• Normativa


    Concessione di beni demaniali: diniego e motivazione

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    N. 1892/2012 Reg. Prov. Coll.
    N. 3711 Reg. Ric.
    ANNO 2010
    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
    Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Settima) ha pronunciato la presente
    SENTENZA
    sul ricorso numero di registro generale 3711 dell'anno 2010, proposto da:
    S. s.n.c., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Alessandro Trani, con il quale è legalmente domiciliata presso la Segreteria del T.A.R.;
    contro
    Regione Campania, in persona del Presidente p.t. della Giunta Regionale, rappresentata e difesa dall'avv. Lidia Buondonno, con la quale è elettivamente domiciliata in Napoli, alla via S. Lucia n. 81, presso la sede dell'Avvocatura Regionale;
    per l'annullamento,
    previa sospensione dell'efficacia,
    a) del provvedimento prot. n. 2010.0261004 del 23/03/2010 con il quale la Giunta Regionale della Campania - Area Generale di Coordinamento Trasporti e Viabilità - Settore Demanio Marittimo Navigazione Porti Aeroporti Opere Marittime ha respinto la richiesta di concessione demaniale marittima prot. n. 5985 del 07/01/2009 (avente ad oggetto l'ampliamento della concessione marittima n. 162/08 già rilasciata alla società S. s.n.c. all'interno del porto di Ischia per mq. 532,00 a terra e per mq. 208,00 a mare);
    b) di tutti gli atti preordinati, connessi e consequenziali, ivi compresi quelli richiamati nel provvedimento sub a), comunque lesivi della posizione soggettiva della ricorrente, ivi comprese, ove occorrente, le delibere di G.R. n. 2 del 2002 e n. 1806 del 2004 (con le quali si è limitato il rilascio di nuove concessioni demaniali marittime alle ipotesi di richieste caratterizzate da preminente interesse ed utilità pubblica).
    Visti il ricorso e i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Campania;
    Viste le memorie difensive;
    Visti tutti gli atti della causa;
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 marzo 2012 il dott. Michelangelo Maria Liguori e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
    FATTO
    Con il presente ricorso, notificato a mezzo posta il 3/9 giugno 2010 e depositato il successivo 1 luglio, la S. s.n.c. ha esposto
    - che in data 7.1.2009, con istanza acquisita al protocollo regionale con il n. 5985, essa ricorrente aveva chiesto alla Regione Campania il rilascio di una concessione demaniale marittima avente ad oggetto la vecchia foce del porto di Ischia, meglio conosciuta come "...omissis...", ubicata al lato di ponente, in località "...omissis...";
    - che tale sito, negli anni addietro, dopo l'apertura della nuova imboccatura del porto d'Ischia, era stato utilizzato per il tiro e il varo delle imbarcazioni;
    - che la presentata istanza era giustificata dalla necessità di utilizzare il sito in oggetto per far fronte alla forte richiesta dei pescatori e degli altri operatori marittimi, altrimenti costretti a recarsi nei cantieri di ...omissis... per effettuare opere di manutenzione sulle barche di legno;
    - che, con nota prot. n. 2010.0154519 del 19.2.2010, l'Amministrazione regionale le aveva comunicato, ancorché in modo del tutto generico, la sussistenza di ragioni ostative all'accoglimento della presentata istanza, costituita dalla mancanza dei requisiti di cui alle delibere di G.R. n. 2000/2002 e n. 1806/2004;
    - che, con nota del 4.10. 2010, aveva presentato osservazioni in proposito, rimaste prive di riscontro;
    - che, tuttavia, con provvedimento prot. n. 2010.0261004 del 23/03/2010, la Giunta Regionale della Campania - Area Generale di Coordinamento Trasporti e Viabilità - Settore Demanio Marittimo Navigazione Porti Aeroporti Opere Marittime aveva respinto la presentata istanza concessoria, avendo valutato la richiesta destinazione particolare del sito incompatibile con l'uso pubblico e generalizzato dello stesso da parte della collettività, e non potendo il Settore competente (in virtù delle delibere di G.R. n. 2/2002 e n. 1806/2004) procedere al rilascio di nuove concessioni nel porto di Ischia se non nei casi di richieste di preminente interesse e utilità pubblica (a parte le ipotesi di positiva definizione dell'iter istruttorio all'atto del passaggio delle competenza dalle Capitanerie di Porto alla Regione), né potendo procedere a variazioni delle concessioni già rilasciate ad eccezione dei casi in cui fossero rinvenibili i caratteri di necessarietà, funzionalità e complementarietà rispetto all'attività esercitata (casi cui, però, non sarebbe stato riconducibile quello in questione).
    Tanto esposto, la società ricorrente ha impugnato il diniego oppostole, unitamente alle presupposte delibere di G.R. n. 2/2002 e n. 1806/2004, chiedendone l'annullamento per i seguenti motivi:
    1) violazione dell'art. 10 bis L. 241/1990 - violazione del principio del giusto procedimento: oltre a non essere stata data formale comunicazione dell'avvio del procedimento, nel caso di specie neppure sarebbero stati comunicati "i motivi che ostano all'accoglimento della domanda", posto che la P.A. avrebbe inviato una comunicazione di contenuto quanto mai generico sul punto, e perciò inidonea a consentire alla destinataria una effettiva partecipazione procedimentale;
    2) carenza assoluta di motivazione - violazione degli artt. 3 e 14 L. 241/1990 - travisamento - omessa ponderazione della situazione contemplata - falso scopo - violazione e falsa applicazione degli artt. 36 e 37 del Codice della Navigazione, nonché della L. 88/2001 - violazione del principio del giusto procedimento: la motivazione utilizzata nella specie per denegare l'istanza concessoria sarebbe insufficiente e, comunque, viziata da palese travisamento e falsità di scopo (la P.A. non avrebbe tenuto conto che la zona demaniale oggetto di richiesta, già in passato sarebbe stata utilizzata per il tiro e il varo di imbarcazioni da diporto; che attualmente verserebbe in stato di totale abbandono così da essere divenuta ricettacolo di immondizia; che il rilascio della concessione avrebbe agevolato i molti proprietari di pescherecci e di unità di media stazza da diporto, consentendo loro di effettuare sulla stessa isola d'Ischia le necessarie riparazioni e l'ordinaria manutenzione, evitando agli stessi di doversi recare altrove per provvedere a tanto; che con il rilascio della chiesta concessione demaniale marittima essa richiedente avrebbe potuto incrementare la propria attività, cosa da cui sarebbe aumentato anche l'indotto del settore);
    3) eccesso di potere per contraddittorietà con precedenti manifestazioni - difetto di motivazione: poiché la P.A. avrebbe già rilasciato più d'una concessione demaniale nel porto di Ischia, la stessa, diversamente operando nella fattispecie in esame, avrebbe tenuto un comportamento sperequato e illogico rispetto ai precedenti.
    In data 14 luglio 2010 la Regione Campania si è costituita in giudizio al fine di resistere al proposto ricorso.
    All'udienza camerale del 15 luglio 2010, fissata per la trattazione della domanda cautelare avanzata dalla ricorrente, la stessa è stata cancellata dal ruolo su richiesta di quest'ultima.
    In data 8 febbraio 2012 la parte pubblica ha depositato una memoria illustrativa.
    Alla pubblica udienza dell'8 marzo 2012 la causa è stata trattenuta in decisione.
    DIRITTO
    Il presente giudizio ha ad oggetto l'impugnativa, unitamente ad atti che ne costituiscono il presupposto (ovvero le delibere di G.R. 2000/2002 e 1806/2004), del diniego opposto dalla Regione Campania - Area Generale di Coordinamento Trasporti e Viabilità - Settore Demanio Marittimo Navigazione Porti Aeroporti Opere Marittime all'istanza prot. n. 5985 del 07/01/2009, con cui la S. s.n.c. aveva chiesto il rilascio di una concessione demaniale marittima in ampliamento della concessione n. 162/08 già rilasciatale all'interno del porto di Ischia, per mq. 532,00 a terra e per mq. 208,00 a mare.
    In particolare detta richiesta aveva riguardato la concessione di un'area ulteriore sempre nell'ambito del porto d'Ischia, da utilizzare per attività cantieristica di riparazione di imbarcazioni da diporto; mentre il diniego è stato giustificato dall'organo regionale sulla base di un'assunta incompatibilità della particolare destinazione richiesta per il sito in questione con l'uso pubblico e generalizzato dello stesso da parte della collettività, essendo stato giudicato opportuno non sottrarre ulteriori aree del porto d'Ischia (definito "notoriamente congestionato") alla libera fruizione dei cittadini (cosa peraltro in accordo con il contenuto delle delibere di G.R. nn. 2000/2002 e 1806/2004, con la quali la Giunta Regionale, nel fornire "indirizzi operativi" in materia di concessioni demaniali marittime in ambiti portuali, aveva stabilito di autorizzare il rilascio di nuove concessioni del genere, oltre che nei casi in cui le Capitanerie di Porto avessero positivamente definito l'iter istruttorio prima del passaggio delle relative competenze alla Regione, "esclusivamente per far fronte a richieste di preminente interesse ed utilità pubblica", ovvero la modifica di concessioni già esistenti "solo se complementare, necessaria e funzionale all'esercizio dell'attività già autorizzata").
    Parte ricorrente articola le proposte censure in tre motivi di ricorso, i quali però risultano infondati e vanno perciò disattesi.
    E difatti, destituito di fondamento è il primo dei motivi articolati, poiché, a differenza di quanto con esso sostenuto, ritiene il Collegio che la Regione Campania abbia rispettato il disposto di cui all'art. 10 bis L. 241/1990, posto che il conclusivo diniego è stato preceduto dall'invio della nota prot. n. 2010.0154519 del 19.2.2010, con la quale, richiamato proprio l'art. 10 bis L. 241/1990, è stata data notizia alla società odierna ricorrente della sussistenza di ragioni ostative all'accoglimento della presentata istanza concessoria, ovvero della carenza dei "requisiti fissati dalla D.G.R. n. 2000/02, come integrata dalla D.G.R. n. 1806/04", nonché dell'intento dell'Amministrazione di "procedere ad una rivisitazione dell'assetto dell'intera struttura portuale", cosicché allo stato non sarebbe stato possibile "procedere alla modifica richiesta".
    Né può fondatamente dirsi che la formulazione di tale comunicazione sia stata inidonea a determinare un'ulteriore fase procedimentale in contraddittorio con il privato, come dimostrato dal fatto che invece tale partecipazione vi è stata, avendo la S. s.n.c. prodotto deduzioni in proposito in data 4.3.2010, tuttavia disattese appunto con il provvedimento conclusivo (in cui è stato dato atto del fatto che si è tenuto conto, dopo lettura, delle "osservazioni presentate dall'istante", e che gli elementi così offerti dalla parte privata "sono stati compiutamente valutati").
    Parimenti infondato risulta, altresì, il secondo motivo di ricorso, atteso che il provvedimento gravato non appare affetto da alcun difetto motivazionale.
    A tal proposito, deve evidenziarsi che univocamente la giurisprudenza afferma, per un verso che "i beni del demanio marittimo sono istituzionalmente ed in via generale rivolti all'uso pubblico, mentre un'utilizzazione per finalità diverse, di tipo privato, appare consentita esclusivamente per un periodo di tempo determinato e previa responsabile valutazione dell'Amministrazione competente, compatibilmente con il pubblico interesse (cfr. art. 36 cod. navigaz.). Tali essendo le indicazioni ricavabili dalle disposizioni di rango legislativo che disciplinano il potere di assentire le concessioni sui beni demaniali, appare evidente che essendo l'utilizzazione per l'uso pubblico di tali beni quella istituzionalmente prevista dalla legge, la scelta dell'Amministrazione di mantenere tale destinazione relativamente ad un determinato bene demaniale, pur in presenza di una domanda di concessione, non richiede una motivazione specifica, apparendo sufficiente la concreta indicazione della incompatibilità della nuova destinazione con l'uso pubblico; al contrario, tale specifica motivazione appare invece necessaria proprio ai fini della adozione del provvedimento di concessione del terreno demaniale, che, distogliendo quest'ultimo dalla destinazione ad uso pubblico, deve indicare le ragioni che inducano a ritenere la destinazione ad un uso diverso da quello istituzionale, compatibile e non pregiudizievole per l'interesse generale." (così Cons. di Stato sez. VI, 3.3.2004 n. 1047; ma, nel medesimo senso cfr. anche Cons. di Stato sez. VI, 9.3.2011 n. 1472; Cons. di Stato sez. VI, 21.9.2010 n. 6997; Cons. di Stato sez. VI, 23.12.2008 n. 6518; Cons. di Stato sez. VI, 20.3.2007 n. 1320; T.A.R. Sicilia-Palermo, 20.1.2010 n. 582; ed anche Cass. SS.UU. 14.2.2011, n. 3665); e per altro verso che "gli artt. 30 e 36 del Codice della Navigazione rimettono al potere ampiamente discrezionale dell'Amministrazione marittima la valutazione di quale tra i vari usi del bene demaniale si presenti (nel caso singolo) più proficuo e conforme all'interesse della collettività e che l'Autorità marittima deve prendere in considerazione e valutare comparativamente (oltre all'interesse privato dell'istante) anche l'insieme degli altri interessi pubblici c.d. "secondari" che possono essere coinvolti dall'adozione del provvedimento finale." (così Cons. di Stato sez. VI, 7.9.2004 n. 5840; e, nel medesimo senso, Cons. di Stato sez. VI, 11.12.2009 n. 7765; T.A.R. Campania-Napoli, 13.1.2012 n. 153).
    Da tanto deriva, allora, se non certo l'insindacabilità delle scelte amministrative in tema di concessioni demaniali marittime, quanto meno la possibilità di pervenire ad un loro giudiziale annullamento soltanto qualora esse risultino viziate in modo evidente e macroscopico (sussistendo altrimenti il concreto pericolo di una invasione del campo del merito amministrativo, riservato in via esclusiva all'Amministrazione).
    Ciò posto, quanto alla fattispecie in esame deve allora dirsi che risulta del tutto ragionevole e non illogica la scelta esplicitata dalla Regione Campania, di non accogliere l'istanza concessoria della società ricorrente al fine di mantenere la destinazione ad uso pubblico dell'area interessata (così, peraltro, da operare secondo la regola base posta dalla legislazione in materia); s a sua volta giustificata dal fatto che, risultando già attribuite in concessione a privati gran parte delle aree del porto di Ischia, è stata ritenuta sussistente la necessità di un complessivo riordino, in vista del quale si è giudicato opportuno non assegnare nuove concessioni o modificare quelle già in essere, se non in casi determinati e ben definiti (ovvero procedere a nuovi rilasci "esclusivamente per far fronte a richieste di preminente interesse ed utilità pubblica", e consentire una modifica delle concessioni già esistenti "solo se complementare, necessaria e funzionale all'esercizio dell'attività già autorizzata").
    Né, in contrario, può dirsi rilevante quanto dedotto da parte ricorrente al fine di porre in luce la sussistenza di una carenza dell'istruttoria procedimentale, nonché un conseguente difetto motivazionale del provvedimento conclusivo (cioè che la P.A. non avrebbe tenuto conto che la zona demaniale oggetto di richiesta, già in passato, sarebbe stata utilizzata per il tiro e il varo di imbarcazioni da diporto; che attualmente verserebbe in stato di totale abbandono così da essere divenuta ricettacolo di immondizia; che il rilascio della concessione avrebbe agevolato i molti proprietari di pescherecci e di unità di media stazza da diporto, consentendo loro di effettuare sulla stessa isola d'Ischia le necessarie riparazioni e l'ordinaria manutenzione, evitando agli stessi di doversi recare altrove per provvedere a tanto; che, qualora fosse stata rilasciata la chiesta concessione demaniale marittima, essa richiedente avrebbe potuto incrementare la propria attività, cosa da cui sarebbe aumentato anche l'indotto del settore): trattasi, invero, di argomenti che sostanzialmente vanno a toccare il merito della scelta amministrativa, la quale, essendo riservata all'Amministrazione, risulta insindacabile nella presente sede giudiziale.
    Parimenti, infine, va disatteso l'ultimo motivo di ricorso. Infatti, il riferimento ad una contraddittorietà dell'azione dell'Amministrazione regionale (per aver questa in precedenza rilasciato concessioni demaniali nell'ambito del porto di Ischia) risulta, in assenza di concreta individuazione degli atti concessori che dovrebbero costituire il parametro da cui desumere tale illegittimità, del tutto generico; mentre, per converso, la difesa della regione intimata, se ha ammesso il rilascio di tre nuove concessioni in ambito portuale (riguardanti però specchi d'acqua e non zone a terra), ha anche dimostrato (cfr. i relativi documenti) che di esse ha beneficiato il Comune di Ischia, per cui deve presumersi il rispetto delle direttive poste dalle delibere di G.R. n. 2000/2002 e n. 1806/2004 (con conseguente assenza di contraddittorietà dell'azione amministrativa).
    Da ultimo, è opportuno anche mettere in evidenza come un accoglimento sic et simpliciter dell'istanza concessoria presentata della S. s.n.c. non avrebbe potuto, comunque, essere disposto dalla regione Campania, atteso che trattandosi di affidamento in concessione di beni demaniali suscettibili di uno sfruttamento economico, avrebbe dovuto aver prima luogo un previo confronto concorrenziale, preceduto dalla pubblicazione di un avviso idoneo a consentire la partecipazione del maggior numero possibile di soggetti interessati (cfr. Cons. di Stato sez. VI, 25.9.2009 n. 5765; Cons. di Stato sez. VI, 21.5.2009 n. 3145; Cons. di Stato sez. VI, 23.7.2008 n. 3642; Cons. di Stato sez. VI, 31.5.2007 n. 2825; T.A.R. Abruzzo-L'Aquila, 7.11.2009 n. 462; T.A.R. Campania-Napoli 5.12.2008 n. 21241; T.A.R. Campania-Napoli 31.10.2007 n. 10326).
    Pertanto, il proposto ricorso va respinto, con ogni connessa conseguenza in ordine alle spese di giudizio, che, liquidate come da dispositivo, vengono poste a carico della società ricorrente.
    P. Q. M.
    Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Settima) definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe, proposto dalla S. s.n.c., lo respinge.
    Condanna la società ricorrente alla rifusione, in favore della Regione Campania, delle spese di giudizio, che liquida in complessivi euro 2.500,00, oltre accessori di legge.
    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
    Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2012 con l'intervento dei magistrati:
     
    IL PRESIDENTE
    Alessandro Pagano
    L'ESTENSORE
    Michelangelo Maria Liguori
    IL PRIMO REFERENDARIO
    Marina Perrelli
     
    Depositata in Segreteria il 23 aprile 2012
    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
     

    Fonti rinnovabili: il "favor" del legislatore

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    N. 332/2012 Reg. Prov. Coll.
    N. 818 Reg. Ric.
    ANNO 2011
    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Prima ha pronunciato la presente
    SENTENZA
    sul ricorso numero di registro generale 818 del 2011, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
    A. Srl, rappresentato e difeso dagli avv.ti Saverio Sticchi Damiani, Antonella Capria, Teodora Marocco, Francesca Carlesi, con domicilio eletto presso Saverio Sticchi Damiani in Lecce, via 95 Rgt Fanteria, 9;
    contro
    Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) - Puglia, rappresentata e difesa dall'avv. Laura Marasco, con domicilio eletto presso Laura Marasco in Lecce, c/o Arpa Dipartimento Provinciale via Miglietta, 2;
    Regione Puglia, rappresentata e difesa dall'avv. Anna Bucci, con domicilio eletto presso Anna Bucci in Lecce, viale Aldo Moro 1;
    Comune di Brindisi;
    per l'annullamento
    della nota prot. n. 8989 adottata in data 22 febbraio 2011 dalla Agenzia Regionale per la Prevenzione e la Protezione dell'Ambiente A.R.P.A. della Puglia, Dipartimento Provinciale di Brindisi e recante come oggetto "Autorizzazione unica ai sensi del D.Lgs. 387/2003 relativa alla costruzione ed all'esercizio dell'impianto di produzione di energia elettrica da fonte eolica nel Comune di Brindisi denominato ...omissis... della potenza di 24 MW ditta A. s.r.l. - Parere in seguito ad integrazione documentale riferita a parere ARPA DAP BR prot. 44124 del 20/09/2010 (ns. rif. 015/11/FER)", con la quale si esprime parere sfavorevole alla realizzazione del citato impianto eolico; ed ove occorra della nota prot. n. 44124 adottata in data 20/09/2010 dall'A.R.P.A. della Puglia, Dipartimento Provinciale di Brindisi con la quale si esprime parere sfavorevole alla realizzazione del citato impianto eolico; di ogni altro atto preordinato, conseguente o comunque connesso;
    nonché, per l'annullamento,
    della nota prot. n. 1974 del 25/02/2011, comunicata in data 26/04/2011, con la quale il Servizio assetto del territorio della Regione Puglia, in riscontro alla richiesta del parere di competenza avanzata dal Servizio energia, reti e infrastrutture della Regione Puglia nell'ambito del procedimento di autorizzazione unica ai sensi del D.Lgs. 387/2003 per la costruzione e l'esercizio di un impianto di produzione di energia elettrica da fonte eolica e relative opere connesse, ha espresso parere non favorevole per gli aspetti paesaggistici di compatibilità con il PUTT/P per gli aerogeneratori identificati con il n. 1, 3, 6, 11, 12, 13, 16 e 21; della nota prot. 5469 del 27/04/2011 a firma del Dirigente dell'Ufficio energia e reti energetiche della Regione Puglia con la quale, richiamato il parere espresso con nota prot. 1974 del 25/2/2011 dal Servizio assetto del territorio, si formulava invito alla società ricorrente di adeguare il progetto definitivo oggetto di autorizzazione unica in conformità ai limiti e per il solo numero di aerogeneratori risultati ambientalmente compatibili all'esito del prefato parere; di ogni altro atto preordinato, conseguente o comunque connesso.
    Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
    Visti gli atti di costituzione in giudizio di Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) - Puglia e di Regione Puglia;
    Viste le memorie difensive;
    Visti tutti gli atti della causa;
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 gennaio 2012 il dott. Claudia Lattanzi e uditi l'avv. prof. Sticchi Damiani Saverio, per la ricorrente, l'avv. Marasco Laura, per l'Arpa, e l'avv. Liberti Maria, in sostituzione dell'avv. Bucci Anna, per la Regione.;
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
    FATTO
    La ricorrente ha impugnato, con il presente ricorso, la nota dell'Arpa, 22 febbraio 2011, con la quale è stato reso parere negativo al rilascio dell'autorizzazione unica per la costruzione e l'esercizio dell'impianto di produzione di energia elettrica da fonte eolica nel comune di Brindisi.
    La società G., il 9 settembre 2006, ha presentato un'istanza di avvio del procedimento di valutazione e di impatto ambientale (VIA) e, il 1^ dicembre 2006, ha depositato anche la richiesta per il rilascio dell'autorizzazione unica.
    Nelle more della definizione della predetta procedura, la ricorrente, il 5 luglio 2007, è subentrata, in qualità di cessionaria di un ramo di azienda della G., nella titolarità del progetto, dandone comunicazione a tutte le amministrazioni interessate.
    La ricorrente, con note del 1^ ottobre 2007 e 10 febbraio 2008, ha chiesto all'autorità competente in materia di VIA di procedere a una valutazione del progetto in lotti separati, iniziando dal lotto costituito dalle turbine e dalle opere ad esse accessorie ricadenti nel solo comune di Brindisi (...omissis...).
    Con determinazione n. 458 del 2 settembre 2009, l'Amministrazione ha concluso il procedimento di VIA, esprimendo parere di compatibilità ambientale limitato a sole 12 delle 25 turbine componenti originariamente il lotto in questione e subordinandolo al rispetto di alcune prescrizioni.
    La ricorrente, ha poi depositato presso la Regione, l'11 febbraio 2010, il progetto definitivo relativo al lotto di Brindisi.
    L'Amministrazione, quindi, ha avviato, il 27 aprile 2010, il procedimento per il rilascio dell'autorizzazione unica, convocando la conferenza di servizi per il 23 settembre 2010.
    L'Arpa, con nota del 20 settembre 2010, ha dato parere negativo alla realizzazione del lotto di Brindisi per i profili acustici.
    Conseguentemente, il responsabile del procedimento ha invitato la ricorrente a prendere contatti con l'Arpa "con particolare riferimento alla zonizzazione acustica comunale", riservandosi l'adozione delle proprie determinazioni conclusive in esito all'avvenuto espletamento dell'ulteriore attività istruttoria necessaria.
    A seguito di ciò, l'Arpa ha adottato un nuovo parere negativo con nota del 22 febbraio 2011.
    Avverso questo provvedimento è stato proposto il presente ricorso per i seguenti motivi: 1. Violazione e falsa applicazione dell'art. 10 bis l. 241/1990. 2. Violazione dell'art. 97 Cost., in relazione ai principi di imparzialità e buon andamento; eccesso di potere per violazione dei generali principi di leale collaborazione e giusto procedimento. 3. Incompetenza e carenza di potere; violazione e falsa applicazione dell'art. 12 d.lgs. 387/2003; violazione e falsa applicazione dell'art. 14 quater l. 241/1990. 4 Violazione e falsa applicazione dell'art. 14 quater l. 241/1990 sotto diverso profilo; eccesso di potere; violazione dei generali principi di leale collaborazione, ragionevolezza e proporzionalità; violazione e falsa applicazione dell'art. 1 l. 241/1990 in relazione ai principi di economicità ed efficacia. 5. Violazione e falsa applicazione dell'art. 8 l. 447/1995; violazione e falsa applicazione degli artt. 22, 25 e dell'allegato VII alla parte seconda d.lgs. 152/2006; violazione e falsa applicazione degli artt. 8 e 11 l.r. 11/2001; violazione e falsa applicazione dell'art. 1 l. 241/1990 in relazione al principio di non aggravamento; eccesso di potere per contraddittorietà tra atti procedimentali e per lesione del principio del legittimo affidamento. 6. Eccesso di potere per travisamento dei fatti e per difetto di motivazione; violazione e falsa applicazione dell'art. 3 l. 241/1990; violazione e falsa applicazione dell'art. 12 d.lgs. 387/2003 sotto diverso profilo; violazione e falsa applicazione del d.m. 10 settembre 2010. 7. Incompetenza e carenza di potere; eccesso di potere per sviamento; violazione e falsa applicazione del d.m. 10 settembre 2010 sotto diverso profilo. 8. Violazione e falsa applicazione dell'art. 2 l. 447/1995; eccesso di potere per travisamento della normativa applicabile. 9. Eccesso di potere per travisamento dei fatti, della normativa applicabile e per violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità.
    Deduce la ricorrente: che non è stato comunicato il preavviso di rigetto, che l'Arpa non ha manifestato la propria determinazione all'interno della conferenza di servizi, che non è stata presa in considerazione la possibilità di approvare parzialmente il progetto, che non sono state indicate le modifiche progettuali idonee ai fini dell'ottenimento dell'assenso, che l'Arpa avrebbe dovuto esprimere il proprio parere contrario all'interno del subprocedimento di VIA, che il progetto rispetta tutti i limiti di rumorosità, che l'Arpa non ha adeguatamente motivato perché non ha estrinsecato le ragioni del parere negativo, che in relazione al piano acustico del comune di Brindisi è in corso un procedimento di variante, che, in caso di non compatibilità con la zonizzazione acustica, il d.m. richiede che vengano adottate specifiche misure di mitigazione, che le misure di mitigazione dovrebbero essere definite in sede di conferenza di servizi, che la misurazione dei valori limite di immissione deve avvenire in prossimità dei ricettori, che lo studio integrativo di impatto acustico è stato condotto ponendosi nelle condizioni più gravose in termini di emissioni acustiche.
    La ricorrente, con motivi aggiunti del 7 luglio 2011, ha impugnato la nota del 25 febbraio 2011, con la quale la Regione ha espresso parere non favorevole per gli aspetti paesaggistici di compatibilità con il PUTT per gli aerogeneratori con il n. 1, 3, 6, 11, 12, 13, 16 e 21, e ha dedotto i seguenti motivi: Eccesso di potere; erronea presupposizione in fatto e in diritto; contraddittorietà manifesta; vizio di motivazione; irragionevolezza. 2. Eccesso di potere; violazione del giusto procedimento; erronea presupposizione in fatto e in diritto sotto altro profilo, contraddittorietà manifesta; vizio di motivazione; irragionevolezza. 3. Eccesso di potere; violazione e falsa interpretazione e applicazione del PUTT della regione Puglia; erronea presupposizione in fatto e in diritto; difetto di
    istruttoria; carenza motivazionale; contraddittorietà e irragionevolezza manifesta. 4. Illegittimità derivata; eccesso di potere per violazione del giusto procedimento.
    Deduce la ricorrente: che non è possibile tener conto della variante adottata e non definitivamente approvata al PRG di Brindisi; che comunque la variante fa salvi i progetti già convenzionati ovvero i procedimenti autorizzativi già conclusi: che una preconcetta incompatibilità sconterebbe i vizi di incostituzionalità già affermati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 119/2010; che non si rilevano caratteristiche paesaggistiche di pregio o meritevoli di salvaguardia; che il provvedimento non è adeguatamente motivato; che non risulta la presenza del corso d'acqua.
    L'Arpa si è costituita con atto del 2 agosto 2011 e, il 7 ottobre 2011, è stato depositato il parere del 6 ottobre 2011, con il quale è stato dichiarato che la valutazione tecnico ambientale "è positiva fatto salvo il rispetto delle seguenti prescrizioni".
    La Regione, con atto di costituzione e memoria difensiva del 10 dicembre 2011, ha controdedotto rilevando la legittimità, anche sotto il profilo della motivazione, del provvedimento impugnato, e, con successiva memoria del 24 dicembre 2011, ha dedotto che con deliberazione consiliare 37/2010 era stato deliberato di dare immediata applicazione alle norme più restrittive e questa deliberazione non è stata impugnata.
    Nella pubblica udienza del 25 gennaio 2012 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
    DIRITTO
    1. Il ricorso avverso il parere negativo dell'Arpa deve essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, in quanto, con nota del 6 ottobre 2011, è stato rilasciato il parere positivo.
    2. E' da evidenziare, anzitutto, che, anche se la classificazione dell'area quale Ambito Territoriale Esteso di tipo D è oggetto di una variante al PRG non ancora approvata,quanto all'interesse relativo al motivo formulato in ordine al contrasto col P.R.G. in itinere deve farsi riferimento alla disciplina dell'art. 17, comma 2, l.r. 56/1980, che, in caso di contrasto dell'intervento con le previsioni di strumenti urbanistici adottati, prevede la sospensione di ogni determinazione in ordine alla domanda; l'applicazione della cd. misura di salvaguardia in termini di sospensione della determinazione si giustifica in considerazione, da un lato, della circostanza che, pur non essendovi contrasto con una disposizione vigente ed efficace, un eventuale accoglimento potrebbe pregiudicare la concreta operatività del piano in itinere e, dall'altro, con il rilievo che un diniego non troverebbe giustificazione per la mera non conformità con una disposizione che potrebbe anche, nel corso ulteriore del procedimento, non essere approvata dall'autorità regionale e, dunque, non entrate mai in vigore.
    Pertanto, l'Amministrazione avrebbe comunque dovuto sospendere il procedimento in esame, non potendo emanare un provvedimento negativo.
    2.1 Per quanto riguarda il ricorso avverso il parere della Regione non favorevole per gli aspetti paesaggistici di compatibilità con il PUTT, deve farsi una distinzione tra quanto prescritto per l'aerogeneratore 13 e quanto per gli altri.
    In particolare, per gli aerogeneratori 1, 3, 6, 11, 12, 16 e 21, la Regione ha ritenuto la loro non compatibilità perché "in contrasto con i relativi indirizzi di tutela (2.02) del PUTT".
    Il provvedimento impugnato risulta illegittimo sotto il profilo della carenza di motivazione.
    Nell'ambito della procedura di Via sono stati acquisiti i pareri del Comune di Brindisi e dell'Ufficio Programmazione VIA Politiche energetiche della Regione.
    I pareri, entrambi positivi, hanno rilevato "la coerenza con tipizzazione degli abiti di tutela previsti dal P.R.G., così come adeguato al P.U.T.T./P in quanto gli aerogeneratori non coincidono con alcun Ambito di Tutela " (così il Comune), "Dal punto di vista paesaggistico la zona non presenta caratteristiche di pregio, la vastità della piana, la lontananza delle colline visibilmente appena percettibili, non offrono elementi naturalistici di spicco ...".
    Il provvedimento impugnato, al contrario, ha ritenuto che "il progetto non appare compatibile con la salvaguardia delle visuali panoramiche in un paesaggio caratterizzato da ampie visuali e da un alternarsi di aree ad elevato valore naturalistico con il paesaggio agrario la cui variabilità paesaggistica deriva dall'accostamento delle varie colture...".
    Pur ritenendosi legittima la possibilità di discostarsi dai precedenti pareri di altre amministrazioni, il provvedimento impugnato avrebbe dovuto esplicitare in modo più puntuale le motivazioni di questa incompatibilità.
    In particolare, come rilevato dalla difesa della ricorrente, nel parere paesaggistico non vengono evidenziati i parametri che determinano le interferenze visive, quali la morfologia dei luoghi o altro,né viene evidenziato perché l'accostamento delle culture ( normale in un paesaggio agrario) determini l'incompatibilità di un insediamento che,in linea di massima, è incompatibile solo con le aree agricole interessate da produzioni agricolo-alimentari di qualità (produzioni biologiche, produzioni D.O.P., I.G.P., S.T.G., D.O.C., D.O.C.G., produzioni tradizionali) e/o di particolare pregio rispetto al contesto paesaggistico-culturale ( ai sensi delle linee guida nazionali di cui al D.M. 10 settembre 2010, All. 3).
    Una motivazione puntuale è poi necessaria anche in virtù del fatto che la realizzazione di impianti di energia alternativa viene considerata favorevolmente dal legislatore proprio per la loro funzione di procurare benefici ambientali.
    Anche la Corte costituzionale ha più volta rilevato che "pur non trascurandosi la rilevanza che, in relazione agli impianti che utilizzano fonti rinnovabili, riveste la tutela dell'ambiente e del paesaggio, occorre riconoscere prevalente risalto al profilo afferente alla gestione delle fonti energetiche in vista di un efficiente approvvigionamento presso i diversi ambiti territoriali" (Corte cost., 3 marzo 2011, n. 67; nello stesso senso sent. 119/2010 e 166/2009).
    Principio ripreso anche dalla giurisprudenza di questa Sezione che ha più volte ritenuto come "che la normativa comunitaria di riferimento (2001/77/CE), nell'ottica di una progressiva liberalizzazione del mercato dell'energia, esprime un netto "favor" per la produzione di energia derivante da fonti rinnovabili e per la realizzazione dei relativi impianti: in tale prospettiva, il legislatore comunitario impone così agli stati membri di rimuovere ogni ostacolo normativo o di altro tipo (es. amministrativo, come nella specie) all'aumento della produzione di elettricità di questo tipo" (Tar Lecce, sez. I, 30 aprile 2010, n. 1064).
    2.2. Un discorso diverso deve essere fatto per quanto riguarda l'aerogeneratore 13, per il quale è stato dato parere negativo in quanto "risulta interessato dall'area annessa di un corso d'acqua, in particolare Fiume Grande, pertanto in base all'art. 3.08, comma 3.08.4, punto 4.2. delle NTA del PUTT/P oltre alle prescrizioni di base relative agli indirizzi di tutela si applica la prescrizione "che non sono autorizzabili piani e/o progetti comportanti trasformazioni che compromettano la morfologia ed i caratteri colturali e d'uso con riferimento al rapporto paesistico-ambientale esistente tra il corso d'acqua ed il suo intorno diretto".
    La difesa della ricorrente contesta l'esistenza di questo corso d'acqua;lo stesso tuttavia è cartografato dal PUTT come ATD 927 e rientra nell'elenco dell'Idrologia superficiale.
    2.3.. Il ricorso avverso la nota del 25 febbraio 2011 della Regione deve essere conseguentemente accolto per quanto riguarda gli aerogeneratori, 3, 6, 11, 12, 16 e 21, mentre deve essere respinto per l'aerogeneratore n. 13.
    3. In conclusione, il ricorso avverso la nota Arpa del 22 febbraio 2011 deve essere dichiarato improcedibile, mentre quello proposto con motivi aggiunti, avverso la nota della Regione del 25 febbraio 2011, deve essere accolto in parte.
    Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio.
    P. Q. M.
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Prima definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
    - dichiara improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso avverso la nota Arpa del 22 febbraio 2011;
    - accoglie in parte, nei sensi di cui in motivazione, il ricorso avverso la nota della Regione del 25 febbraio 2011.
    Spese compensate.
    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
    Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 25 gennaio 2012 con l'intervento dei magistrati:
     
    IL PRESIDENTE
    Antonio Cavallari
    L'ESTENSORE
    Claudia Lattanzi
    IL CONSIGLIERE
    Luigi Viola
     
    Depositata in Segreteria il 23 febbraio 2012
    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
     

    Stop al recupero rifiuti senza titolo edilizio!

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    N. 6/2012 Reg. Prov. Coll.
    N. 292 Reg. Ric.
    ANNO 2007
    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna sezione staccata di Parma (Sezione Prima) ha pronunciato la presente
    SENTENZA
    sul ricorso n. 292 del 2007 proposto da C. A. e C. P., in proprio e quali legali rappresentanti p.t. de L. S.n.c., difesi e rappresentati dall'avv. Daniele Turco e dall'avv. Stefano Vaccari, ed elettivamente domiciliati in Parma, via G. Cantelli n. 9, presso lo studio dell'avv. Paola Da Vico;
    contro
    la Provincia di Reggio Emilia, in persona del Presidente p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Paolo Coli ed elettivamente domiciliata in Parma, b.go G. Tommasini n. 20, presso lo studio dell'avv. Mario Ramis;
    il Comune di Reggio Emilia, in persona Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Francesca Ghirri ed elettivamente domiciliato in Parma, borgo Antini n. 3, presso lo studio dell'avv. Giorgio Pagliari;
    per l'annullamento
    - quanto all'atto introduttivo della lite - del provvedimento del Dirigente del Servizio Ambiente della Provincia di Reggio Emilia prot. n. 85627.06 del 21 novembre 2006 (recante il divieto di prosecuzione dell'attività di recupero rifiuti speciali svolta dalla ditta L. S.n.c.), nonché della nota del Dirigente Area Servizi alla città del Comune di Reggio Emilia prot. n. 6440 dell'11 luglio 2006 (avente ad oggetto "comunicazioni in merito ad attività di gestione rifiuti in via ...omissis...");
    - quanto all'atto di "motivi aggiunti" depositato il 18 marzo 2011 - della comunicazione di avvio del procedimento del Comune di Reggio Emilia in data 14 agosto 2006, della comunicazione del Comune di Reggio Emilia in data 11 luglio 2006 e della ingiunzione della Provincia di Reggio Emilia in data 7 aprile 2006.
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto l'atto di "motivi aggiunti" depositato il 18 marzo 2011;
    Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Reggio Emilia e del Comune di Reggio Emilia;
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Nominato relatore il dott. Italo Caso;
    Uditi, per le parti, alla pubblica udienza del 23 novembre 2011 i difensori come specificato nel verbale;
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
    FATTO E DIRITTO
    Richiamati gli atti con cui l'ARPA aveva accertato che la ditta L. S.n.c. svolgeva in modo irregolare l'attività di "recupero rifiuti" in precedenza assentita e la Provincia di Reggio Emilia aveva ingiunto alla stessa ditta di conformarsi alle comunicazioni originariamente fatte, e richiamata la nota prot. n. 6440 dell'11 luglio 2006 con cui il Dirigente Area Servizi alla città del Comune di Reggio Emilia aveva attestato che l'insediamento della suddetta ditta risultava priva dei necessari titoli edilizi e carente della conformità urbanistica, il Dirigente del Servizio Ambiente della Provincia di Reggio Emilia disponeva il divieto di prosecuzione dell'attività di "recupero rifiuti" per la quale la ditta L. S.n.c. risultava iscritta al registro dei recuperatori di cui all'art. 216 del d.lgs. n. 152 del 2006 (v. provvedimento prot. n. 85627.06 del 21 novembre 2006).
    Avverso i suindicati atti gli interessati hanno proposto ricorso straordinario al Capo dello Stato, lamentando che l'Amministrazione provinciale non aveva tenuto conto della pregressa richiesta di stipulazione di convenzione urbanistica con il Comune di Reggio Emilia e quindi della necessità di adottare il provvedimento impugnato solo dopo l'eventuale esito negativo di quell'istanza; assumendo l'insussistenza di irregolarità edilizie, per riguardare la parte di fabbricato in questione un'abitazione estranea all'impianto; deducendo la carenza dell'interesse pubblico alla misura, per trattarsi di attività più volte assentita. Di qui la richiesta di annullamento degli atti impugnati.
    Chiesta, poi, dall'Amministrazione comunale la trasposizione della controversia in sede giurisdizionale, ai sensi dell'art. 10 del d.P.R. n. 1199 del 1971, i ricorrenti vi provvedevano con deposito dei relativi atti presso questa Sezione in data 7 settembre 2007.
    Si sono costituiti in giudizio la Provincia di Reggio Emilia e il Comune di Reggio Emilia, resistendo al gravame.
    Con atto di "motivi aggiunti" depositato il 18 marzo 2011 i ricorrenti hanno successivamente impugnato la comunicazione di avvio del procedimento del Comune di Reggio Emilia in data 14 agosto 2006, la comunicazione del Comune di Reggio Emilia in data 11 luglio 2006 e l'ingiunzione della Provincia di Reggio Emilia in data 7 aprile 2006. Lamentano ancora che si sia vietata la prosecuzione dell'attività, nonostante la pendenza della richiesta di regolarizzazione edilizio/urbanistica da loro presentata; denunciano la contraddittorietà con le determinazioni favorevoli degli anni precedenti; censurano l'indebita sostituzione della Provincia nell'esercizio di una competenza che, per riguardare semmai l'Amministrazione comunale per gli aspetti relativi alle irregolarità edilizie, non avrebbe potuto comunque comportare la preclusione all'ulteriore svolgimento dell'attività industriale.
    All'udienza del 23 novembre 2011, ascoltati i rappresentanti delle parti, la causa è passata in decisione.
    Osserva il Collegio che una prima questione è legata alla circostanza che, al momento dell'adozione del provvedimento con cui è stato ingiunto il divieto di prosecuzione dell'attività di "recupero rifiuti", fosse ancora pendente l'esame della richiesta di convenzione urbanistica presentata al Comune di Reggio Emilia per la regolarizzazione urbanistico-edilizia dell'impianto. Si lamenta pertanto il prematuro intervento dell'Amministrazione provinciale.
    La censura è infondata.
    Va premesso che, come la giurisprudenza ha avuto modo di rilevare (v. TAR Campania, Napoli, Sez. I, 3 luglio 2009 n. 3709), l'inibitoria della prosecuzione dell'attività di "recupero rifiuti", ai sensi dell'art. 216, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006, può intervenire non solo nel caso di inosservanza delle norme tecniche sulle quantità e i tipi di rifiuti trattati, ma anche nell'ipotesi di contrasto di detta attività con le norme in materia di tutela dell'ambiente e della salute dell'uomo, onde la compatibilità urbanistica dell'impianto non può non costituire presupposto per il legittimo esercizio della corrispondente attività. Nella circostanza, in particolare, l'impianto risultava ubicato in area agricola e l'Amministrazione comunale aveva per questo contestato l'irregolarità dell'insediamento, pur evidenziando la possibilità di rilascio, a titolo precario, di un'autorizzazione convenzionata allo svolgimento dell'attività, nel rispetto di date condizioni e cautele, da salvaguardare attraverso la presentazione di un apposito progetto e l'assunzione di puntuali impegni, ai sensi dell'art. 87 delle n.t.a. del piano regolatore comunale. Proprio però la circostanza che l'acquisizione della conformità urbanistica richiedesse la concessione di un titolo abilitativo in deroga e la verifica di delicati profili di rilievo ambientale imponeva all'Amministrazione provinciale di prendere atto della risalente situazione di illegalità dell'impianto e di vietare quindi l'ulteriore esercizio di un'attività che sarebbe potuta comunque riprendere dopo l'eventuale esito positivo delle valutazioni di competenza dell'Amministrazione comunale; è evidente, infatti, che la facoltà di adeguare l'attività alla normativa di settore, consentita al privato prima dell'inibitoria (v. art. 216, comma 4, d.lgs. n. 152/2006), implica che si tratti di irregolarità sanabili con il solo intervento dell'interessato o quanto meno con l'adozione di atti amministrativi vincolati, mentre ne restano esclusi i casi legati ad accertamenti discrezionali (di altre Amministrazioni) nell'an e nel quid, per i quali l'Amministrazione provinciale risulta impossibilitata a fissare termini e prescrizioni puntuali.
    Quanto, poi, alla censurata inclusione, nella portata inibitoria degli atti impugnati, di un alloggio del tutto estraneo all'impianto, e quindi all'indebito rilievo assegnato a profili di carattere edilizio in realtà ininfluenti sull'attività di "recupero rifiuti", osserva il Collegio che le determinazioni censurate assumono esclusivamente a riferimento l'attività industriale e di questa sola ingiungono la cessazione. Il che trova conferma nella circostanza che l'intervento relativo alla trasformazione in abitazione della parte ex agricola dell'edificio di via ...omissis... risulta interessato da un'autonoma procedura di sanatoria, come si rileva dalla sopraggiunta nota comunale del 27 gennaio 2007, esibita dagli stessi ricorrenti.
    Quanto, ancora, alla denunciata carenza dell'interesse pubblico all'inibitoria di un'attività in passato più volte assentita, è sufficiente evidenziare come la misura censurata costituisca in realtà un atto dovuto, che si impone alla competente Autorità amministrativa per il solo fatto dell'inosservanza delle regole di settore. E' legittimo ritenere che nella materia l'interesse pubblico sia consacrato nella norma attributiva del potere, e quindi sottratto ad un apprezzamento da effettuare di volta in volta, a fronte delle prevalenti esigenze di tutela dei valori, anche ambientali, che vengono in rilievo in tale ambito di esercizio delle attività umane.
    Le restanti censure investono atti già impugnati con il ricorso introduttivo della lite (nota del Comune di Reggio Emilia in data 11 luglio 2006) o già conosciuti dai ricorrenti al momento della instaurazione della controversia (nota della Provincia di Reggio Emilia in data 7 aprile 2006, depositata dagli stessi ricorrenti il 7 settembre 2007 al doc. n. 7) o insuscettibili di impugnativa perché privi di diretta lesività (atto di comunicazione di avvio del procedimento di repressione di abuso edilizio, emanato in data 14 agosto 2006 dal Comune di Reggio Emilia); inoltre, le nuove censure formulate (divieto della prosecuzione dell'attività nonostante la pendenza della richiesta di regolarizzazione edilizio/urbanistica, contraddittorietà con le determinazioni favorevoli degli anni precedenti, indebito esercizio da parte della Provincia della competenza comunale in tema di abusi edilizi) non evidenziano la sussistenza della condizione necessaria per la proposizione di "motivi aggiunti" ai fini della deduzione di ulteriori vizi di legittimità degli atti già impugnati, condizione da identificare nell'ignoranza dei vizi stessi al momento della proposizione del ricorso introduttivo, non imputabile al deducente e riconducibile a comportamenti delle controparti, come il deposito di nuovi atti in corso di causa oppure l'emersione aliunde di fatti o di circostanze nuove e significative, in precedenza non conosciuti. Di qui l'inammissibilità delle relative doglianze.
    In conclusione, il ricorso va in parte respinto e in parte dichiarato inammissibile.
    Le spese di lite seguono la soccombenza dei ricorrenti e vengono liquidate come da dispositivo.
    P. Q. M.
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia-Romagna, Sezione di Parma, pronunciando sul ricorso in epigrafe, così provvede:
    - lo respinge, relativamente alle censure formulate con l'atto introduttivo della lite;
    - lo dichiara inammissibile, relativamente alle censure formulate con l'atto di "motivi aggiunti".
    Condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese di lite, nella misura complessiva di euro 2.000,00 (duemila/00) - oltre agli accessori di legge -, in favore della Provincia di Reggio Emilia, e nella misura complessiva di euro 2.000,00 (duemila/00) - oltre agli accessori di legge -, in favore del Comune di Reggio Emilia.
    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.
    Così deciso in Parma, nella Camera di Consiglio del 23 novembre 2011, con l'intervento dei magistrati:
     
    IL PRESIDENTE
    Mario Arosio
    L'ESTENSORE
    Italo Caso
    IL PRIMO REFERENDARIO
    Emanuela Loria
     
    Depositata in Segreteria il 10 gennaio 2012
    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
     

    Acquisto in via di prelazione di beni d'interesse storico-artistico

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    N. 1605/2011 Reg. Prov. Coll.
    N. 2025 Reg. Ric.
    ANNO 2010
    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Terza ha pronunciato la presente
    SENTENZA
    sul ricorso numero di registro generale 2025 del 2010, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
    G. G., rappresentato e difeso dagli avv. Pier Luigi Portaluri, Giusi Margiotta, con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Portaluri in Lecce, via Imbriani 24;
    contro
    Comune di San Cesario di Lecce, rappresentato e difeso dall'avv. Angelo Vantaggiato, con domicilio eletto presso il suo studio in Lecce, via Zanardelli 7;
    Ministero per i Beni e le Attività Culturali, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale Stato, domiciliata per legge in Lecce, via F. Rubichi 23;
    per l'annullamento
    - della deliberazione del Consiglio comunale di San Cesario di Lecce 7 ottobre 2010, n. 68 (conosciuta il 14 ottobre 2010);
    - della nota del Sindaco del Comune di San Cesario prot. n. 7227 del 25 agosto 2010;
    - della determinazione del Responsabile del 1^ Settore - 3^ Servizio (Contabilità, Finanza, Patrimonio) del Comune di San Cesario di Lecce Reg. gen. n. 520 del 5 ottobre 2010;
    - della determinazione del Responsabile del 1^ Settore - 3^ Servizio (Contabilità, Finanza, Patrimonio) del Comune di San Cesario di Lecce Reg. gen. n. 524 del 7 ottobre 2010;
    - della raccomandata a.r. del Comune di San Cesario prot. n. 9565 del 10 novembre 2010;
    - della raccomandata a.r. prot. n. 8645 del 7 ottobre 2010;
    - della nota del Ministero per i Beni e le Attività culturali - Soprintendenza per i Beni architettonici e paesaggistici per le Province di Lecce, Brindisi e Taranto - Servizio vincoli MBCAC-SBAP-LE prot. 0012200 del 18 agosto 2010 Cl. 34.25.04/30;
    - della nota del Ministero per i Beni e le Attività culturali - Direzione regionale per i Beni culturali e paesaggistici della Puglia prot. n. 8192 Cl 34.25.04/87.1 del 31 agosto 2010;
    - della nota del Ministero per i Beni e le Attività culturali - Direzione regionale per iBeni culturali e paesaggistici della Puglia prot. n. 8193 Cl 34.25.04/87.1. del 31 agosto 2010;
    - di ogni altro atto ad essa presupposto, consequenziale o comunque connesso, ancorché non conosciuto, in quanto lesivo (ivi compresi, ove occorra, il Decreto del 6 luglio 2005, il Ministero per i Beni e le Attività culturali - Direzione regionale per i Beni culturali e paesaggistici della Puglia; la deliberazione della Giunta comunale di San Cesario 6 dicembre 2003, n. 228; la deliberazione della Giunta comunale di San Cesario 4 maggio 2010, n. 81; la nota del Revisore unico dei Conti del Comune di San Cesario dell'11 giugno 2010, prot. n. 5374; la nota del Comune di San Cesario dell'11 giugno 2010, prot. n. 5378; la D.G.c. del Comune di San Cesario 30 giugno 2010, n. 41; la D.G.c. del Comune di San Cesario 30 giugno 2010, n. 42; la deliberazione della Giunta comunale di San Cesario 30 giugno 2010, n. 43;);
    nonché come da motivi aggiunti per l'annullamento di:
    - memoria difensiva ex adverso depositata in giudizio il 24 gennaio 2011;
    - deliberazione Giunta Comunale del Comune di San Cesario di Lecce 43/2007;
    - relazione tecnico-descrittiva del 24 gennaio 2011 e relative tavole di progetto;
    - deliberazione Giunta Comunale 177/2007 e di tutti gli atti in essa richiamati.
    nonché per la condanna dell'A.c. di San Cesario di Lecce al risarcimento dei danni subiti dal ricorrente per effetto dell'illegittimo rallentamento dello svolgimento dei lavori di restauro e di manutenzione dell'immobile e dell'immissione nel possesso dell'immobile da parte dello stesso che saranno quantificati in corso di causa.
    Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
    Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di San Cesario di Lecce e del Ministero per i Beni e le Attività Culturali;
    Viste le memorie difensive;
    Visti tutti gli atti della causa;
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 maggio 2011 il dott. Luca De Gennaro e uditi gli avv.ti Portaluri e Margiotta per il ricorrente, l'avv. Vantaggiato per il Comune e, nelle preliminari, l'avv. dello Stato Tarentini;
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
    FATTO e DIRITTO
    1. - Con atto di compravendita del 2 agosto 2010 il sig. G. ha acquistato un appartamento sito nel Comune di San Cesario di Lecce posto al primo piano; l'appartamento è collocato in un edificio dichiarato con decreto del 6 luglio 2005 del Ministero per i Beni e le Attività culturali "bene di interesse particolarmente importante" ai sensi dell'art. 10, comma 3, D.lgs. 42/2004.
    L'intero complesso, che era occupato sin dai primi del '900 dalla "...omissis...", è composto di due piani: al piano terra si è svolta fino al 1999 l'attività di produzione e distillazione o attività collaterali, il primo piano era stato invece destinato a fini residenzali.
    Il Comune, nell'ambito del proprio indirizzo politico-amministrativo, aveva già individuato nella Distilleria D. - di cui nel 2003 aveva acquisito gli arredamenti e i beni mobili di pertinenza - la possibile sede di un museo ("Museo civico Archeo-industriale") volto a tutelare e promuovere il patrimonio culturale ed economico locale.
    Nel marzo 2007 la Giunta comunale ha formulato un atto di indirizzo (delibera 43/2007) per la redazione di un progetto preliminare per l'istituzione di un Museo dell'alcool e la realizzazione dello stesso "presso l'immobile originariamente destinato a Distilleria D.", unitariamente considerato.
    Ricevuta la notizia della compravendita, con determinazione del 7 ottobre 2010 il Comune di San Cesario ha dunque esercitato il diritto di prelazione previsto dal D.lgs 42/2004 relativamente alla parte di immobile oggetto di trasferimento.
    1.1 - Avverso il suddetto provvedimento e gli atti connessi indicati in epigrafe il sig. G. svolge le seguenti doglianze:
    - violazione art. 97 Costituzione, violazione dell'art. 7 L. 241/1990, eccesso di potere per carenza di istruttoria, erronea presupposizione;
    - violazione dell'art. 62 D.lgs. 42/2004, eccesso di potere per contraddittorietà e perplessità dell'azione amministrativa, erronea presupposizione, contraddittorietà;
    - violazione dell'art. 62 D.lgs. 42/2004, violazione art. 191 TUEL e del regolamento di contabilità, perplessità, violazione art. 8 dello Statuto comunale e dell'art. 20 del regolamento sul procedimento amministrativo. Nullità delle determine dirigenziali nn. 520 e 524 del 2010 per incompetenza assoluta. Perplessità e contraddittorietà dell'azione amministrativa;
    - violazione dell'art. 62 D.lgs 42/2004 e dell'art. 3 L. 241/1990. Eccesso di potere per difetto di motivazione. Contraddittorietà interna ed esterna. Violazione del principio di proporzionalità. Erronea presupposizione. Ingiustizia manifesta.
    1.2 - Con motivi aggiunti, notificati il 28 marzo 2011, il sig. G. contesta la produzione documentale del Comune e in particolare la memoria difensiva e l'allegata relazione tecnico-descrittiva, nell'ipotesi tuzioristica che possano giustificare l'operato del Comune, deducendo i seguenti motivi:
    - violazione art. 97 Cost., violazione art. 7 L. 241/1990, eccesso di potere per carenza di istruttoria, erronea presupposizione;
    - violazione art. 62 D.lgs 42/2004, eccesso per contraddittorietà e perplessità dell'azione amministrativa, erronea presupposizione, contraddittorietà;
    - violazione art. 62 D.lgs 42/2004, violazione art. 191 TUEL e del regolamento comunale di contabilità, perplessità, violazione e falsa applicazione dell'art. 8 dello Statuto comunale e dell'art. 20 del regolamento sul procedimento amministrativo. Nullità delle determine dirigenziali nn. 520 e 524 del 2010 per incompetenza assoluta. Perplessità e contraddittorietà dell'azione amministrativa;
    - violazione dell'art. 62 D.lgs 42/2004 e dell'art. 3 L. 241/1990. Eccesso di potere per difetto di motivazione. Contraddittorietà interna ed esterna. Violazione del principio di proporzionalità.
    2. - Si sono costituiti il Comune e il Ministero chiedendo la reiezione del ricorso.
    All'udienza del 19 maggio 2011 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
    3. - Il ricorso non merita accoglimento.
    3.1 - Con il primo motivo di gravame il sig. G. si duole dell'omissione della comunicazione di avvio del procedimento.
    Il motivo è infondato.
    Si osserva preliminarmente che in tema di prelazione sulle alienazioni di beni di interesse storico-artistico, il procedimento relativo scaturisce da una serie di atti di iniziativa privata, quali il trasferimento negoziale del bene e la successiva denuncia all'amministrazione.
    Trattandosi dunque di procedimento che prende impulso dai privati interessati, un'ulteriore fase partecipativa degli stessi soggetti autori dell'atto negoziale su cui si innesta il diritto di prelazione non ha carattere indefettibile, essendo poi rimessa all'esclusiva valutazione tecnico-discrezionale dell'amministrazione la consistenza e l'importanza dell'interesse generale in base al quale si esercita la prelazione medesima (cfr. in termini Consiglio Stato n. 4019/2005)
    Nel caso di specie la comunicazione di avvio non era dunque necessaria per l'introduzione di un contraddittorio procedimentale, di fatto già realizzato, essendo il ricorrente ben a conoscenza della pendenza del relativo procedimento, per avervi dato causa con la denuntiatio.
    L'inosservanza in ordine all'obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento non costituisce dunque un vizio invalidante, in quanto in applicazione della regola conservativa sancita dall'art. 21 octies, comma 2, L. 241/1990 ("il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato"), l'atto impugnato non è annullabile in omaggio alla ratio della disposizione normativa richiamata, volta a far prevalere gli aspetti sostanziali su quelli formali nelle ipotesi in cui il rispetto delle garanzie procedimentali non produrrebbe secondo una ragionevole prognosi alcun effetto utile.
    3.2 - Con il secondo motivo si deduce la tardività della prelazione che sarebbe intervenuta oltre il termine perentorio fissato per legge.
    La censura è infondata.
    Si osserva innanzitutto l'irrilevanza ai fini del giudizio del superamento del termine di cui all'art. 62, secondo comma, D.lgs. 42/2004 secondo cui gli enti locali, entro venti giorni dalla denuncia, formulano al Ministero una proposta di prelazione.
    Invero, tale termine, in mancanza di un'espressa comminatoria, non deve considerarsi di natura perentoria ma possiede - a differenza del termine di sessanta giorni di cui agli artt. art. 61 e 62 - un valenza puramente interna.
    Non risulta poi superato il richiamato termine di sessanta giorni stabilito a pena di decadenza.
    Non può infatti essere condivisa la tesi del ricorrente secondo cui facendo leva sul tenore letterale dell'art. 62, terzo comma, D.lgs 42/2004 il termine di sessanta giorni decorrerebbe dalla formulazione della denuncia e non dalla data della sua ricezione.
    Nella prospettiva contenuta nel ricorso, siccome la denuncia ex art. 59 D.lgs 42/2004 è datata 5 agosto 2010 e la spedizione è avvenuta il 6 agosto il procedimento comunale per l'esercizio del diritto di prelazione si sarebbe dovuto concludere il 4 ottobre o, in alternativa il 5 ottobre 2010, a prescindere dalla data di effettiva ricezione da parte dell'Amministrazione della notizia del negozio di trasferimento (avvenuta il 9 agosto 2010, cfr. avviso di ricevimento allegato).
    E' infatti doveroso osservare che:
    - la denuncia è un atto intrinsecamente recettizio che produce efficacia al momento della ricezione del destinatario;
    - la decadenza dall'esercizio di un potere, per una regola basilare dell'ordinamento ("contra non valentem agere non currit praescriptio"), non può che decorrere dalla possibilità di esercitarlo, essendo evidente che, fino alla ricezione della notizia del trasferimento, l'Amministrazione non è in condizione di assumere alcuna determinazione;
    - una lettura organica delle disposizioni normative chiarisce l'intenzione del legislatore di lasciare decorrere il termine dalla ricezione della denuntiatio e non dalla pura e semplice formulazione della stessa; infatti la norma generale per l'esercizio diretto della prelazione da parte dello Stato (ex art. 61, mentre l'art. 62 riguarda l'esercizio indiretto ad opera delle Regioni e degli enti locali) prevede espressamente che "la prelazione è esercitata nel termine di sessanta giorni dalla data di ricezione della denuncia prevista dall'articolo 59".
    Se ne ricava che l'esercizio della prelazione è avvenuto tempestivamente, decorrendo il relativo termine dal giorno di ricezione della denuncia di trasferimento.
    Non ha inoltre pregio la contestazione secondo cui il procedimento si sarebbe concluso solo al momento in cui il Comune ha effettivamente reperito i mezzi finanziari per l'acquisto dell'immobile.
    La prelazione si perfeziona infatti con la notifica dell'atto con cui l'Amministrazione esercita la relativa facoltà, nella specie la citata delibera consiliare n. 68/2010, rimanendo influente, ai fini della valutazione di tempestività dell'atto, lo svolgimento del successivo procedimento di spesa, realizzato successivamente dai dirigenti comunali preposti attraverso la stipula di un mutuo con la Cassa Depositi e Prestiti.
    Parimenti non può essere condivisa la tesi secondo cui il primo piano destinato a residenza - e oggetto della prelazione contestata - sia estraneo al progetto museale, che costituisce il principale movente pubblico all'acquisto in prelazione dell'immobile; secondo il ricorrente il progetto dovrebbe invece limitarsi al piano terra, dove effettivamente veniva svolta la produzione di alcool.
    Non vi sono infatti ragioni per ritenere che la parte destinata a residenza, dove viveva il proprietario, debba ritenersi estranea al valore storico-culturale che il Comune intende preservare.
    In argomento è decisiva la considerazione che, in sede di imposizione del vincolo, unitariamente apposto sull'intero compendio immobiliare composto da piano terra e primo piano, il Ministero ha considerato l'intero edificio indipendentemente dalla destinazione delle singole componenti.
    L'intero complesso della distilleria è stato evidentemente ritenuto un'unica entità edilizia sia sul piano strutturale che sul piano funzionale; in particolare il fatto che il primo piano fosse adibito a residenza, non costituisce evidentemente una semplice casualità ma è il portato di una determinata condizione storico-culturale in cui la dimensione lavorativa e industriale era strettamente connessa a quella privata.
    Risulta pertanto esente da censure la valutazione comunale che ha ritenuto che la valorizzazione dell'immobile dovesse abbracciare tutte le sue componenti, quale testimonianza di un modello produttivo che combinava insieme aspetti residenziali e produttivi, e che merita di essere salvaguardato con la creazione del progetto museale in questione.
    Non è censurabile dunque l'operato dell'Amministrazione nella parte in cui ha coinvolto anche la parte residenziale dell'edificio, una volta che ne è stata possibile l'acquisizione, nella realizzazione del citato Museo.
    4. - Con il terzo motivo si lamenta che l'intervento di acquisizione non sarebbe avvenuto secondo i principi di regolarità contabile.
    La censura è infondata.
    I fondi per l'acquisto dell'immobile sono già stati contemplati nel bilancio di previsione relativo all'esercizio finanziario 2010, cap. 1612 destinato espressamente all'acquisizione della "Distilleria D.".
    Il bilancio di previsione ha recepito infatti il programma triennale dei lavori pubblici 2010-2012 e piano annuale 2010 (delibera CC 43/2010), che prevede espressamente l'acquisto e il restauro dell'ex Distilleria D., da identificarsi per le ragioni già esposte nell'intero complesso immobiliare, senza esclusioni di sue componenti.
    Quanto al necessario visto del responsabile del servizio finanziario si rileva che non solo la delibera 68/2010 riporta l'attestazione di copertura finanziaria richiesta ai sensi dell'art. 151 TUEL ma anche che l'importo di spesa (103.000 euro), pur non specificato nel suddetto visto, è comunque determinato precisamente sia nella stessa delibera 68/2010 che nella determinazione dirigenziale n. 524 di impegno di spesa assunta in pari data, ovvero il 7 ottobre 2010.
    5. - Con il quarto motivo si lamenta che la delibera di esercizio della prelazione non conterrebbe le finalità di valorizzazione culturale del bene acquisito.
    Il motivo è destituito di fondamento.
    La delibera consiliare 68/2010 enuncia in maniera chiara, seppur concisa, l'interesse pubblico sotteso all'acquisto dell'immobile.
    Viene infatti dato conto che:
    - il Comune di San Cesario di Lecce ha già da tempo avviato un programma di valorizzazione dell'economia locale anche in una prospettiva storico-culturale;
    - la Distilleria D. è un esempio dell'attività di distillazione svolta nel Comune, in un opificio dotato di "monumentali strutture architettoniche a testimonianza della memoria e dell'identità cittadina";
    - gli arredamenti e le attrezzature della Distilleria sono già state acquisiti a fini conservativi;
    - si ha in progetto la realizzazione di un Museo Civico "Archeo-industriale".
    Un tale iter argomentativo è sufficiente a evidenziare le finalità di valorizzazione dell'opificio volte appunto a insediare nell'immobile un museo che preservi una determinata memoria culturale e produttiva.
    6. - Il ricorso principale è dunque infondato.
    Per le stesse ragioni sono infondati i motivi aggiunti, che oltre a replicare le doglianze del ricorso principale, erano volti a contestare, per asserzione dello stesso ricorrente, i documenti e le memorie prodotte, nell'ipotesi in cui dovessero considerarsi giustificativi dell'operato comunale, che come illustrato in motivazione risulta già esente da censure.
    6.1 - In conclusione, il ricorso integrato dai motivi aggiunti deve essere respinto.
    In ragione del principio di soccombenza le spese di giudizio del Comune sono poste a carico del ricorrente.
    Sussistono giusti motivi per compensare le spese di giudizio tra il ricorrente e il Ministero.
    P. Q. M.
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Terza definitivamente pronunciando respinge il ricorso, come in epigrafe proposto.
    Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio in favore del Comune di San Cesario di Lecce, liquidate in euro 2.500, oltre IVA e CPA.
    Compensa le spese tra il ricorrente e il Ministero.
    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
    Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 19 maggio 2011 con l'intervento dei magistrati:
     
    IL PRESIDENTE
    Rosaria Trizzino
    L'ESTENSORE
    Luca De Gennaro
    IL CONSIGLIERE
    Ettore Manca
     
    Depositata in Segreteria il 14 settembre 2011
     

    Niente V.I.A. in sordina!

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    N. 1205/2011 Reg. Prov. Coll.
    N. 1835 Reg. Ric.
    ANNO 2010
    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Prima) ha pronunciato la presente
    SENTENZA
    sul ricorso numero di registro generale 1835 del 2010, integrato da motivi aggiunti, proposto da A. s.r.l., rappresentata e difesa dall'avv. Gianluigi Pellegrino, con domicilio eletto presso l'avv. Maurizio Di Cagno in Bari, via Nicolai, 43;
    contro
    Regione Puglia, rappresentata e difesa dall'avv. Maria Liberti, con domicilio eletto in Bari, lungomare Nazario Sauro, 31;
    per l'annullamento
    - della determinazione n. 303 del 6 luglio 2010 della Regione Puglia, con cui si è disposto di assoggettare alla procedura di valutazione di impatto ambientale il progetto relativo all'impianto eolico da realizzare nei Comuni di Castelluccio dei Sauri e Bovino, proposto con istanza del 4 aprile 2007;
    - del provvedimento n. 14335 del 6 ottobre 2010, con cui la Regione Puglia, con riferimento al medesimo procedimento volto al rilascio dell'autorizzazione unica per la realizzazione dell'impianto eolico, ha disposto l'archiviazione della pratica;
    - del provvedimento n. E/188/2007 del 9 marzo 2011, con cui la Regione Puglia ha confermato l'archiviazione della pratica per il rilascio dell'autorizzazione unica;
    Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Puglia;
    Viste le memorie difensive;
    Visti tutti gli atti della causa;
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 luglio 2011 il dott. Savio Picone e uditi per le parti i difensori avv.ti Valeria Pellegrino (per delega di Gianluigi Pellegrino) e Maria Liberti;
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
    FATTO
    1. La ricorrente A. s.r.l. ha richiesto alla Regione Puglia, in data 4 aprile 2007, l'autorizzazione per la costruzione ed esercizio di un impianto eolico nei Comuni di Castelluccio dei Sauri e Bovino.
    Con sentenza n. 1734 del 3 aprile 2009, il TAR Campania - Napoli, Settima Sezione, ha accolto il ricorso proposto dalla A. s.r.l. avverso il silenzio-inadempimento ed ha ordinato alla Regione Puglia di pronunciarsi, nel termine di sessanta giorni, sulla domanda di autorizzazione.
    Dopo uno scambio di corrispondenza tra gli uffici regionali e la società, sono stati adottati i provvedimenti indicati in epigrafe, impugnati con il ricorso originario (notificato il 15 novembre 2010), e cioè:
    a) la determinazione n. 303 del 6 luglio 2010, mediante la quale la Regione Puglia ha stabilito di assoggettare il progetto a valutazione di impatto ambientale;
    b) il provvedimento n. 14335 del 6 ottobre 2010, con cui la Regione Puglia ha disposto l'archiviazione del procedimento di rilascio dell'autorizzazione unica, in quanto la società richiedente non ha prodotto entro il termine assegnato il piano economico-finanziario asseverato da un istituto bancario, ai sensi dell'art. 4 della legge regionale n. 31 del 2008.
    2. Avverso il primo provvedimento, di screening ambientale, la ricorrente deduce violazione del d.lgs. n. 387 del 2003, violazione dell'art. 10-bis della legge n. 241 del 1990, violazione dell'art. 16 della legge regionale n. 11 del 2001 ed illogicità manifesta: afferma, in sintesi, che la Regione avrebbe ignorato il già perfezionato silenzio-assenso sull'esclusione dalla v.i.a. (per decorso del termine di sessanta giorni previsto dalla legge regionale), avrebbe omesso di inviare il preavviso di rigetto ed avrebbe, in ogni caso, erroneamente apprezzato l'impatto ambientale dell'intervento sulle risorse idrogeologiche e paesaggistiche e sugli insediamenti antropici esistenti.
    3. Avverso il secondo provvedimento, di definitiva archiviazione del procedimento per il rilascio dell'autorizzazione unica, deduce violazione dell'art. 10-bis della legge n. 241 del 1990, violazione del d. lgs. n. 387 del 2003, violazione della legge regionale n. 31 del 2008, violazione della legge regionale n. 11 del 2001 ed eccesso di potere per irrazionalità manifesta: afferma, in sintesi, che la Regione avrebbe dovuto preavvisare dell'intenzione di denegare l'autorizzazione, che in ogni caso la previsione dell'art. 4 della legge regionale n. 31 del 2008 (sulla necessità di produrre il piano economico-finanziario asseverato da un istituto bancario) non opererebbe retroattivamente sui progetti già presentati, che il ritardo nella consegna del piano economico-finanziario sarebbe giustificato dalla mancata indicazione da parte di Terna s.p.a. del punto di allaccio alla rete, non imputabile ad inerzia o negligenza dell'impresa richiedente l'autorizzazione, e che, pertanto, la decisione di archiviare l'istanza sarebbe ingiusta e sproporzionata.
    4. Si è costituita la Regione Puglia, depositando documenti e chiedendo il rigetto dell'impugnativa.
    L'istanza cautelare è stata parzialmente accolta da questa Sezione, con ordinanza n. 958 del 16 dicembre 2010, che ha sospeso il solo provvedimento di archiviazione, ravvisando violazione dell'art. 10-bis della legge n. 241 del 1990. La decisione è stata riformata in appello dalla Quinta Sezione del Consiglio di Stato, che con ordinanza n. 131 del 19 gennaio 2011 ha sospeso anche gli effetti del provvedimento di screening ambientale.
    5. La Regione, in ottemperanza alla sospensiva, ha riaperto il procedimento e, con nota del 7 febbraio 2011, ha invitato la società ricorrente ad inviare osservazioni. Quindi, con provvedimento n. E/188/2007 del 9 marzo 2011, ha nuovamente disposto l'archiviazione della pratica per il rilascio dell'autorizzazione unica, a causa della mancata produzione del piano economico-finanziario asseverato da un istituto bancario.
    6. Con i motivi aggiunti (notificati il 25 maggio 2011), la ricorrente impugna tale ultimo atto, deducendo ancora una volta violazione dell'art. 10-bis della legge n. 241 del 1990, difetto di motivazione, elusione del giudicato cautelare ed eccesso di potere per irrazionalità manifesta: afferma che la Regione, anziché concludere immotivatamente per la seconda volta il procedimento, avrebbe dovuto concederle un termine ragionevole per ottenere da Terna s.p.a. l'indicazione del punto di allaccio alla rete, che a sua volta costituisce il presupposto indefettibile per la redazione del piano di investimento e per la richiesta dell'asseverazione bancaria.
    La difesa della Regione Puglia ha replicato ai motivi aggiunti, chiedendone il rigetto.
    Alla pubblica udienza del 6 luglio 2011, le parti hanno dichiarato di rinunciare ai termini a difesa sui motivi aggiunti e la causa è passata in decisione.
    DIRITTO
    1. E' parzialmente improcedibile il ricorso originario, in relazione al provvedimento di archiviazione n. 14335 del 6 ottobre 2010, in quanto la Regione Puglia, a seguito dell'accoglimento da parte di questo Tribunale dell'istanza di sospensiva, ha riaperto il procedimento ed ha adottato un nuovo atto, di tenore identico, che ha sostituito nel contenuto e negli effetti l'archiviazione impugnata inizialmente dalla società ricorrente.
    2. Quanto alla determinazione n. 303 del 6 luglio 2010, il ricorso è infondato e va respinto.
    2.1. La Regione Puglia ha deciso di assoggettare a valutazione di impatto ambientale il progetto presentato dalla A. s.r.l. per la realizzazione di un impianto eolico nei Comuni di Castelluccio dei Sauri e Bovino.
    In primo luogo va constatato che è vero che, nella parte motiva del provvedimento impugnato, si fa espresso richiamo al regolamento regionale n. 16 del 2006, contenente la disciplina sullo svolgimento della valutazione di impatto ambientale per la realizzazione di impianti eolici, che è stato interamente caducato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 344 del 26 novembre 2010 (resa nel giudizio di legittimità costituzionale promosso da questa Sezione, con ordinanza n. 148 del 9 settembre 2009, riguardante l'art. 3, comma 16, della legge regionale n. 40 del 2007 che aveva, per così dire, legificato il regolamento regionale n. 16 del 2006, prevedendo che "la realizzazione dei parchi eolici è disciplinata dalle direttive di cui al regolamento 4 ottobre 2006, n. 16").
    Tuttavia, nella concreta fattispecie, la Regione Puglia ha svolto un'istruttoria puntuale sulle caratteristiche del progetto e sulla sua compatibilità con le esigenze di tutela del sito, onde pervenire alla decisione sullo screening ambientale. Ne discende l'irrilevanza della sopravvenuta incostituzionalità delle norme regolamentari regionali, delle quali non è stata fatta applicazione automatica e vincolata (nello stesso senso, su fattispecie analoga: TAR Puglia, Bari, sez. I, 18 novembre 2010 n. 3915).
    Nel merito, il provvedimento impugnato non viola le direttive comunitarie e le normativa interna in materia di valutazione d'impatto ambientale e non è affetto da carenza di istruttoria e di motivazione, come viceversa sostenuto dalla ricorrente.
    La Regione ha ritenuto che l'opera proposta necessiti di essere sottoposta a v.i.a., in quanto:
    - il sito, un altopiano di quota media di circa 300 metri sul livello del mare, è inserito nel contesto del Subappennino Dauno, territorio di pregio paesaggistico;
    - la relazione di screening risulta carente delle check-list floro-faunistiche e, comunque, evidenzia che il corso d'acqua del Cervaro (distante circa 1 Km dall'impianto) rappresenta la dominante ambientale che caratterizza l'area e definisce uno dei più importanti corridoi ecologici di collegamento tra le aree umide costiere e la aree lacustri dell'entroterra, popolate da un gran numero di specie di uccelli acquatici;
    - lo studio di impatto acustico risulta insufficiente;
    - lo studio sulla gittata massima degli elementi rotanti, in caso di rottura, non risulta sufficiente;
    - l'elettrodotto di connessione attraverserà un'area classificata R2 dal vigente piano di assetto idrogeologico;
    - alcune torri sono poste a modesta distanza dal reticolo fluviale e dal canale ...omissis....
    La giurisprudenza ha ripetutamente chiarito che, nel rendere il giudizio di valutazione di impatto ambientale, ed a maggior ragione nell'effettuare la verifica preliminare, l'Amministrazione esercita un'amplissima discrezionalità tecnica, censurabile solo in presenza di macroscopici vizi logici o di travisamento dei presupposti (cfr. Trib. Sup. acque pubbliche, 11 marzo 2009, n. 35; Cons. Stato, sez. VI, 19 febbraio 2008 n. 561; Id., sez. IV, 5 luglio 2010 n. 4246).
    Ed in ogni caso, la valutazione d'impatto ambientale non costituisce un mero giudizio tecnico, suscettibile in quanto tale di verificazione sulla base di oggettivi criteri di misurazione, ma presenta al contempo profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa, sul piano dell'apprezzamento degli interessi pubblici in rilievo e della loro ponderazione rispetto all'interesse all'esecuzione dell'opera, apprezzamento che è sindacabile dal giudice amministrativo soltanto in ipotesi di manifesta illogicità o travisamento dei fatti, nel caso in cui l'istruttoria sia mancata, o sia stata svolta in modo inadeguato, e sia perciò evidente lo sconfinamento del potere discrezionale riconosciuto all'Amministrazione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 22 giugno 2009 n. 4206; Id., sez. V, 21 novembre 2007 n. 5910; Id., sez. VI, 17 maggio 2006 n. 2851; Id., sez. IV, 22 luglio 2005 n. 3917; cfr. da ultimo TAR Puglia, Bari, sez. I, 14 maggio 2010 n. 1897).
    Nella fattispecie, la Regione ha congruamente motivato il proprio giudizio, che peraltro non comporta affatto il definitivo diniego alla realizzazione degli impianti, ma si limita a disporre lo svolgimento della procedura di valutazione di impatto ambientale.
    Per tale parte il ricorso è pertanto infondato e deve essere respinto.
    2.2. Egualmente infondata è la censura con cui le ricorrenti deducono violazione dell'art. 10-bis della legge n. 241 del 1990.
    Non si discute, beninteso, circa la natura lato sensu provvedimentale dell'atto conclusivo del sub-procedimento di screening (in questo senso Cons. Stato, sez. IV, 3 marzo 2009 n. 1213, che sul piano processuale, condivisibilmente, ne afferma l'immediata impugnabilità).
    Vi è che il preavviso di rigetto non è obbligatorio nell'ambito della procedura di verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale. Detta pronuncia, infatti, non comporta un vero e proprio rigetto dell'iniziativa progettuale, ma solo la necessità di un rinvio della stessa alla procedura ordinaria di v.i.a., ove potrà essere effettuata una più ampia istruttoria in ragione della rilevanza delle questioni sottese (così già TAR Sicilia, Palermo, sez. I, 20 agosto 2007 n. 1959).
    2.3. Infine, deve escludersi che nella fattispecie si fosse formato il silenzio-assenso sull'esonero da valutazione di impatto ambientale, ai sensi dell'art. 16, settimo comma, della legge regionale n. 11 del 2001 (nella formulazione vigente all'epoca della presentazione dell'istanza).
    La formazione di un provvedimento implicito di esclusione della v.i.a., per decorso di un termine breve (sessanta giorni), si verrebbe a porre in contrasto con i principi comunitari che impongono l'esplicitazione delle ragioni di compatibilità ambientale dell'intervento, anche attraverso l'adozione di eventuali prescrizioni correttive, sulla base di un'analisi sintetico-comparativa ex se incompatibile con il modulo tacito di formazione della volontà amministrativa (in questo senso, proprio con riferimento all'art. 16 della legge regionale della Puglia n. 11 del 2001, si veda già: Cons. Stato, sez. V, 25 agosto 2008 n. 4058; TAR Puglia, Bari, sez. III, 24 settembre 2008 n. 2183; Id., sez. III, 7 gennaio 2009 n. 1).
    L'art. 16, settimo comma, della legge regionale n. 11 del 2001, nella versione vigente all'epoca dei fatti di causa, deve pertanto essere in questa sede disapplicato, per contrasto con gli artt. 2, 3, 4, 5 e 6 della Direttiva 85/337/CE in materia di valutazione dell'impatto ambientale dei progetti pubblici e privati. Non vi è necessità di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, in base alla nota teoria dell'atto chiaro, qualora il contenuto della norma comunitaria che si intende applicare si ponga agli occhi dell'interprete con un'evidenza tale da non lasciar spazio ad alcun ragionevole dubbio (cfr., per tutte, Corte Giust. CE, sent. 6 ottobre 1982, in C-283/81, Cilfit).
    Resta perciò escluso che, nella vicenda controversa, si sia formato il silenzio-assenso sulla verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale.
    2.4. Discende da quanto detto l'infondatezza del ricorso avverso la determinazione n. 303 del 6 luglio 2010.
    3. Sono viceversa fondati i motivi aggiunti, con i quali la ricorrente impugna il provvedimento n. E/188/2007 del 9 marzo 2011, recante la conferma dell'archiviazione della pratica per il rilascio dell'autorizzazione unica, a causa della mancata produzione del piano economico-finanziario asseverato da un istituto bancario.
    La decisione, ad avviso del Collegio, è viziata da eccesso di potere per irragionevolezza e sproporzione ed è frutto della violazione degli obblighi di lealtà procedimentale che gravano sull'Amministrazione pubblica.
    La Regione, constatata la perdurante mancanza del piano asseverato, necessario ex lege e rimesso all'iniziativa dell'impresa richiedente, avrebbe dovuto concedere a quest'ultima la proroga finalizzata ad ottenere da Terna s.p.a. l'indicazione del punto di allaccio alla rete, poiché, secondo quanto prospettato dalla stessa impresa, l'ottenimento della soluzione tecnica di connessione costituisce, per prassi degli istituti bancari, il presupposto indefettibile per la redazione del piano di investimento e per la sua asseverazione.
    Non si comprende, in tale situazione, il motivo per il quale la Regione ha ritenuto di concludere definitivamente (ed in modo negativo, con un diniego), nel volgere di poche settimane, il procedimento autorizzatorio pendente da circa quattro anni, nonostante l'espressa richiesta di un ulteriore termine da parte della società istante.
    Il provvedimento n. E/188/2007 del 9 marzo 2011 è pertanto illegittimo e va annullato, con conseguente obbligo della Regione Puglia di riaprire l'istruttoria sul progetto della ricorrente.
    4. In conclusione, per le motivazioni fin qui esposte, il ricorso è in parte improcedibile, in parte respinto ed in parte accolto.
    Le spese di giudizio, attesa la reciproca soccombenza, possono essere compensate.
    P. Q. M.
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo dichiara improcedibile, in parte lo respinge ed in parte lo accoglie, nei sensi di cui in motivazione.
    Spese compensate.
    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
    Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 6 luglio 2011 con l'intervento dei magistrati:
     
    IL PRESIDENTE
    Corrado Allegretta
    L'ESTENSORE
    Savio Picone
    IL CONSIGLIERE
    Giuseppina Adamo
     
    Depositata in Segreteria il 3 agosto 2011
    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
     

    Carattere eccezionale e straordinario del condono edilizio

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    N. 331/2011 Reg. Prov. Coll.
    N. 782 Reg. Ric.
    ANNO 2008
    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Seconda) ha pronunciato la presente
    SENTENZA
    sul ricorso numero di registro generale 782 del 2008, proposto da:
    N. N., rappresentato e difeso dagli avv. Michele Cardone, Matteo Montemitro, con domicilio eletto presso Matteo Montemitro in Torino, via Serrano, 9/A;
    contro
    COMUNE DI SETTIMO TORINESE;
    per l'annullamento
    - dell'Atto di "DINIEGO DEL TITOLO ABILITATIVO IN SANATORIA" (Prot. 13869 Tit. VI cl. 3) della Città di Settimo Torinese - Settore Ambiente e Territorio - Programmazione del Territorio e Attività Edilizie - Ufficio Edilizia Privata, a firma del Dirigente del Servizio - Arch. E. C. e dal Responsabile del Procedimento - Geom. C. G., datato 25.02.2008 e notificato al sig. N. N. in data 20.03.2008 con cui detta Autorità ha comunicato a quest'ultimo il diniego del titolo abilitativo in sanatoria avverso la domanda di condono avanzata dal medesimo;
    nonchè
    per l'annullamento di tutti gli atti presupposti, preordinati, conseguenti o comunque connessi a quello impugnato, con ogni consequenziale statuizione.
    Visti il ricorso e i relativi allegati;
    Viste le memorie difensive;
    Visti tutti gli atti della causa;
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 gennaio 2011 il dott. Antonino Masaracchia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
    FATTO
    1. Il sig. N. ha presentato istanza, al Comune di Settimo Torinese, per ottenere il condono edilizio di un manufatto destinato a deposito di attrezzi agricoli, con attigua tettoia aperta, ultimato in data 31 ottobre 2002.
    Con provvedimento prot. n. 13869- Tit. VI - cl. 3, del 12 marzo 2008, il dirigente del Settore Ambiente e Territorio del Comune di Settimo Torinese ha respinto la domanda di condono "poiché trattasi di nuova costruzione non residenziale e, in quanto tale, non sanabile ai sensi dell'art. 32 della Legge 326/2003".
    2. L'atto di diniego è impugnato in questa sede dal sig. N. il quale, in sintesi, deduce i seguenti motivi di illegittimità:
    a) violazione di legge, in riferimento all'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, convertito in legge n. 326 del 2003. Tale disposizione, come è noto articolata in una pluralità di commi, avrebbe - secondo il ricorrente - esteso il regime del condono edilizio anche agli immobili non residenziali, in base al confronto con quanto era stato stabilito per il c.d. primo condono edilizio dalla legge n. 47 del 1985. Il ricorrente, in particolare, sostiene che, "essendo il quadro di riferimento normativo necessariamente costituito dalle disposizioni sul primo e sul secondo condono edilizio, i quali pacificamente ammettevano alla sanatoria sia le destinazioni residenziali che quelle non residenziali senza limiti dimensionali [...], il doppio limite di 750 mc. e di 3.000 mc. riferito dalle disposizioni sul terzo condono edilizio alle nuove costruzioni residenziali, costituirebbe un ulteriore limite per le sole costruzioni residenziali, con conseguente assenza di alcun limite per le nuove costruzioni a destinazione non residenziale". Il ricorrente richiama, a sostegno, la circolare ministeriale n. 2699/C del 7 dicembre 2005 la quale si è così espressa: "Per le nuove costruzioni d'uso non residenziale [...], come previsto dai precedenti condoni, la sanatoria è ammessa anche oltre i limiti volumetrici previsti per i manufatti residenziali". In sostanza, il condono varato nel 2003 avrebbe, nella ricostruzione del ricorrente, coperto anche gli immobili a destinazione non residenziale, senza alcun limite volumetrico: ciò, in base al richiamo che l'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003 ha compiuto alle norme sui precedenti condoni, le quali avevano ammesso tale tipo di sanatoria senza alcun limite;
    b) carenza di motivazione, posto che l'amministrazione avrebbe rigettato la richiesta di condono edilizio senza basarsi su alcuna disposizione normativa, ma unicamente in forza di un precedente giurisprudenziale (la sentenza n. 8067 del 2007 della Corte di cassazione, sez. III, la quale a sua volta richiamava la precedente sentenza n. 14436 del 2004), richiamato nella comunicazione di avvio del procedimento e poi neanche più citato nell'atto definitivo di diniego;
    c) violazione dei principi di economicità ed efficacia dell'azione amministrativa. Così, sul punto, si esprime il ricorrente: "se l'orientamento della S.C. era già noto (la sentenza della Cassazione richiamata, infatti, è del 2004 mentre la Circolare Ministeriale è del 2005), per quale immotivata ragione il Dirigente del settore ha deciso di proseguire l'istruttoria, chiedendo ed ottenendo dal N. il deposito di nuovi documenti e, per l'effetto, di ulteriori, rilevanti esborsi economici?".
    3. Il Comune di Settimo Torinese non si è costituito in giudizio.
    4. Nell'imminenza dell'udienza pubblica di discussione, in data 8 gennaio 2011 il ricorrente ha depositato una memoria difensiva, con la quale ha evidenziato che, con sentenza n. 2281 del 2010, la Sezione I di questo TAR ha accolto un ricorso del tutto analogo sorto da una vicenda parallela a quella oggi in esame.
    5. Alla pubblica udienza del 20 gennaio 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.
    DIRITTO
    1. Oggetto del presente giudizio è la legittimità del provvedimento di diniego di condono edilizio, adottato dal Comune di Settimo Torinese sulla scorta della motivazione secondo la quale il manufatto da sanare non può rientrare nelle previsioni dell'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, convertito in legge n. 326 del 2003, in quanto trattasi di nuova costruzione non residenziale.
    Il ricorrente, nel contestare tale ultimo assunto, sostiene che la legge sull'ultimo condono avrebbe - sia pure implicitamente, mediante richiamo alle precedenti disposizioni sul condono edilizio - ammesso la sanatoria anche delle nuove costruzioni non residenziali, peraltro senza alcun limite di volumetria. A sostegno delle proprie ragioni, egli invoca uno specifico precedente di questo TAR, la sentenza n. 2281 del 2010 la quale, a fronte di una fattispecie del tutto analoga a quella oggi in esame, si è espressa nel senso da lui auspicato.
    2. Il ricorso non è fondato.
    Questo Collegio deve ripensare gli esiti cui è pervenuta la Sezione I di questo TAR con la già citata pronunzia dello scorso anno, sulla scorta di un'interpretazione letterale della disciplina del condono del 2003 così come risulta, ormai, confermata, non solo dalla giurisprudenza della Corte di cassazione (ex multis, cassaz. pen., nn. 29764 del 2006 e 8067 del 2007) ma anche dalla giurisprudenza amministrativa più recente, anche degli ultimi mesi (si vd.: TAR Campania, Napoli, sez. VIII, n. 5163 del 2008; Cons. Stato, sez. IV, n. 6237 del 2008; TAR Campania, Salerno, sez. II, n. 5904 del 2010).
    2.1. Giova premettere che quella sul condono edilizio è una normativa eccezionale, come tale di stretta interpretazione.
    Sul punto, la Corte costituzionale ha avuto modo di chiarire, in più occasioni, che il condono edilizio rappresenta "un provvedimento normativo senza dubbio eccezionale e straordinario", che trova la propria ratio sia nella "persistenza del fenomeno dell'abusivismo, con conseguente esigenza di recupero della legalità", sia nella imputabilità di tale fenomeno di abusivismo "almeno in parte, proprio alla scarsa incisività e tempestività dell'azione di controllo del territorio da parte degli enti locali e delle Regioni" (così le sentt. n. 196 del 2004 e n. 256 del 1996). Il condono, con l'effetto di sanatoria di abusi edilizi già compiuti, incide sulla sanzionabilità penale e sulla stessa certezza del diritto, nonché sulla tutela di valori essenziali come il paesaggio e l'equilibrato sviluppo del territorio: da tali osservazioni se ne è tratta l'ulteriore conferma che esso costituisce un istituto "a carattere contingente e del tutto eccezionale" (sentenze n. 427 del 1995 e n. 416 del 1995), ammissibile solo "negli stretti limiti consentiti dal sistema costituzionale" (sentenza n. 369 del 1988), dovendo in altre parole "trovare giustificazione in un principio di ragionevolezza" (sentenza n. 427 del 1995).
    Il carattere di straordinarietà e di eccezionalità anche del condono varato nel 2003, del resto, è confermato dal comma 2 dell'art. 32 del relativo decreto-legge, secondo il quale la nuova normativa è stata disposta "nelle more dell'adeguamento della disciplina regionale ai princìpi contenuti nel testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380". Sotto tale profilo, pertanto, il nuovo condono edilizio, introdotto con lo strumento del decreto-legge, è stato ritenuto non irragionevole e dotato di sufficienti elementi di straordinarietà e di urgenza di cui all'art. 77 Cost. (Corte cost., sent. n. 196 del 2004): ma ciò nel contesto letterale dei limiti entro i quali, in base alla nuova fonte normativa, la sanatoria degli abusi già compiuti è stata consentita.
    Discende, invero, come necessario corollario dalle caratteristiche di eccezionalità e straordinarietà del condono edilizio che la relativa normativa deve essere interpretata in modo rigoroso, il più possibile aderente alla lettera della legge, in modo da evitare surrettizi ampliamenti dell'area della sanatoria, i quali si tradurrebbero in inammissibili estensioni del vulnus che - mediante il varo di tale intervento "eccezionale" - viene arrecato ai valori del paesaggio e dell'equilibrato sviluppo del territorio.
    In altre parole, principio cardine in materia di condono edilizio è il carattere straordinario ed eccezionale della normativa che, nella contingenza del momento in cui interviene, l'ha previsto: con conseguente necessità di una stretta interpretazione, di stampo letterale, delle norme di sanatoria, al fine di non alterare ulteriormente il già intaccato equilibrio dei valori costituzionali sottesi mediante la surrettizia introduzione di ulteriori deroghe non espressamente consentite dalla legge.
    2.2. Così tracciato il quadro generale di contorno in cui collocare la fattispecie per cui è causa, è ora necessario entrare nella valutazione del merito di quest'ultima.
    La disposizione-chiave, la cui interpretazione è rilevante per il presente giudizio, è quella del comma 25 dell'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, convertito in legge n. 326 del 2003. Così dispone tale comma: "Le disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni e integrazioni, come ulteriormente modificate dall'articolo 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e successive modificazioni e integrazioni, nonché dal presente articolo, si applicano alle opere abusive che risultino ultimate entro il 31 marzo 2003 e che non abbiano comportato ampliamento del manufatto superiore al 30 per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento superiore a 750 metri cubi. Le suddette disposizioni trovano altresì applicazione alle opere abusive realizzate nel termine di cui sopra relative a nuove costruzioni residenziali non superiori a 750 metri cubi per singola richiesta di titolo abilitativo edilizio in sanatoria, a condizione che la nuova costruzione non superi complessivamente i 3.000 metri cubi".
    In tal modo il legislatore del 2003 ha espressamente individuato, ai fini dell'ammissibilità al nuovo condono edilizio, la categoria degli "ampliamenti" dei manufatti già esistenti e quella delle "nuove costruzioni residenziali". Le condizioni poste per la sanatoria sono, nel primo caso, l'avvenuta ultimazione delle opere entro il 31 marzo 2003 e l'ampliamento di volumetria contenuto nel limite del 30% della volumetria originaria oppure nel limite di 750 mc.; e, nel secondo caso, l'ultimazione della nuova costruzione entro il 31 marzo 2003, il limite di volumetria dei 750 mc. per singola richiesta di titolo abilitativo ed il rispetto del tetto massimo complessivo di 3000 mc.
    Se con riferimento agli "ampliamenti" consentiti la norma non distingue la natura residenziale o meno dei manufatti cui essi accedono - sicché è da ritenere, evidentemente, che sono ammissibili in sanatoria tutti gli ampliamenti, indipendentemente dalla destinazione d'uso del manufatto (così come, peraltro, si ricava dalla sentenza n. 49 del 2006 della Corte costituzionale) -, con riferimento invece alla categoria delle "nuove costruzioni" la norma si riferisce espressamente solo a quelle "residenziali", peraltro assoggettandole a limiti di volumetria.
    Tanto, allora, basta per escludere che la legge sul condono edilizio del 2003 - in quanto, come detto, legge eccezionale di sanatoria, ossia applicabile entro i limiti espressamente previsti senza inammissibili interpretazioni estensive - possa riferirsi anche alle nuove costruzioni non residenziali.
    Il punto, del resto, trova un'importante conferma anche alla luce dei lavori preparatori della legge n. 326 del 2003 di conversione del decreto-legge che ha introdotto il nuovo condono edilizio. Il relatore della VIII Commissione permanente della Camera dei Deputati, nella seduta del 5 novembre 2003, ha illustrato l'emendamento governativo "limitativo" su cui il Governo ha poi posto la questione di fiducia, osservando che tra "le opere ammesse al condono" rientrano quelle di "nuova costruzione, ma limitatamente agli edifici residenziali, anche in questo caso nel limite dei 750 mc per singola richiesta" (sul punto, Cons. Stato, n. 6237 del 2008, cit.).
    Peraltro, qualora - come sostiene il ricorrente - si volesse ritenere inclusa nella sanatoria anche la categoria delle nuove costruzioni non residenziali (mediante il ragionamento interpretativo sostenuto nell'atto introduttivo, sul quale subito appresso si dirà), si otterrebbe un effetto davvero "paradossale" (termine, significativamente, evocato dallo stesso ricorrente a pag. 16 dell'atto introduttivo), ed in quanto tale non condivisibile: ciò, in quanto le nuove costruzioni non residenziali risulterebbero ammesse al condono senza alcun limite di volumetria (atteso il silenzio, sul punto, serbato dal comma 25), laddove quelle "residenziali" (proprio in quanto espressamente indicate dal legislatore) rimarrebbero invece assoggettate ai limiti di volumetria indicati dal comma 25 dell'art. 32.
    2.3. Le argomentazioni sostenute dal ricorrente, in proposito, devono essere disattese.
    Esse, in sostanza, si dirigono lungo una duplice linea direttrice. Sotto un primo profilo, la condonabilità delle nuove costruzioni non residenziali è argomentata in base alla genericità del termine "opere", utilizzato dai commi 26 e 27 allorché vengono descritti i margini di sanabilità degli abusi (nonché, analogamente, in base a come è stato predisposto il modulo per la domanda di sanatoria). Sotto un diverso profilo, si fa leva sul rinvio che l'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003 compie alle disposizioni sui precedenti condoni, i quali avevano pacificamente ammesso la sanatoria delle nuove costruzioni non residenziali.
    La prima linea argomentativa, a ben vedere, dà per dimostrato ciò che ancora non lo è. Il comma 26 ammette alla sanatoria edilizia, tra le altre, le tipologie di illecito di cui al n. 1 dell'Allegato n. 1, ossia le "Opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici"; dal canto suo, il comma 27 esclude dalla sanatoria le "opere abusive" nei casi di seguito indicati. Ma si tratta di norme che non hanno pretesa di definire cosa debba intendersi per "opere", posto che esiste già una norma (il comma 25) che ha stabilito quali sono le "opere" rientranti nel condono. Esse sono norme, in realtà, del tutto neutre rispetto al problema che qui ci si pone, dovendo essere lette alla luce della specificazione ("ampliamenti" e "nuova costruzioni residenziali") di cui al comma 25.
    Analogamente, è pur vero che, nel modulo di "Domanda relativa alla definizione degli illeciti edilizi" allegato al decreto-legge n. 269 del 2003, non si opera alcuna distinzione alla voce "destinazione d'uso", consentendo astrattamente all'interessato di barrare la casella relativa all'uso residenziale oppure quella relativa all'uso non residenziale. Ma è evidente che, in tanto potrà essere utilmente barrata la casella dell'uso non residenziale, in quanto l'opera oggetto di domanda costituisca un "ampliamento", e non anche laddove essa integri una "nuova costruzione": diversamente, verrebbe violato il comma 25.
    Non può non riconoscersi, sul punto, che in concreto il modulo predisposto dal decreto-legge n. 269 del 2003 non brilla per correttezza e per coerenza con il testo normativo: nel caso del ricorrente, infatti, era ben possibile che quel modulo potesse indurre in errore il richiedente, facendogli supporre che la destinazione "non residenziale" fosse compatibile con l'abuso commesso anche per l'ipotesi della nuova costruzione. E' anche vero, però, che l'area di estensione di un condono edilizio (che, si ribadisce, è un intervento di natura eccezionale, suscettibile di una stretta interpretazione) non può risultare, in concreto, determinata da come è strutturato un mero modulo di domanda, specialmente se (come nel caso) un'indicazione affatto contraria è desumibile dalla portata letterale della legge.
    Non è, poi, condivisibile nemmeno la seconda linea argomentativa fatta propria dal ricorrente, costruita sul richiamo che l'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003 fa delle precedenti leggi sul condono edilizio. Il ricorrente si riferisce, in particolare, al comma 28 dell'art. 32, a norma del quale "Per quanto non previsto dal presente decreto si applicano, ove compatibili, le disposizioni di cui alla legge 28 febbraio 1985, n. 47, e al predetto articolo 39 [della legge n. 724 del 1994]". In tal modo, però, il legislatore del 2003 non ha ampliato le ipotesi di condono previste nei commi precedenti dell'art. 32, ma ha solo reso applicabili le disposizioni sostanziali e processuali sugli effetti della presentazione della domanda di condono ovvero del ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale e le regole processuali da applicare (così Cons. Stato, sez. IV, n. 6237 del 2008). Del resto la clausola di rinvio è operativa solo "per quanto non previsto dal presente decreto": ed il decreto-legge n. 269 del 2003 espressamente prevede - come visto, al comma 25 - il limite della tipologia "residenziale" per le nuove costruzioni.
    Ad ulteriore conferma il comma 3 specifica che le condizioni ed i limiti del nuovo condono "sono stabiliti dal presente articolo", non quindi dalle leggi precedenti. Il comma 5, poi, prevede bensì il "coordinamento" con queste ultime, ma non certo la loro reviviscenza per le tipologie di abusi non previste dalla nuova legge.
    Si deve quindi concludere, sul punto, che le disposizioni delle precedenti leggi di condono edilizio, per la parte in cui avevano previsto la sanatoria delle nuove costruzioni non residenziali, sono "non compatibili" con il condono varato nel 2003 (art. 32, comma 28) e, pertanto, non possono essere applicate.
    2.4. Ad una diversa conclusione, del resto, non può condurre la circolare ministeriale invocata dal ricorrente (la n. 2699/C del 7 dicembre 2005), laddove ha (peraltro, del tutto immotivatamente) previsto che "... Per le nuove costruzioni con destinazione d'uso non residenziale, invece, come previsto dai precedenti condoni, la sanatoria è ammessa anche oltre i limiti volumetrici previsti per i manufatti non residenziali".
    Come ha affermato il Consiglio di Stato (dec. n. 6237 del 2008, cit.) l'esame sulla legittimità dell'atto impugnato va svolto sulla base delle disposizioni contenute nel decreto legge n. 269 del 2003, come convertito dalla legge n. 326 del 2003, che hanno attribuito alle amministrazioni comunali poteri di natura vincolata (nel senso che una sola è la soluzione conforme alla legge), sicché sono di per sé irrilevanti le "istruzioni" elaborate dagli uffici comunali, i pareri pro veritate resi nel corso del procedimento e la circolare interpretativa del Ministero delle infrastrutture (nello stesso senso, anche TAR Campania, Napoli, n. 5163 del 2008, cit.).
    3. Non sono fondati neanche gli ulteriori motivi di gravame dedotti nell'atto introduttivo.
    Non è dato rinvenire, anzitutto, alcuna carenza di motivazione, posto che - in modo del tutto adeguato e sufficiente - il provvedimento di diniego ha senz'altro illustrato la ragione ritenuta ostativa al condono, ossia la natura non residenziale della nuova costruzione abusiva: ciò, a prescindere dal richiamo alle sentenze della Corte di cassazione, contenuto nell'atto con il quale erano state comunicate le ragioni ostative all'accoglimento dell'istanza (richiamo che era lì servito, all'evidenza, a meglio illustrare la motivazione).
    Al contempo, non è possibile sostenere alcuna violazione del principio di economicità dell'azione amministrativa. Secondo il ricorrente, del tutto immotivatamente - nonostante fosse già noto l'orientamento della Corte di cassazione - l'amministrazione ha deciso di proseguire l'istruttoria, chiedendo il deposito di nuovi documenti e costringendo l'istante ad ulteriori esborsi economici.
    Va, in contrario, rilevato che è principio basilare dell'azione amministrativa che l'amministrazione, lungo tutta la durata dell'iter procedimentale, mantiene intatta la propria potestà provvedimentale, potendo in qualsiasi momento di tale iter- ancor prima dell'emanazione dell'atto finale, e comunque sempre nel rispetto delle garanzie partecipative - ripensare, alla luce di ulteriori elementi istruttori (ivi comprese decisioni giurisprudenziali afferenti alla questione da decidere, specie se, come nel caso, contrastanti rispetto alle istruzioni impartite con apposita circolare ministeriale) eventuali determinazioni che fossero già provvisoriamente maturate. Eventuali (e provvisori) affidamenti ingenerati nel privato, per effetto di richieste documentali avanzate dall'amministrazione, potrebbero semmai, e del tutto eventualmente, fondare una pretesa restitutoria degli esborsi economici sostenuti a causa di tali (inutili) richieste, ma non certo far addivenire ad una decisione di annullamento, in sede giurisdizionale, dell'atto finale poi adottato dall'amministrazione procedente.
    4. In definitiva, il ricorso va integralmente respinto.
    Non vi è luogo a pronunzia sulle spese stante la mancata costituzione in giudizio dell'amministrazione intimata.
    P. Q. M.
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione seconda, definitivamente pronunciando,
    Respinge
    il ricorso in epigrafe.
    Nulla per le spese.
    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
    Così deciso in Torino nelle camere di consiglio dei giorni 20 gennaio e 16 marzo 2011 con l'intervento dei magistrati:
     
    IL PRESIDENTE F.F.
    Paolo Giovanni Nicolò Lotti
    L'ESTENSORE
    Antonino Masaracchia
    IL REFERENDARIO
    Manuela Sinigoi
     
    Depositata in Segreteria il 31 marzo 2011
    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
     
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