. 59.) e ne chiedono la definizione.
    In particolare, se un progetto proposto ai fini della installazione di alcuni tipi di impianti produttivi di beni e servizi rispetti le norme ambientali, sanitarie e di sicurezza del lavoro, ma contrasti con le previsioni del PRG, che non prevedono la possibilità di insediare impianti produttivi ovvero la contemplano in misura insufficiente, in base all'art. 5 del predetto regolamento il responsabile del procedimento amministrativo può convocare una apposita conferenza di servizi, al cui esito può essere proposta al Consiglio comunale l'adozione di una speciale variante al PRG.
    Tuttavia, va anche precisato che l'articolato e speciale procedimento appena descritto - che si snoda attraverso molteplici valutazioni discrezionali (del responsabile del procedimento, della conferenza dei servizi, del consiglio comunale) - presuppone necessariamente che ci sia una certa e preventiva valutazione della insufficienza astratta (per mancanza di previsione), o concreta (per insufficienza rispetto al progetto presentato), di aree destinate ad ospitare strutture produttive.
    Ebbene, tale presupposto essenziale non viene affatto citato nel ricorso in esame, e neanche traspare dalla lettura degli atti allegati che hanno dato impulso al procedimento amministrativo di cui si lamenta la mancata conclusione. Al contrario, i ricorrenti sembrano aver innescato un procedimento amministrativo finalizzato a valutare tout court (e senza le condizioni di legge) la possibilità di adottare una variante al PRG a fine di avviare una impresa produttiva in zona E.
    Nel merito, dunque, non può dichiararsi sussistente il presupposto giuridico/fattuale necessario per l'attivazione del procedimento descritto dall'art. 5 del D.P.R. 447/1998. Di conseguenza, non può predicarsi illegittimamente interrotto il relativo iter procedimentale.
    In proposito, la giurisprudenza ha affermato che:
    (Tar Brescia, 2411/2010);
    (Tar Milano 193/2010).
    (Tar Napoli 7217/2009).
    In conclusione, il ricorso non può essere accolto.
    Non si fa luogo a pronuncia sulle spese, stante la mancata costituzione dell'amministrazione intimata.
    P. Q. M.
    pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile ed infondato.
    Nulla spese.
    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
    Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 14 aprile 2011 con l'intervento dei magistrati:
     
    IL PRESIDENTE
    Biagio Campanella
    L'ESTENSORE
    Francesco Bruno
    IL CONSIGLIERE
    Salvatore Schillaci
     
    Depositata in Segreteria il 12 maggio 2011
    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
     

    Piani di recupero e potere regolamentare del Comune

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    N. 342/2011 Reg. Prov. Coll.
    N. 794 Reg. Ric.
    ANNO 2001
    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna (Sezione Prima) ha pronunciato la presente
    SENTENZA
    sul ricorso numero di registro generale 794 del 2002, proposto da:
    M. L. ed Altra Eredi di M. LI., G. G., rappresentati e difesi dagli avv. Giancarlo Mengoli, Valerio Mengoli, con domicilio eletto presso Giancarlo Mengoli in Bologna, via Carbonesi 5;
    contro
    Comune di Bazzano, rappresentato e difeso dall'avv. Domenico Fata, con domicilio eletto presso Domenico Fata in Bologna, piazza Cavour 2;
    per l'annullamento
    della delibera del Consiglio Comunale di Bazzano n. 78 dell'11 ottobre 2001, comportante l'adozione di Variante al Piano di Recupero ...omissis... di Bazzano e della successiva delibera del medesimo Consiglio Comunale n. 19 del 3 aprile 2002, comportante l'approvazione della medesima Variante.
    Visti il ricorso e i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Bazzano;
    Viste le memorie difensive;
    Visti tutti gli atti della causa;
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 marzo 2011 il dott. Ugo Di Benedetto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
    FATTO E DIRITTO
    1. I ricorrenti sono proprietari di un immobile nel comune di Bazzano, consistente in un terreno con un fabbricato sovrastante di natura industriale.
    Hanno impugnato i provvedimenti in epigrafe indicati concernenti l'approvazione di un piano di recupero che prevede tra l'altro la demolizione di detto fabbricato e la sua sostituzione con un fabbricato residenziale di superficie inferiore pari al 70% rispetto a quello esistente, deducendone l'illegittimità.
    Si è costituito in giudizio il comune intimato che ha contro dedotto alle avverse doglianze e concluso per il rigetto del ricorso.
    L'istanza cautelare è stata respinta con ordinanza 503/2002.
    La causa è stata ritualmente riassunta in giudizio a seguito del decesso di una delle originarie ricorrenti.
    Le parti hanno sviluppato le rispettive difese con separate memorie e repliche e la causa è stata trattenuta in decisione all'odierna udienza.
    2. Va preliminarmente respinta l'eccezione di inammissibilità dell'impugnativa sulla quale insiste la difesa del Comune in quanto gli atti impugnati non hanno un mero effetto confermativo della precedente deliberazione del C.C. di Bazzano n. 56 del 13 luglio 1998 poichè l'amministrazione ha provveduto a riesaminare interamente il Piano di Recupero anche se la scelta concernente l'immobile del ricorrente, a seguito del nuovo procedimento, è stata nella sostanza confermata.
    3. Nel merito il ricorso è infondato.
    Va respinta la prima censura dedotta con la quale il ricorrente rileva genericamente la violazione di legge ed eccesso di potere in quanto ritiene che i Piani di recupero di cui all'articolo 27 della legge 457/1978, quale quello in contestazione, possano essere utilizzati soltanto per la conservazione, il risanamento e la ricostruzione del patrimonio edilizio esistente. Il Piano in contestazione, invece, rileva la difesa dei ricorrenti, diretto a costituire il parco "...omissis...", prevede anche la demolizione di edifici esistenti ed il recupero a verde delle aree perseguendo finalità estranee alla norma suddetta.
    Tale prospettazione non può essere condivisa.
    L'articolo 27 della legge 457 del 1978, alla base dei provvedimenti impugnati, prevede che i comuni individuano, nell'ambito degli strumenti urbanistici generali, le zone ove, per le condizioni di degrado, si rende opportuno il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente, mediante interventi rivolti alla conservazione, al risanamento, alla ricostruzione e alla migliore utilizzazione del patrimonio stesso. Dette zone possono comprendere singoli immobili,complessi edilizi isolati ed aree, nonchè edifici da destinare ad attrezzature. L'art 31 della stessa legge nel disciplinare gli interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente prevede anche, alla lettera e), gli interventi di ristrutturazione urbanistica, che sono "quelli rivolti a sostituire l'esistente tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso mediante un insieme sistematico di interventi edilizi anche con la modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale".
    Conseguentemente, contrariamente a quanto sostenuto con la prima censura i piani di recupero possono andare ben oltre rispetto alla mera conservazione dell'esistente ben potendo avere ad oggetto non solo un recupero edilizio, bensì pure un recupero urbanistico, come nel caso in esame.
    Come chiarito dalla giurisprudenza i piani di recupero urbanistico hanno ad oggetto la ridefinizione del tessuto urbanistico di un'area o di un complesso di aree, anche in relazione agli spazi e alle opere pubbliche esistenti o da programmare per le esigenze della collettività. Il piano di recupero urbanistico ha effetti programmatori suoi propri: la revisione dell'assetto urbanistico delle zone soggette a recupero potrà, quindi, comportare una diversa sistemazione dei lotti o degli isolati, una differente sistematica delle vie di comunicazione, il reperimento di aree per servizi di interesse pubblico, la individuazione di edifici esistenti da destinare a servizi pubblici.
    Diversamente dal piano particolareggiato, che ha la precipua funzione di disporre il riassettamento della zona in ossequio alle esigenze di funzionalità previste nello strumento urbanistico generale, il piano di recupero deve adattare alle esigenze attuali il tessuto urbanistico esistente: sotto tale aspetto il piano di recupero è strumento più complesso rispetto al piano particolareggiato. Infatti, a differenza di quest'ultimo deve valutare compiutamente la compatibilità del tessuto preesistente con le nuove esigenze urbanistiche, dando atto delle scelte operate sia sotto il profilo della corrispondenza del preesistente con il futuro sviluppo della zona, che sotto il profilo della necessità degli interventi necessari a rendere compatibili con gli obiettivi fissati dall'amministrazione gli edifici esistenti e in atto degradati e, pertanto, ben può essere utilizzato per perseguire le finalità indicate nella deliberazioni impugnate ossia la "riqualificazione della porzione del centro urbano collocata tra la strada statale ed il torrente nel tratto compreso tra il ponte ...omissis... e l'incrocio con via ...omissis...".
    4. Va respinta la seconda censura dedotta concernente la violazione delle norme sulla partecipazione del privato, di cui agli articoli 7 ed 8 della legge n. 241 del 1990, sul presupposto della natura espropriativa del piano di recupero impugnato.
    Il piano di recupero ha natura di strumento di pianificazione urbanistica avendo la precipua funzione di disporre il riassettamento della zona in ossequio alle esigenze di funzionalità previste nello strumento urbanistico generale, dovendo adattare alle esigenze attuali il tessuto urbanistico esistente. Si tratta, pertanto, di un atto di natura generale inquadrabile tra quelli di cui all'articolo 13 della legge n. 241 del 1990, per i quali non è previsto l'avviso di avvio del procedimento da comunicare singolarmente nei confronti di tutti i soggetti interessati, poiché le forme di partecipazione sono quelle previste dall'articolo 21 della citata legge n. 457 del 1978, di carattere speciale ed esaustivo rispetto a quelle di cui alla legge n. 241 del 1990.
    Infatti, è garantita agli interessati la presentazione delle proprie osservazioni che devono essere valutate dall'Amministrazione, come avvenuto nel caso in esame, anche con le deliberazioni impugnate, in cui molti proprietari si sono avvalsi della possibilità di fornire il proprio apporto collaborativo nell'iter di approvazione del Piano di recupero stesso.
    5. Va, altresì, respinta la terza censura con la quale il ricorrente rileva genericamente la violazione di legge ed eccesso di potere poichè il piano, anziché recuperare gli edifici esistenti li demolisce per recuperare aree verdi concedendo, quale modesto compenso, la edificabilità di nuovi edifici notevolmente inferiori all'esistente.
    Infatti, l'interesse pubblico sotteso all'adozione del piano di recupero assume, in via di principio, portata preminente rispetto a quello privato dei soggetti colpiti dalle disposizioni del menzionato strumento attuativo (T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII, 09 dicembre 2010, n. 27126) che ha la finalità di ridefinizione del tessuto urbanistico di un'area o di un complesso di aree e l'esigenza di rendere compatibili gli edifici esistenti con gli obiettivi fissati dall'amministrazione ossia, come sopra precisato, la riqualificazione della porzione del centro urbano collocata tra al strada statale ed il torrente nel tratto compreso tra il ponte ...omissis... e l'incrocio con via ...omissis....
    A ciò si aggiunga che la pianificazione urbanistica, nel perseguire l'ordinato assetto complessivo del territorio, coinvolge una pluralità di interessi, rispetto ai quali la disciplina di settore non pone alcuna gradazione né fissa criteri selettivi e che, pertanto, alla stregua di un radicato indirizzo giurisprudenziale, le scelte effettuate dall'amministrazione nell'adozione dello strumento urbanistico costituiscono apprezzamento di merito, connotato da ampia discrezionalità e, quindi, sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità, risultino incoerenti con l'impostazione di fondo dell'intervento pianificatorio o siano apertamente incompatibili con le caratteristiche oggettive del territorio (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 8 maggio 2000, n. 2639; 1^ marzo 2001, n. 1145; 6 febbraio 2002, n. 664; 4 marzo 2003, n. 1191; 26 maggio 2003, n. 2827; 25 novembre 2003, n. 7771; 24 febbraio 2004, n. 738; 13 aprile 2004, n. 1743; 21 maggio 2004, n. 3316; 22 giugno 2004, n. 4466; sez. V, 19 aprile 2005, n. 1782; sez. IV, 14 ottobre 2005, n. 5713; e n. 5716; 19 febbraio 2007, n. 861; 21 maggio 2007, n. 2571; 11 ottobre 2007, n. 5357; 27 dicembre 2007, n. 6686; TAR Lombardia, Milano, sez. II, 4 luglio 2002, n. 3109; TAR Abruzzo, Pescara, 19 settembre 2005, n. 498; 28 agosto 2006, n. 445; 7 marzo 2007, n. 215; TAR Toscana, Firenze, sez. I, 30 gennaio 2007, n. 146; TAR Campania, Salerno, sez. I, 10 luglio 2007, n. 817; 13 marzo 2008, n. 292; TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 12 marzo 2008, n. 279; TAR Puglia, Lecce, sez. I, 6 febbraio 2009, n. 206; TAR Lazio, Roma, sez. II, 14 gennaio 2009, n. 135): vizi - questi - non ravvisabili nella specie, stante il contenuto di merito delle doglianze rassegnate.
    6. Va, infine respinta la quarta ed ultima censura dedotta con la quale il ricorrente rileva genericamente la violazione di legge ed eccesso di potere poiché la convenzione prevista per l'attuazione del piano prevede l'obbligo di corrispondere al comune un importo proporzionale delle spese di realizzazione del piano realizzato dal comune stesso.
    Infatti, le spese previste sono commisurate agli oneri di urbanizzazione previsti a carico dei proprietari convenzionati che, tra l'altro, potranno decidere di eseguire direttamente le opere di urbanizzazione, e sono determinate secondo quanto previsto dall'articolo 3 delle norme tecniche di attuazione di cui all'allegato B alla deliberazione 19/2002, prodotta in giudizio dall'Amministrazione e non impugnata dagli interessati.
    7. In conclusione il ricorso va respinto.
    8. Sussistono giustificate ragioni per la compensazione tra le parti delle spese di causa attesa la particolarità delle specifiche questioni controverse.
    P. Q. M.
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
    Spese compensate.
    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
    Così deciso in Bologna nella camera di consiglio del giorno 24 marzo 2011 con l'intervento dei magistrati:
     
    IL PRESIDENTE
    Giuseppe Calvo
    L'ESTENSORE
    Ugo Di Benedetto
    IL CONSIGLIERE
    Grazia Brini
     
    Depositata in Segreteria il 12 aprile 2011
    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
     


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