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    Preparazioni galeniche e farmaci industriali: la ricetta deve essere "datata"!

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    N. 2306/2012 Reg. Prov. Coll.

    N. 2202 Reg. Ric.

    ANNO 2006

    REPUBBLICA ITALIANA

    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza) ha pronunciato la presente

    SENTENZA

    sul ricorso numero di registro generale 2202 del 2006, proposto da: B. F., rappresentato e difeso dagli avv. Francesco Cavallaro, Claudio Duchi e Quintino Lombardo, con domicilio eletto presso il loro studio in Milano, Largo Augusto n. 3;

    contro

    AZIENDA SANITARIA LOCALE DELLA PROVINCIA DI VARESE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Andrea Mascetti, con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Paola Balzarini in Milano V.le Bianca Maria;

    per l'annullamento

    dell'ordinanza ingiunzione n. 40 del 17 luglio 2006, con la quale il Direttore Generale della ASL della Provincia di Varese ha determinato in euro 9.294,00 più euro 96 di spese procedimentali, l'ammontare della sanzione pecuniaria erogata all'odierno ricorrente dr. B. in relazione alle violazioni amministrative contestate con i verbali nn. 8 - 9 - 10 - 11 e 12 in data 1 febbraio 2006, concernenti la presenza in farmacia di n. 5 ricette per altrettanti medicinali spediti dalla farmacia senza l'indicazione della data di spedizione, in asserita violazione dell'art. 37 del Regolamento approvato con r.d. 30 settembre 1938 n. 1706.

    Visti il ricorso e i relativi allegati;

    Visto l'atto di costituzione in giudizio di Azienda Sanitaria Locale della Provincia di Varese;

    Viste le memorie difensive;

    Visti tutti gli atti della causa;

    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 maggio 2012 il dott. Stefano Celeste Cozzi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

    FATTO E DIRITTO

    1. Il ricorrente, già titolare di una farmacia in Casorate Sempione, ha impugnato l'ordinanza n. 40 del 17 luglio 2006 con la quale il Direttore Generale dell'ASL di Varese ha determinato e irrogato una sanzione amministrativa ammontante ad euro 9.294,00, oltre euro 96,00 per spese.

    2) La sanzione consegue a un'ispezione effettuata in data 23 novembre 2005 presso la suddetta farmacia, in esito alla quale il personale incaricato ha contestato al farmacista la presenza di cinque ricette prive della data di spedizione.

    3. Il ricorso in esame, originariamente proposto dal dott. B. F. poi deceduto, è stato ripreso dalla dott.ssa B. E. in qualità di erede e attuale titolare della farmacia

    4. In prossimità dell'udienza di discussione del merito le parti hanno depositato memorie.

    5. Tenutasi la pubblica udienza in data 24 maggio 2012, la causa è stata trattenuta in decisione.

    6. Deve preliminarmente essere esaminata l'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sollevata dall'amministrazione resistente.

    7. Sostiene in particolare quest'ultima che le controversie afferenti alle sanzioni amministrative di carattere pecuniario sarebbero devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, ai sensi degli artt. 22 e 22 bis della legge n. 689/81.

    8. Ritiene il Collegio che l'eccezione sia infondata.

    9. In proposito si richiama quanto affermato in una sentenza della Sezione, secondo la quale le controversie concernenti le sanzioni amministrative pecuniarie sono attratte nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblici servizi, ai sensi dell'art. 33 del d.lgs. n. 80/98 (oggi abrogato ai sensi dell'art. 4, n. 20, delle norme di attuazione del c.p.a., ma applicabile alla fattispecie di cui è causa ratione temporis) qualora la sanzione sia stata comminata nell'ambito delle attività di vigilanza svolte dalle amministrazioni preposte al controllo del corretto espletamento dei servizi pubblici da parte di soggetti privati. Invero, la correlazione fra potere di vigilanza e potere sanzionatorio rende, da un lato, ascrivibile l'atto sanzionatorio alla materia dei servizi pubblici: la sanzione è direttamente funzionale alla tutela dell'interesse pubblico al corretto espletamento del servizio e non già al semplice ripristino della legalità violata; da altro lato, dal punto di vista del soggetto passivo della sanzione, determina un intreccio di posizioni soggettive di diritto e di interesse legittimo che rende compatibile l'attribuzione della giurisdizione esclusiva al g.a. al quadro delineato dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 204/2004.

    10. E proprio in ragione del ricorrere di tali condizioni, la Sezione ha ritenuto che rientrino nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie che riguardano le sanzioni amministrative applicate dalle aziende sanitarie locali nei confronti delle farmacie per il mancato rispetto da parte di queste ultime delle disposizioni normative che regolano il servizio farmaceutico (cfr. TAR Lombardia, sez. III, 4 agosto 2008 n. 809).

    11. Va dunque affermata sulla presente controversia la giurisdizione del giudice amministrativo.

    12. Le altre eccezioni sollevate dall'Amministrazione possono essere tralasciate in ragione dell'infondatezza nel merito del ricorso.

    13. Con il primo motivo viene dedotta la violazione dell'art. 5, lett. i), e della l.r. n. 90/83 in quanto, a dire della parte ricorrente, l'Amministrazione, redigendo il verbale di accertamento e contestazione dell'addebito in sua assenza, avrebbe violato le garanzie partecipative del presunto trasgressore impedendo a questi di rendere dichiarazioni nell'imminenza dell'accertamento.

    14. Ritiene il Collegio che il motivo sia infondato.

    15. Va in proposito osservato che nessuna disposizione richiede la presenza del trasgressore nel momento in cui vengono svolte le operazioni di accertamento dell'infrazione e/o in quello in cui viene redatto il relativo verbale: non l'art. 13 della legge 24 novembre 1981 n. 689, che enuncia poteri e facoltà degli organi addetti alla vigilanza ed al controllo sull'osservanza delle disposizioni per la cui violazione è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro, senza subordinarli al preventivo avviso e/o alla presenza dei soggetti che ne potrebbero essere destinatari. E neppure l'art. 5, comma 1, lett. i), della l.r. 5 dicembre 1983 n. 90 il quale, nel prevedere l'obbligo di verbalizzazione delle dichiarazioni rese dal trasgressore, non impone l'obbligo della sua presenza durante le operazioni di accertamento e/o di stesura del verbale, ma impone soltanto la raccolta a verbale di dette dichiarazioni qualora il trasgressore sia nel concreto presente.

    16. La garanzia del contraddittorio è assicurata da altre disposizioni contenute nella legge n. 689/81 e, precisamente, dagli artt. 14 e 18, sia attraverso la previsione di una tempestiva contestazione, sia attraverso l'attribuzione all'interessato del diritto di far pervenire scritti e documenti all'autorità competente, nonché di essere ascoltato prima dell'emanazione del provvedimento conclusivo del procedimento (cfr. Cass. Civ. 5 luglio 2001 n. 9056).

    17. Nel caso concreto, peraltro, è pacificamente ammesso dalle parti che l'interessato abbia preso parte alle operazioni di ispezione e che, in quell'occasione, gli è stata data la possibilità di rendere dichiarazioni da raccogliere nel verbale di ispezione (possibilità di cui l'interessato ha preferito non avvalersi). Sono state quindi garantite le esigenze di difesa dell'interessato, non essendo invece richiesta la sua presenza nella fase di redazione del verbale di accertamento

    18. Va pertanto affermata la correttezza dell'operato dell'Amministrazione intimata e, al contempo, ribadita l'infondatezza della doglianza in esame.

    19. Con il secondo motivo viene dedotta la violazione del principio della responsabilità personale sancito dall'art. 3 della legge n. 689/81, in quanto, a dire del ricorrente, l'Amministrazione avrebbe omesso di identificare il trasgressore.

    20. Anche questa doglianza è infondata giacché, ai sensi dell'art. 122, comma 1, del r.d. 27 luglio 1934 n. 1265, la vendita al pubblico di medicinali è effettuata sotto la responsabilità diretta del titolare della farmacia.

    21. E' questi dunque il soggetto cui deve essere imputata la trasgressione qualora vengano accertate violazioni concernenti la vendita dei farmaci: il titolare non è quindi responsabile in solido, ma responsabile principale.

    22. Nel caso concreto, è incontestato che il ricorrente sia il titolare della farmacia; pertanto correttamente l'Amministrazione ha individuato in lui l'autore della violazione compiuta.

    23. Con il terzo motivo, viene dedotta la violazione dell'art. 37 del r.d. n. 1706/38 in quanto, a dire del ricorrente, l'obbligo di indicazione della data sarebbe riferibile, in base alla citata norma, solo alle ricette che prescrivono preparazioni galeniche magistrali e non anche a quelle che prescrivono farmaci industriali.

    24. Anche questo motivo è infondato.

    25. Stabilisce l'art. 37, comma 1, lett. a), del r.d. 30 settembre 1938 n. 1706 che i farmacisti hanno l'obbligo di annotare sulle ricette che spediscono, la data della spedizione ed il prezzo praticato.

    26. Tale disposizione non fa alcuna distinzione fra ricette che prescrivono preparazioni galeniche magistrali e ricette che prescrivono farmaci industriali.

    27. La tesi del ricorrente è dunque smentita dal dato letterale della norma.

    28. E' vero che in base ad un orientamento giurisprudenziale il dato letterale sarebbe superato da un'interpretazione storica, sistematica e logica, atteso che: a) all'epoca di emanazione della normativa applicata le ricette mediche avevano quasi esclusivamente ad oggetto preparazioni galeniche, sicché dovrebbe ritenersi che gli obblighi formali previsti dall'art. 37 si riferiscano solo a tale tipologia di ricette; b) l'art. 37 sarebbe inserito in un contesto normativo che disciplinerebbe esclusivamente le ricette che hanno ad oggetto le preparazioni galeniche; c) lo scopo della norma sarebbe quello di rendere certa la data di preparazione del farmaco al fine di individuarne il momento di scadenza; esigenza evidentemente non sussistente per i farmaci di preparazione industriale per i quali la data di scadenza è già indicata dalla casa produttrice (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 17 settembre 2009, n. 5574; T.A.R. Friuli Venezia Giulia, sez. I, 29 ottobre 2009, n. 720; id., 20 ottobre 2005, n. 823).

    29. Questa tesi non è tuttavia convincente in quanto, come ha notato altra giurisprudenza: a) è vero che all'epoca di emanazione delle disposizioni in esame la parte preponderante era costituita dalle ricette aventi ad oggetto preparazioni galeniche, ma a quell'epoca esistevano già farmaci di preparazione industriale, sicché il legislatore, se avesse voluto, ben avrebbe potuto specificare che l'obbligo di apposizione della data si riferiva solo alle prime; b) l'art. 37, come detto, non fa alcuna distinzione fra ricette aventi ad oggetto preparazioni galeniche e ricette aventi ad oggetto farmaci di preparazione industriale, sicché deve ritenersi che la norma abbia ad oggetto anche le seconde, nonostante per queste sia successivamente intervenuta una disciplina speciale dettata dal d.lgs n. 539/92, peraltro sul punto non incompatibile con la disciplina anteriore; c) non è vero che l'apposizione della data sulla ricetta sia funzionale all'individuazione del momento di scadenza del farmaco, posto che tale apposizione si effettua al momento di utilizzo della ricetta da parte dell'interessato e non già in quello di preparazione del farmaco stesso (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 8 settembre 2011 n. 5054; Tar Lombardia Milano, sez. III, 4 aprile 2008 n. 810).

    30. Pertanto va ribadito che l'obbligo di apposizione della data da parte del farmacista riguarda anche le ricette che hanno ad oggetto farmaci di preparazione industriale; e che dunque la doglianza in esame è infondata.

    31. In conclusione, per le ragioni illustrate, il ricorso deve essere respinto.

    32. Le oscillazioni giurisprudenziali in ordine al terzo motivo di ricorso inducono il Collegio a disporre la compensazione delle spese processuali.

    P. Q. M.

    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

    Spese compensate.

    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

    Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 24 maggio 2012 con l'intervento dei magistrati:

     

    IL PRESIDENTE

    Domenico Giordano

    L'ESTENSORE

    Stefano Celeste Cozzi

    IL PRIMO REFERENDARIO

    Fabrizio Fornataro

     

    Depositata in Segreteria il 18 settembre 2012

    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

     

    Svolgimento di mansioni superiori e diritti economici: la disciplina di "nicchia" del settore sanitario

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    N. 636/2012 Reg. Prov. Coll.
    N. 4992 Reg. Ric.
    ANNO 1993
    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Seconda) ha pronunciato la presente
    SENTENZA
    sul ricorso numero di registro generale 4992 del 1993, proposto da:
    T. N., rappresentato e difeso dall'Avv. Francesco Caruso, con domicilio eletto Francesco Caruso, in Catania, Via Monfalcone, 22;
    contro
    U.S.L. n. 30 di Palagonia, non costituita in giudizio;
    nei confronti di
    Assessorato Regionale alla Sanità, in persona dell'Assessore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania, domiciliata in Catania, Via Vecchia Ognina 149;
    avverso
    il silenzio-rifiuto della U.S.L. n. 30 di Palagonia sulla diffida notificata dal ricorrente in data 10 maggio 1995;
    e per la condanna
    della U.S.L. n. 30 di Palagonia al pagamento delle differenze retributive per le mansioni superiori svolte dal ricorrente a partire dal 10 maggio 1988, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria;
    Visti il ricorso e i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Assessorato Regionale alla Sanità;
    Viste le memorie difensive;
    Visti tutti gli atti della causa;
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 febbraio 2012 il dott. Daniele Burzichelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
    FATTO E DIRITTO
    Il ricorrente impugna il silenzio-rifiuto della U.S.L. n. 30 di Palagonia sulla diffida da egli notificata in data 10 maggio 1993 e chiede la condanna della stessa U.S.L. al pagamento delle differenze retributive per le mansioni superiori svolte a partire dal 21 dicembre 1986, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria.
    Nel ricorso si espone che: a) il Trovato è dipendente della U.S.L. n. 30 di Palagonia con la qualifica di coadiutore amministrativo (IV livello retributivo); b) con ordine di servizio n. 881 in data 29 maggio 1994, il Coordinatore Sanitario ha disposto che il ricorrente restasse a disposizione del suo ufficio per l'espletamento delle pratiche di competenza; c) con ordine di servizio n. 17 in data 11 aprile 1985 è stata confermata l'assegnazione del ricorrente alla Direzione Sanitaria del Presidio Ospedaliero di Militello; d) con delibera n. 22 del 2 febbraio 1990 (successivamente annullata dall'organo tutorio), il Comitato di Gestione della U.S.L. ha attestato le mansioni superiori svolte dal ricorrente; e) il ricorrente ha chiesto all'Amministrazione le differenze retributive con nota del 21 dicembre 1991; f) nonostante il ricorrente continui a svolgere mansioni del VI livello, per le quali esistono alcune vacanze nella pianta organica dell'ente, e a dispetto di una seconda diffida in data 10 maggio 1993, l'U.S.L. non gli ha corrisposto le dovute differenze retributive.
    In punto di diritto il ricorrente osserva che: a) l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (n. 2 del 16 maggio 1991) ha sancito che l'Amministrazione sanitaria è tenuta a retribuire le mansioni superiori svolte dai dipendenti oltre il termine di giorni sessanta di cui all'art. 29, secondo comma, d.p.r. n. 761/1979, indipendentemente dall'esistenza di un formale atto di assegnazione; b) nel caso in esame, l'Amministrazione ha emanato appositi ordini di servizio, il Comitato di Gestione ha riconosciuto l'espletamento della mansioni superiori da parte del ricorrente e risultano vacanze del relativo posto nella pianta organica dell'ente; c) non vi è dubbio che le mansioni superiori svolte dal ricorrente non rientrino nella previsione di cui all'art. 55, terzo comma, d.p.r. n. 384/1990 (che esclude la loro remunerazione quando la sostituzione del dipendente di posizione funzionale immediatamente superiore rientri tra gli ordinari compiti della posizione funzionale sottostante) e che esse siano state espletate oltre il termine di giorni sessanta di cui al quinto comma della disposizione indicata; d) l'Amministrazione non ha istruito la richiesta del ricorrente di cui alle diffide in data 21 dicembre 1991 e 10 maggio 1993; e) la mancata retribuzione delle mansioni superiori è in contrasto con il riconoscimento del loro espletamento ad opera del Comitato di Gestione.
    L'Amministrazione regionale, costituitasi in giudizio, chiede il rigetto del ricorso, eccependo l'intervenuta prescrizione ai sensi dell'art. 2948 c.c. e osservando che il ricorrente non ha svolto le mansioni superiori per le quali reclama le differenze retributive o che, comunque, la documentazione da questi prodotta non è adeguata per sostenere la sua domanda.
    Nella pubblica udienza del 22 febbraio 2012, sentiti i difensori delle parti come indicato nel verbale, la causa viene trattenuta in decisione.
    Il ricorso è in parte inammissibile e in parte infondato.
    E' inammissibile per quanto attiene all'impugnazione del silenzio dell'Amministrazione in quanto la controversia attiene a posizioni di diritto soggettivo e non involge l'esercizio di potestà amministrative.
    Per quanto attiene alla richiesta di condanna della U.S.L. n. 30 il ricorso è, invece, infondato (e, pertanto, si può prescindere dall'esame dell'eccezione di prescrizione sollevata dall'Amministrazione resistente).
    E' noto, infatti, che, secondo un condivisibile orientamento della giurisprudenza amministrativa, nel settore del pubblico impiego, salvo diversa disposizione di legge, il diritto alle differenze retributive per le mansioni superiori espletate dai pubblici dipendenti va riconosciuto con carattere di generalità solo a decorrere dall'entrata in vigore dell'art. 15 d.lgs. n. 387/1998 (sul punto cfr., fra le tante, Cons. St., V, n. 3842/2009, Cons. St., V, n. 7234/2009 e Cons. St., VI, n. 502/2010 e Cons. St., V, n. 1332/2010), che ha reso anticipatamente operativa la disciplina di cui all'art. 56, sesto comma, d.lgs n. 29/1993.
    Come ripetutamente affermato in giurisprudenza (cfr., da ultimo, Cons. St., V, n. 2166/2011, Cons. St., VI, n. 758/2011 e Cons. St., VI, n. 467/2011, sulla scorta, peraltro, di quanto stabilito dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la decisione n. 22/1999), ciò dipende dal fatto che il rapporto di pubblico impiego non è assimilabile al rapporto di lavoro privato, poiché in relazione al primo, oltre al principio di cui all'art. 36 Cost. (che sancisce il principio di corrispondenza della retribuzione dei lavoratori alla qualità e quantità del lavoro prestato), trovano spazio altri principi di pari rilevanza, come quelli di cui agli artt. 98 (il quale, nel disporre che i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della nazione, sottrae la valutazione del rapporto di pubblico impiego alla logica del rapporto di scambio) e 97 Cost. (da cui si desume il contrasto dell'esercizio di mansioni superiori con i principi di buon andamento e imparzialità dell'amministrazione, nonché con la rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità dei funzionari).
    Tali conclusioni, peraltro, soffrono una deroga nel settore sanitario in ragione di quanto previsto dall'art. 29 d.p.r. n. 761/ 1979, ma, come specificato dalla giurisprudenza (sul punto, cfr, per tutte, Cons. St., V, n. 3312/ 2010 e Cons. St., V, n. 4431/2008, n. 4431), alla triplice e contestuale condizione dell'esistenza di un posto in organico vacante per la copertura del quale non sia stato bandito alcun concorso, del previo conferimento formale dell'incarico su un posto vacante mediante atto deliberativo dell'organo competente e del protrarsi delle mansioni immediatamente superiori (cioè non "per saltum") per un periodo eccedente i sessanta giorni nell'anno solare (sul punto, cfr, per tutte, Cons. St., V, n. 3312/ 2010 e Cons. St., V, n. 4431/2008, n. 4431).
    In altri termini, l'art. 29, secondo comma, del citato d.p.r. n. 761/1979 subordina la possibilità di riconoscere nel settore sanitario le differenze retributive per l'espletamento di mansioni immediatamente superiori alle seguenti, concomitanti condizioni: a) le mansioni devono essere svolte su un posto di ruolo, esistente in pianta organica e di fatto vacante; b) su tale posto non deve essere stato bandito alcun concorso; c) l'organo gestorio deve aver attribuito la supplenza con previa e formale deliberazione, dopo aver verificato i presupposti indicati in precedenza e assumendosene tutte le responsabilità (con la conseguente irrilevanza di un semplice ordine di servizio: su quest'ultimo specifico punto cfr. Cons. St., V, n. 1048/2007).
    Alla luce dei principi appena indicati, al ricorrente non spettano le differenze retributive in quanto, secondo la stessa prospettazione operata in ricorso: a) nel caso di specie è intervenuto un mero ordine di servizio, non un formale e previo provvedimento di assegnazione delle mansioni superiori da parte dell'organo competente; b) le mansioni svolte non risultano immediatamente superiori rispetto a quelle di appartenenza.
    Tenuto conto del diverso avviso espresso al riguardo da parte della giurisprudenza amministrativa e civile (per tutte, cfr. Cons. St., V, n. 2099/2006, Cass., Sez. Lav., n. 9130/2007, Cass., Sez. Un., n. 25837/2007 e, da ultimo, Cass., Sez. Un., n. 3814/2011), sembrano opportune, in conclusione, alcune precisazioni in ordine alla natura non retroattiva dell'art. 15 d.lgs. n. 387/1998, che modificando l'art. 56, sesto comma, d.lgs. n. 29/1993, ha introdotto il principio della spettanza della remunerazione delle mansioni superiori nell'ambito del pubblico impiego "privatizzato".
    Tale diverso avviso espresso da parte della giurisprudenza amministrativa e civile si fonda sulle seguenti considerazioni: a) l'art. 15 d.lgs. n. 387/1998 modifica una norma transitoria; b) le disposizioni transitorie si applicano ad un arco temporale da esse - più o meno esplicitamente - indicato; c) da ciò consegue che le norme che modificano norme transitorie, invece di operare "ex nunc", estendono la loro efficacia (anche retroattivamente) al periodo considerato dalla norma transitoria; d) attraverso l'art. 15 d.lgs. n. 387/1998 il legislatore ha modificato una disciplina sospettata di incostituzionalità, anche alla luce della giurisprudenza del giudice delle leggi sul trattamento economico spettante al dipendente pubblico che abbia svolto mansioni superiori.
    Il Collegio intende, invece, ribadire il diverso orientamento espresso dalla prevalente giurisprudenza amministrativa sulla base delle seguenti argomentazioni: a) l'art. 10, primo comma, disp. prel. c.c. stabilisce che le leggi e i regolamenti hanno effetto a far data dal compimento della "vacatio legis", salvo che sia altrimenti disposto; b) tale previsione va interpretata in armonia con in principi costituzionali ed appare espressione di un principio di natura generale, con cui si intende garantire che il legislatore abbia puntualmente delibato gli effetti derivanti dall'applicazione retroattiva delle norme - effetti che possono essere sfavorevoli per particolari soggetti dell'ordinamento - e abbia consapevolmente ritenuto di non escluderli; c) non è necessario che l'intento sia manifestato espressamente, ma occorre tuttavia che esso risulti in modo inequivocabile dal tenore logico e letterale della disposizione (diversamente non avrebbe significato l'espressione "salvo che... sia altrimenti disposto" di cui al citato art. 10, primo comma); d) in altri termini, la natura retroattiva di una disciplina deve emergere in modo - anche implicito, ma - inequivocabile dalla lettera della norma; e) nel caso di specie, l'interpretazione secondo cui l'art. 15 avrebbe natura retroattiva ha una sua plausibilità logica, ma non costituisce l'unica interpretazione possibile in base al tenore letterale della previsione; f) è, infatti, ugualmente plausibile, sotto un profilo logico, che il legislatore abbia inteso restringere gli effetti dell'art. 15 d.lgs. n. 387/1998 all'epoca successiva alla sua entrata in vigore; g) tale seconda interpretazione va preferita perché essa non pregiudica - retroattivamente e "a sorpresa" - la posizione delle Pubbliche Amministrazioni che avevano operato facendo affidamento sul fatto che, salve espresse disposizioni normative di segno contrario, nell'ambito del pubblico impiego l'esercizio di mansioni superiori non poteva dar luogo alla corresponsione del relativo trattamento economico; h) è vero che questa interpretazione è di minor beneficio per i pubblici dipendenti, ma ciò trova giustificazione nel fatto che, prima dell'introduzione dell'art. 15 d.lgs. n. 387/1998, essi erano consapevoli - o dovevano esserlo - che nell'ambito del pubblico impiego l'esercizio di mansioni superiori non poteva dar luogo alla corresponsione del relativo trattamento economico (salve espresse disposizioni normative di segno contrario); i) non è vero, inoltre, che una disciplina che escluda o limiti la remunerazione delle mansioni superiori nell'ambito del pubblico impiego "privatizzato" debba necessariamente considerarsi incostituzionale, tenuto conto che, a dispetto dell'intervenuta assimilazione di disciplina, il pubblico impiego conserva ancora una sua specialità, confermata in primo luogo dal fatto che, mentre il datore di lavoro privato esercita i suoi poteri di organizzazione e supremazia nell'ambito della assai ampia sfera di autonomia che gli è attribuita dagli artt. 41 Cost. e 2043 c.c., quello pubblico è vincolato al disposto di cui all'art. 97 Cost., che prescrive il perseguimento obiettivo dei valori superprimari dell'imparzialità e del buon andamento, nonché dal fatto che nel pubblico impiego si accede necessariamente mediante procedimento concorsuale ai sensi del citato art. 97, terzo comma, e che negli uffici pubblici le sfere di competenza sono determinate dalla legge ai sensi del precedente secondo comma.
    Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
    P. Q. M.
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto: 1) lo dichiara inammissibile quanto all'impugnazione del silenzio della U.S.L. n. 30 di Palagonia sulla diffida notificata dal ricorrente in data 10 maggio 1995; 2) respinge la domanda di condanna della U.S.L. n. 30 di Palagonia al pagamento delle differenze retributive per le mansioni superiori svolte dal ricorrente a far data dal a partire dal 21 dicembre 1986; 3) condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite in favore dell'Amministrazione regionale, liquidate in complessivi euro 1.500,00, oltre accessori di legge se dovuti.
    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
    Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 22 febbraio 2012 con l'intervento dei magistrati:
     
    IL PRESIDENTE
    Salvatore Veneziano
    L'ESTENSORE
    Daniele Burzichelli
    IL CONSIGLIERE
    Giovanni Milana
     
    Depositata in Segreteria il 12 marzo 2012
    (Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
     

    Inquadramento giuridico ed economico del personale sanitario dirigenziale

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    N. 824/2011 Reg. Prov. Coll.
    N. 2105 Reg. Ric.
    ANNO 2000
    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria ha pronunciato la presente
    SENTENZA
    sul ricorso numero di registro generale 2105 del 2000, proposto da:
    A. V., rappresentato e difeso dall'avv. Angela Messinò, con domicilio eletto presso Antonio Smorto, Avv. in Reggio Calabria, via P. Pellicano n. 17/D;
    contro
    Azienda Socio-Sanitaria Locale n. 9 di Locri, rappresentata e difesa dagli avv. Vittorio D'Agostino e Giovanni Tringali, con domicilio eletto presso Segreteria T.A.R. in Reggio Calabria, viale Amendola, n.8/B;
    per l'inquadramento giuridico ed economico quale dirigente medico di i livello, fascia economica a, a decorrere dal 22.12.1998.
    Visti il ricorso e i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio di Azienda Socio-Sanitaria Locale N. 9 di Locri;
    Viste le memorie difensive;
    Visti tutti gli atti della causa;
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 ottobre 2011 il dott. Desirèe Zonno e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
    FATTO E DIRITTO
    Il ricorrente, già assunto in data 8.3.2011 con qualifica di assistente medico dalla Asl 9 di Locri, è stato inquadrato nella posizione funzionale di Dirigente Medico di I livello, fascia economica B, ex art. 18 d.lgs 502/1992, con decorrenza 22.12.1993.
    Chiede l'inquadramento giuridico ed economico quale Dirigente Medico di I livello, fascia economica A, a decorrere dal 22.12.1998, invocando l'applicazione dell'art. 18, co 2, punto b, d.lgs n. 502/1992,
    L'Asl 9, costituitasi in giudizio, chiede il rigetto della domanda, in quanto la normativa in questione non sarebbe passibile di attuazione, atteso che i giudizi di idoneità, al cui esito positivo era subordinato l'inquadramento richiesto, non sono risultati mai esperibili, in mancanza del regolamento cui la norma primaria demanda le modalità esecutive.
    All'udienza del 26.10.2011, la causa è stata trattenuta in decisione.
    Il ricorso è infondato.
    La norma invocata dal ricorrente testualmente dispone: "In sede di prima applicazione del presente decreto il primo livello dirigenziale è articolato in due fasce economiche nelle quali è inquadrato rispettivamente:
    a) il personale della posizione funzionale corrispondente al decimo livello del ruolo sanitario;
    b) il personale già ricompreso nella posizione funzionale corrispondente al nono livello del ruolo medesimo il quale mantiene il trattamento economico in godimento.
    Il personale di cui alla lettera b) in possesso dell'anzianità di cinque anni nella posizione medesima è inquadrato, a domanda, previo giudizio di idoneità, nella fascia economica superiore in relazione alla disponibilità di posti vacanti in tale fascia. Con regolamento da adottarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517, ai sensi dell'art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, dal Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della sanità di concerto con i Ministri del tesoro e per la funzione pubblica, sono determinati i tempi, le procedure e le modalità per lo svolgimento dei giudizi di idoneità. Il personale inquadrato nella posizione funzionale corrispondente all'undicesimo livello del ruolo sanitario è collocato nel secondo livello dirigenziale" (Art. 18 d.lgs 502/1992).
    La giurisprudenza ha già avuto modo di chiarire che ai sensi dell'art. 18 comma 2 bis, d.lg. 30 dicembre 1992 n. 502, il personale dirigenziale sanitario inquadrato nella fascia B al nono livello retributivo, in possesso di 5 anni di anzianità di servizio nella posizione ricoperta, è inquadrato a domanda e previo giudizio di idoneità, nella fascia economica superiore (fascia A corrispondente al 10 livello), nei limiti di disponibilità di posti vacanti in tale fascia. Fino alla attivazione della procedura regolamentare di tale accesso per i dirigenti di fascia B ai posti di 10 livello, questi ultimi posti sono "congelati" ex lege e non possono in tale fase transitoria attivarsi nè procedure concorsuali, nè procedure di mobilità ordinaria per l'accesso alla suddetta posizione funzionale. (T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 29 gennaio 1997, n. 59).
    Peraltro, "per l'ex assistente ospedaliero, inquadrato nel primo livello dirigenziale, il passaggio dalla fascia economica B di cui all'art. 18 comma 2 bis d.lg. 30 dicembre 1992 n. 502, modificato dall'art. 19 d.lg. 7 dicembre 1993 n. 517, alla fascia economica A è condizionato non solo al possesso di almeno cinque anni di anzianità di servizio nella suddetta posizione funzionale, ma anche al previo superamento di un giudizio di idoneità disciplinato, per quanto attiene ai tempi, alle procedure e alle modalità di svolgimento, da un emanando decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, che non è surrogabile con il giudizio reso a tutti altri effetti ai sensi dell'art. 117 d.P.R. 28 novembre 1990 n. 384." (v.T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 21 novembre 2003, n. 4262).
    In ogni caso, anche a voler accogliere una tesi più favorevole al ricorrente, deve rilevarsi che il giudizio di idoneità non è stato, comunque, mai formulato.
    Il ricorso va, pertanto, rigettato.
    Le spese possono essere integralmente compensate, in ragione della materia oggetto di controversia.
    P. Q. M.
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria
    definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
    Spese compensate.
    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
    Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 26 ottobre 2011 con l'intervento dei magistrati:
     
    IL PRESIDENTE F.F.
    Caterina Criscenti
    L'ESTENSORE
    Desirèe Zonno
    IL REFERENDARIO
    Giulio Veltri
     
    Depositata in Segreteria il 22 novembre 2011
    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
     

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    N. 5790/2011 Reg. Prov. Coll.
    N. 2644 Reg. Ric.
    ANNO 2010
    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
    Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) ha pronunciato la presente
    SENTENZA
    sul ricorso numero di registro generale 2644 del 2010, proposto da:
    S. a.p.a. in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Antonio Lirosi, con domicilio eletto presso & Partners Studio Gianni Origoni, Grippo in Roma, via delle Quattro Fontane, 20;
    contro
    Regione Puglia in persona del Presidente della Giunta Regionale, rappresentata e difesa dagli avv. Adriana Shiroka, Maria Grimaldi, con domicilio eletto presso Uffici Delegazione Romana Regione Puglia in Roma, via Barberini N. 36;
    per la riforma
    della sentenza del T.A.R. PUGLIA - BARI SEZIONE I n. 00028/2010, resa tra le parti, concernente della sentenza del T.A.R. PUGLIA - BARI, SEZIONE I n. 00028/2010;
    Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio di Regione Puglia;
    Viste le memorie difensive;
    Visti tutti gli atti della causa;
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 giugno 2011 il Cons. Roberto Capuzzi e uditi per le parti gli avvocati Lirosi e Grimaldi;
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
    FATTO E DIRITTO
    1.La questione all'esame del Collegio attiene alla legittimità del Regolamento della Regione Puglia n. 22 del 2 ottobre 2009 (e del pregresso Regolamento n. 15 del 2007) nella parte in cui, alla lett. a) dell'art. 4, prevede che nell'ambito della distribuzione diretta dei farmaci di cui all'art. 12, primo comma, lett. e) della legge regionale n. 39 del 2006, la prescrizione dei farmaci concedibili con oneri a carico del servizio sanitario regionale e presenti nel Prontuario Terapeutico Operativo debba "esclusivamente riportare il principio attivo" con conseguente divieto per i medici ospedalieri e specialisti ambulatoriali di utilizzare il nome commerciale del farmaco.
    2. Il Tar Puglia, sede di Bari, nel dichiarare in parte improcedibile e in parte infondato il ricorso, ha richiamato un precedente giurisprudenziale ritenuto specifico in materia rappresentato dalla sentenza del medesimo Tar n. 2612 del 2009 concernente il Regolamento regionale n. 17 del 17 novembre 2003 di analogo contenuto, concludendo, quanto alle questioni sollevate nel ricorso, che la disposizione impugnata non ledeva alcuna prerogativa del medico ospedaliero.
    La società appellante assume la sostanziale erroneità della sentenza sul piano della carenza motivazionale e la inconferenza del richiamo giurisprudenziale operato dal primo giudice, atteso che, diversamente da quanto ritenuto, la questione all'esame attiene alla legittimità della norma regolamentare, che, nell'ambito della distribuzione diretta del farmaco da parte del servizio sanitario, impone al medico ospedaliero e non al medico di medicina generale, come nella fattispecie relativa al sopradetto Regolamento n. 17 del 2003, di indicare il solo principio attivo, privando lo stesso medico ospedaliero del potere di "identificare il farmaco da erogare in concreto mediante la indicazione del suo nome commerciale"; e ciò sia che si tratti di farmaco affermato sia che si tratti della denominazione comune del medicinale seguita dal nome della impresa che lo commercializza.
    Con l'effetto, secondo la appellante società, che nell'ottica dei Regolamenti n. 15 del 2007 e 22 del 2009, la scelta del farmaco in concreto da erogare, illegittimamente finisce per essere rimessa al farmacista ospedaliero, in quanto, nella ipotesi che la struttura disponga di due farmaci a base dello stesso principio, sarebbe questo ultimo a scegliere il farmaco da erogare in concreto.
    Tale previsione dei Regolamenti impugnati, limitando la libertà del medico di prescrivere la specialità medicinale che ritiene più adatta da un punto di vista terapeutico per un determinato paziente, sarebbe quindi in contrasto:
    - con le statuizioni della Corte di Giustizia della Comunità Economica Europea (casi riuniti 266 e 267 del 1987) che, con sentenza del 18 maggio 1989, ha escluso la possibilità di lasciare al farmacista la scelta del farmaco da somministrare al paziente, mantenendo invece in capo al medico la esclusiva responsabilità terapeutica;
    - con la normativa statale in materia che, anche quando diretta a conseguire risparmi di spesa, assume come limite il rispetto e la garanzia della libertà di prescrizione del medico secondo scienza e coscienza quale libertà che si estrinseca anche attraverso la individuazione del farmaco sulla base del nome commerciale dello stesso;
    - con principi di logicità e ragionevolezza in quanto il costo del farmaco soggetto a distribuzione diretta, di marca o generico puro, sarebbe già stato sopportato dalla struttura pubblica e pertanto alcuna utilità potrebbe assumere la prescrizione del solo principio attivo, visto che dalla diversa ipotesi non deriverebbe alcun aggravio di spesa o costo incrementale per le casse del servizio sanitario nazionale. Al riguardo la società ha dedotto che, laddove sia prescritto un farmaco più costoso tra quelli equivalenti in commercio, sulla base della legge n. 405 del 2001 la differenza di costo è sostenuta dal paziente, che, a sua volta, può optare, su consiglio del farmacista, sul farmaco meno costoso solo laddove il medico non abbia apposto la clausola di insostituibilità;
    - con principi della scienza medica e farmacologica per i quali due farmaci aventi a base il medesimo principio attivo ma aventi una diversa composizione in termini di eccipienti possono comportarsi in maniera diversa nell'organismo umano.
    Ha dedotto ancora la impresa appellante che:
    -posto che l'attività di prescrizione dei farmaci appartiene alla competenza bipartita Stato-Regioni essendo riconducibile alla tutela della salute, l'individuazione dei limiti e dei criteri che devono guidare il medico nella scelta del farmaco che meglio risponde alle esigenze terapeutiche del singolo caso appartiene ai principi fondamentali da stabilirsi con legge statale;
    - che il pregiudizio che subisce la impresa appellante è riposto nella impossibilità di continuare a svolgere attività di informazione scientifica e di aggiornamento sui farmaci che commercializza.
    2. Si è costituita la Regione Puglia sostenendo che l'intento delle norme regolamentari impugnate è quello di indurre il paziente alla scelta del medicinale generico attesa la identità del principio attivo tra farmaco generico e non generico.
    Sulla base della norma regolamentare il paziente potrà ritirare presso la farmacia ospedaliera la specialità medicinale contenente il principio attivo prescritto e, laddove non ritenga di usufruire delle modalità di cui al regolamento, lo stesso potrà recarsi dal medico di medicina generale che prenderà atto della prescrizione e provvederà alla individuazione del farmaco riferito al principio attivo indicato. Sulla base di tale sinergia tra le funzioni dei medici ospedalieri e dei medici di base si realizza, secondo la Regione Puglia, una migliore organizzazione e razionalizzazione della spesa farmaceutica e degli accertamenti diagnostici.
    La difesa della Regione ha richiamato le norme a livello nazionale che impongono alle regioni di adottare misure per contenere la spesa farmaceutica, comprese quelle inerenti la prescrittibilità e rimborsabilità dei farmaci
    Pur assicurando la legislazione statale la totale rimborsabilità dei farmaci collocati in classe A nel prontuario farmaceutico, la comprovata equipollenza terapeutica dei farmaci consente che possa essere esclusa in modo totale e parziale la rimborsabilità dei medicinali più onerosi per le finanze pubbliche alle condizioni indicate dallo stesso legislatore statale. In tale senso le Regioni sono chiamate a svolgere un ruolo attivo facendo uso di rilevanti competenze in materia di tutela della salute.
    2. L'appello è fondato.
    2.1.La legge regionale Puglia n. 39 del 28 dicembre 2006 art. 12 prevede che, all'atto delle dimissioni del paziente dal ricovero o della visita specialistica, le strutture delle Aziende sanitarie pubbliche devono dispensare i farmaci necessari per il primo ciclo di terapia sulla base di un regolamento concernente: "...le modalità operative della distribuzione diretta".
    Il regolamento n. 15 del 18 giugno 2007 prevede che la prescrizione dei farmaci concedibili deve riportare il solo principio attivo; analoga prescrizione è contenuta nel regolamento n. 22 del 2 ottobre 2009.
    3. Va premesso che nel nuovo quadro costituzionale derivante dalle modifiche del titolo V della Carta Costituzionale ad opera della legge costituzionale n. 3 del 2001 la materia di cui trattasi, relativa alle modalità di distribuzione dei farmaci e attività medico prescrittiva, appartiene alla competenza legislativa concorrente Stato Regioni, in quanto riconducibile alla tutela della salute ex art. 117, comma 3, della Costituzione. In tale ambito le Regioni possono intervenire con proprie leggi nel rispetto dei principi fondamentali riservati alla legislazione statale e, ove esistenti, dei vincoli derivanti dalla normativa comunitaria. La individuazione del criterio di riparto della competenza legislativa Stato Regione è affidata alla distinzione tra norma di principio e norma di dettaglio.
    Le norme di principio, sulla base dell'insegnamento della Corte Costituzionale, sono dirette, oltre che alla individuazione dei principi fondamentali, anche a garantire uniformità nei diritti a livello nazionale (cfr. sentenza della Corte Cost. n. 59 del 2006). Posto che l' attività di prescrizione dei farmaci appartiene alla competenza bipartita Stato Regioni, la individuazione dei limiti e dei criteri che devono guidare il medico nella scelta del farmaco che meglio risponda alle esigenze terapeutiche del singolo caso, non può che appartenere ai principi fondamentali da stabilire con legge statale trattandosi di uno dei casi in cui occorre assicurare uniformità di trattamento nei diritti a livello nazionale, incidendo i criteri di prescrizione sul principio di libera scelta del farmaco da parte del medico quale aspetto del diritto alla salute riconosciuto dall'art. 32 della Costituzione.
    4. Si tenga poi conto che in base all'articolo 5, comma 5 quater della legge n. 222 del 2007, sopravvenuta rispetto alla instaurazione del giudizio di primo grado, è previsto che: "nella prescrizione dei farmaci equivalenti il medico indica in ricetta o il nome della specialità medicinale o il nome del generico". La disposizione stigmatizza un principio già esistente nell'ordinamento evidenziando la discrezionalità del medico nella scelta del farmaco più indicato per il proprio paziente e consentendo la prescrizione di un principio attivo qualora il medico in scienza e coscienza lo ritenga del tutto sostituibile tra farmaci equivalenti.
    Con la conseguenza che il medico non può essere obbligato a indicare nella prescrizione esclusivamente il nome del principio attivo e quindi non può essere rimessa al farmacista la scelta concreta del farmaco da somministrare, non avendo questo ultimo né la competenza tecnica, né la conoscenza del quadro clinico dell'assistito.
    In tale senso la fondamentale censura sollevata nell'appello merita accoglimento. La Sezione ritiene illegittima la scelta regolamentare della Regione Puglia di obbligare il medico ospedaliero a prescrivere unicamente il principio attivo e di rimettere la individuazione concreta del farmaco, nei fatti, al farmacista ospedaliero.
    In disparte, si rileva altresì che in nessun caso il medico potrebbe essere obbligato a prescrivere il nome del principio attivo nella ipotesi in cui sia disponibile sul mercato il solo farmaco ancora brevettato e caratterizzato da un nome commerciale. Se, infatti, sussiste ancora il brevetto a tutela del farmaco di marca e in assenza di farmaci generici, la prescrizione del principio attivo non può avvenire o comunque non potrebbe che risolversi nella indicazione del farmaco brevettato.
    5. Le disposizioni regolamentari impugnate contrastano anche con quanto previsto dall'art. 7 comma 2 della legge n. 405 del 2001 che pure nell'intento di conseguire un risparmio della spesa farmaceutica, assume come limite il rispetto e la garanzia della libertà di prescrizione del medico quale libertà che si estrinseca proprio nella individuazione del farmaco sulla base del nome commerciale dello stesso.
    Infatti, ove sia prescritto un farmaco più costoso tra quelli equivalenti in commercio, la differenza di costo è sostenuta dal paziente, che, a sua volta, può optare, su consiglio del farmacista, per il farmaco al prezzo più basso; ma ciò solo laddove il medico non abbia apposto la clausola di insostituibilità.
    In definitiva, anche dalla disposizione suddetta si evince implicitamente il principio che è la valutazione finale del medico curante, da effettuarsi in relazione alla precisa patologia del paziente e alle caratteristiche della malattia, a determinare il ricorso a un farmaco specifico e la non sostituibilità con altro farmaco.
    In tale senso si è più volte indirizzata la giurisprudenza e in particolare quella della Corte di Cassazione, sia in sede penale che civile (Cass. Penale n. 13315 del 31 marzo 2011 e Cass. Civ. n. 15734 del 2 luglio 2010.
    Anche la Corte di Giustizia della Comunità Europea con la già citata sentenza del 18 maggio 1989 (casi riuniti 266 e 267 del 1987) e con sentenza del 5 maggio 2011 sul procedimento C316/09 ha rilevato che "..la decisione finale sul medicinale assunto dal paziente continui (debba continuare) ad essere di competenza del medico curante".
    6. Fermo quindi che la Regione ha ecceduto la propria competenza legislativa in materia si rileva ancora che l'art. 12 comma 1 lett. e) della legge regionale Puglia n. 39 del 2006, nell'introdurre la distribuzione diretta dei farmaci per il primo ciclo di terapia successiva alla dimissione ospedaliera o alla visita specialistica, aveva demandato a un apposito regolamento il compito di disciplinare "le modalità operative della distribuzione diretta dei farmaci" circoscrivendo quindi l'ambito di intervento della fonte normativa secondaria.
    Il Regolamento si doveva quindi limitare a individuare le procedure interne per rendere concreta la distribuzione diretta dei farmaci. Risulta evidente la illegittimità della previsione regolamentare, che, in violazione della norma primaria, nell'obbligare i medici ospedalieri e specialisti ambulatoriali all'utilizzo di un determinato criterio di prescrizione per i farmaci rimborsabili dal servizio sanitario, ha ecceduto sia dalla norma statale sia da quella regionale di riferimento.
    7. La Regione Puglia ha incentrato le proprie difese sui limiti della rimborsabilità dei farmaci essenziali a carico del servizio sanitario nazionale, insistendo nella tesi che all'obbligo dei medici ospedalieri di prescrivere il solo principio attivo conseguirebbe un risparmio per le casse pubbliche regionali.
    La Sezione non ritiene, o almeno non è dimostrato, che da tale previsione possa derivare un risparmio di spesa per il servizio pubblico nazionale.
    Infatti,l'art. 7 della legge n. 405 del 2001, con riguardo ai farmaci equivalenti, stabilisce una quota fissa di rimborso da parte del servizio sanitario nazionale, che inizialmente era corrispondente al prezzo più basso del farmaco generico in commercio e che ora viene fissata dall'Aifa sulla base della media dei prezzi europei (cfr. a riguardo Cons. Stato, IV, 25 agosto 2006 n. 4995).
    In sostanza, alla Regione Puglia non deriva alcun risparmio di spesa poiché il farmaco dispensato per il servizio sanitario avrà sempre lo stesso costo, peraltro già sopportato dalla struttura pubblica all'atto dell'acquisto. Né per superare le censure sollevate appare convincente la tesi che il paziente che non voglia rimettersi al farmacista avrebbe pur sempre la possibilità di rivolgersi la medico di base per farsi prescrivere il farmaco più rispondente alle proprie esigenze terapeutiche.
    Il Regolamento non prevede tale possibilità, che peraltro comporterebbe un aggravio di spesa per le casse regionali, atteso che il servizio sanitario - pur avendo acquistato i farmaci a seguito di gara e dunque al prezzo più vantaggioso- si troverebbe, per scelta del paziente e del medico di base, a doverlo rimborsare alle farmacie al prezzo stabilito per quella classe di equivalenza.
    8.In conclusione l'appello va accolto e per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, il ricorso in primo grado deve essere accolto.
    9. Quanto alle spese esse seguono, come di regola, la soccombenza e pertanto vengono poste a carico della Regione Puglia nella misura indicata nel dispositivo.
    P. Q. M.
    Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto,
    lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado.
    Condanna l'appellato al pagamento delle spese del giudizio che si liquidano in complessivi euro 3.000,00 (euro tremila).
    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
    Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 giugno 2011 con l'intervento dei magistrati:
    - Gianpiero Paolo Cirillo - Presidente
    - Lanfranco Balucani - Consigliere
    - Marco Lipari - Consigliere
    - Angelica Dell'Utri - Consigliere
    - Roberto Capuzzi - Consigliere, Estensore
     
    IL PRESIDENTE
    Gianpiero Paolo Cirillo
    L'ESTENSORE
    Roberto Capuzzi
     
    Depositata in Segreteria il 27 ottobre 2011
    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
     

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    N. 242/2011 Reg. Prov. Coll.
    N. 677 Reg. Ric.
    ANNO 1993
    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria ha pronunciato la presente
    SENTENZA
    sul ricorso numero di registro generale 677 del 1993, proposto da:
    I. A., rappresentato e difeso dall'avv. Domenico Tripodi, con domicilio eletto presso Rosario Infantino Avv. in Reggio Calabria, via S. Caterina, Trav. Privata, 21;
    contro
    Usl N 10 di Palmi;
    per la condanna
    al pagamento delle somme dovute per prestazioni di reperibilità in eccedenza - anno 1991.
    Visti il ricorso e i relativi allegati;
    Viste le memorie difensive;
    Visti tutti gli atti della causa;
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 marzo 2011 il dott. Giulio Veltri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
    FATTO E DIRITTO
    Il ricorrente presta servizio alle dipendenze dell'Amministrazione sanitaria, presso il P.O. di Oppido Mamertina, con la qualifica di infermiere generale.
    Documenta di avere svolto nell'anno 1991 prestazioni di reperibilità in eccedenza, per le quali non gli sono stati corrisposti i relativi compensi, di cui chiede il pagamento.
    Nonostante la rituale notifica del ricorso, l'Amministrazione intimata non si è costituita.
    Alla pubblica udienza del 10 marzo 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.
    I) Il ricorso è notificato all'USL n. 10 di Palmi, nel cui ambito ricadeva il P.O. di Oppido Mamertina, competente al momento della instaurazione del giudizio.
    Si deve peraltro dare atto che, ai sensi della l. reg. Calabria 11 maggio 2007 n. 9, art. 7, commi I e II, le nuove aziende sanitarie Provinciali subentrano nelle funzioni e nei rapporti attivi e passivi relativi alle aziende preesistenti, in ragione dell'ambito provinciale di riferimento, per cui sussiste la legittimazione passiva diretta dell'ASP di Reggio Calabria.
    II) Nel merito della pretesa, si osserva che il ricorrente ha comprovato documentalmente, mediante la produzione dell'attestazione nr. 241/92 del 4 maggio 1992, rilasciata dall'ufficio di appartenenza, di aver prestato prestazioni di "reperibilità in eccedenza (con effettive chiamate)" per un importo pari a lire 1.181.846 (euro 610,37); nessuna contestazione è eccepita dall'Amministrazione, non costituita in giudizio.
    Si deve qui premettere che l'istituto denominato come "pronta disponibilità" si connota per l'obbligo di attesa della eventuale chiamata e può dar luogo a due diverse situazioni che danno diritto alla corresponsione dell'indennità di reperibilità. Nella prima la reperibilità si esaurisce proprio nel mero rispetto dell'obbligo di attesa di essere chiamato nel periodo orario prestabilito per raggiungere il presidio (cd. reperibilità passiva), senza che a tale disponibilità segua una effettiva chiamata e quindi una prestazione di servizio, mentre la seconda è caratterizzata dalla effettiva chiamata e dalla conseguente prestazione lavorativa (cd. reperibilità attiva). Come accennato, entrambe le situazioni danno diritto all'indennità, e, oltre a ciò, nel caso di reperibilità attiva, l'attività prestata viene retribuita come prestazione straordinaria oppure viene compensata con un recupero orario (art. 18, comma 10, d.P.R. 20 maggio 1987 n. 270; Consiglio Stato, sez. V, 09 settembre 2009, n. 5270).
    Giova quindi richiamare le disposizioni di cui all'art. 18 del DPR 20.05.1987 nr. 270, a norma del quale "Il servizio di pronta disponibilità è caratterizzato dalla immediata reperibilità del dipendente e dall'obbligo per lo stesso di raggiungere il presidio nel più breve tempo possibile dalla chiamata, secondo intese da definirsi in sede locale". Il secondo comma prevede l'obbligo di "definire all'inizio di ogni anno, sentite le organizzazioni sindacali firmatarie dell'accordo recepito dal presente decreto, un piano per affrontare le situazioni di emergenza in relazione alla dotazione organica ed ai profili professionali necessari per l'organizzazione dei servizi e dei presidi".
    In ogni caso, "sono tenuti al servizio di pronta disponibilità esclusivamente i dipendenti in servizio presso unità operative con attività continua e, solo sulla base del piano di cui al comma precedente, il personale strettamente necessario a soddisfare le esigenze funzionali". Seguono ulteriori disposizioni di disciplina della turnazione e della misura dei relativi compensi. Infine, (comma 10 ed 11) "In caso di chiamata l'attività prestata viene computata come lavoro straordinario o compensata con recupero orario. Di regola non potranno essere previste per ciascun dipendente più di 6 pronte disponibilità nel mese".
    Nel sistema dell'art. 18 cit., dunque, è lo stesso DPR 270/87 che disciplina il servizio di pronta reperibilità, demandando al piano solamente l'attuazione in sede locale delle previsioni generali quanto al personale addetto alle u.o. con attività continua; il piano ha invece un effetto costitutivo del titolo e della pretesa per la categoria di personale che è costituita da quello "strettamente necessario a soddisfare le esigenze funzionali" (cfr. a tale proposito la recente pronuncia di T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 06 giugno 2008, n. 5390 che ha negato la sussistenza di un diritto all'indennità per pronta reperibilità per il personale non strettamente necessario in mancanza del piano).
    Sulla base di ciò, per il personale addetto alle U.O. con attività continuative, quali il P.O. di Oppido Mamertina presso cui presta servizio il ricorrente odierno, la pretesa al pagamento dei compensi per turnazione effettivamente assicurata oltre il limite minimo di sei turni per mese trova titolo direttamente nella disposizione in esame, mentre non è necessaria, ai fini della legittimità delle prestazioni erogate, la sussistenza effettiva del piano di cui al comma 2 dell'art. 18 cit.
    Secondo i consueti principi in ordine al riparto dell'onere probatorio, spetta al dipendente dell'Amministrazione sanitaria addetto ad unità operative di servizio continuativo che agisce per ottenere il pagamento delle prestazioni rese per reperibilità "in eccedenza" ossia oltre i turni del comma 11, fornire prova dell'avvenuta prestazione della reperibilità e della quantificazione dei relativi importi dovuti (onere cui il ricorrente ha puntualmente assolto nell'odierna fattispecie con la produzione della certificazione richiamata in apertura); spetta, invece, all'Amministrazione intimata eccepire l'eventuale infondatezza della pretesa contestando la qualità del dipendente (ad es. per mancata adibizione ad una u.o. con attività continuativa o per circostanze inerenti la sua qualifica ai fini di cui al comma 12 che elenca figure professionali escluse dalla reperibilità e così via) o l'inesatta quantificazione delle somme dovute, o ancora allegando una eventuale violazione della turnazione e simili.
    Tali considerazioni consentono così di superare l'astrattamente prospettabile questione della mancanza di una autorizzazione specifica alla prestazione delle reperibilità in eccedenza.
    Peraltro, l'irrilevanza della mancanza di una formale autorizzazione alla prestazione del servizio di pronta reperibilità è già stata riconosciuta nella giurisprudenza del Tribunale da precedenti pronunce, nelle quali si è ravvisata "la peculiarità del servizio, caratterizzato dalla necessità di fare fronte alle emergenze mediche e dalla improcrastinabilità delle stesse"...con conseguente eccezione (al principio della necessaria formale autorizzazione ai fini del riconoscimento di prestazioni di servizio eccedenti quelle d'obbligo) "per le ipotesi in cui le prestazioni eccedenti non conseguano ad una libera scelta del dipendente, ma costituiscano un preciso obbligo derivante dalla natura del servizio o da ragioni organizzative cogenti, elementi questi che, nella fattispecie in esame, vanno identificati nel carattere di emergenza del servizio e nella carenza dell'organico..." (TAR Reggio Calabria,22 novembre 1997, nr. 968; cfr. anche TAR Reggio Calabria, 19 febbraio 1998, nr. 257).
    Nell'odierna fattispecie, va altresì rilevato che agli atti è depositata corrispondenza dalla quale emerge che altro dipendente aveva formalmente comunicato la propria indisponibilità a prestare il servizio oltre il requisito minimo obbligatorio dei sei turni per mese, nel medesimo periodo di riferimento; e che l'Azienda gli ha rivolto uno specifico ordine di servizio con il quale ha dichiarato l'obbligatoria prestazione della reperibilità, prospettando, in difetto, l'interruzione del pubblico servizio (cfr. doc. allegati in atti, rispettivamente, del 18 novembre 1991 e del 2 dicembre successivo).
    Tale circostanza consente di confermare, in mancanza di una specifica allegazione difensiva da parte dell'Amministrazione, la carenza dell'organico nel PO di appartenenza del ricorrente che è implicita nell'ordine di servizio (posto che una eventuale ulteriore disponibilità di personale avrebbe consentito all'Amministrazione di aderire alla nota del dipendente), e che nell'organizzazione del servizio, nel periodo considerato, l'Amministrazione ha consapevolmente fruito delle prestazioni del personale dipendente ai fini della pronta reperibilità.
    Alla luce di quanto sopra, deve quindi ritenersi provata non solamente l'avvenuta prestazione dei turni per cui si chiede il pagamento del compenso, ma anche la misura di quest'ultimo e l'assenza di cause ostative riconducibili ad eventuali carenze di titolo soggettivo del ricorrente (in relazione alle categorie escluse dalla reperibilità ai sensi del comma 12 o solo eventualmente incluse nella reperibilità, ai comma 13 e 14 dell'art. 18, DPR 270/87).
    Il ricorso è dunque fondato e come tale va accolto, con la condanna dell'ASP di Reggio Calabria al pagamento delle somme dovute al ricorrente per l'espletamento del servizio di pronta reperibilità, nella misura di euro 610,37, oltre accessori come per legge.
    Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo a favore del difensore distrattario.
    P. Q. M.
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria
    definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto dichiara il diritto del ricorrente ad ottenere la corresponsione dell'indennità per pronta reperibilità per le prestazioni relative all'anno 1991 come in parte motiva indicato; condanna l'ASP di Reggio Calabria al pagamento di euro 610,37oltre accessori come per legge dalla domanda al soddisfo in favore di parte ricorrente.
    Condanna l'ASP di Reggio Calabria alle spese di lite che liquida in favore dell'Avv. Domenico Tripodi, distrattario, in euro 200,00 oltre IVA, CPA e spese generali come per legge, attesa la natura seriale dell'odierno giudizio.
    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
    Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 10 marzo 2011 con l'intervento dei magistrati:
     
    IL PRESIDENTE
    Ettore Leotta
    L'ESTENSORE
    Giulio Veltri
    IL CONSIGLIERE
    Giuseppe Caruso
     
    Depositata in Segreteria l'1 aprile 2011
    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
     


Mondolegale 2011
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